Intanto un uomo bussa alla porta di Pietro Campara che, ancora in vestaglia, va ad aprire. Una figura alta con un passamontagna in testa lo spinge alla parete e lo blocca con il fucile. Pietro urla spaventato, ma costui con un gesto della mano gli chiude la bocca. Pietro nota che la gamba sinistra del suo aggressore è legata con un fazzoletto rosso di sangue. L’uomo prende da un vassoio di ceramica le chiavi di un auto e dal secondo cassetto di un mobiletto estrae un portafoglio. Quindi trascina Pietro in salotto e strappa forte il filo della luce di un’ abat jour. Lo lega mani e piedi. Si sofferma davanti ad alcune fotografie di famiglia, si volta ed esce zoppicando da casa. Pietro urla chiedendo aiuto, ma nessuno lo sente. Poi riesce a liberarsi e a fare il numero del comandante dei carabinieri.
Quando la volante del comandante parcheggia davanti a casa, Pietro si precipita ad aprire la porta: “meno male che siete tornati! Sono stato aggredito da un uomo con un passamontagna!”
“E’ una fortuna che fossimo di strada quando mi ha chiamato. Stiamo andando al secondo posto di blocco. Se non è cosa grave e lei sta bene, ci vediamo dopo, ora dobbiamo andare!” dice concitato il comandante. Abbiamo trovato chi ha sparato nella Grotta del Tempo!” aggiunge.
Samuele scuote la testa fissando gli occhi a terra.
Pietro si alza e si avvicina alla parete: “aspettate solo un minuto, in fondo ho subito un’aggressione! Mi ha spinto con forza, proprio qui. Poi, tenendomi a bada con un fucile, ha preso le chiavi dell’auto ed ha aperto il cassetto dove tengo il portafoglio. La macchina fuori non c’è, l’ha rubata!”.
Il comandante sbuffa e guarda in aria.
“L’ha aperto subito, senza pensare, in automatico, come se sapesse”, continua Pietro, “e poi perdeva sangue, dalla gamba”, aggiunge.
Il comandante guarda Samuele e poi Pietro con maggiore interesse.
“Quale gamba?”, chiede il comandante.
“La sinistra, sì, la sinistra”, risponde Pietro.
“Allora è il pastore!”, dice il comandante.
“E ha parlato? Ha detto qualcosa?”, incalza Samuele.
“No. Non ha mai parlato. Mi spingeva da una parte all’altra senza proferire una parola”
“E perchè, secondo lei?”, chiede Samuele.
“Non saprei…” , risponde confuso Pietro.
“Perchè non voleva essere riconosciuto”, sentenzia Samuele, “E’ qualcuno che lei conosce”.
Squilla nuovamente il telefono del comandante.
“Come uno scontro a fuoco? Dove? Arrivo!”.
Al secondo posto di blocco è in corso una sparatoria tra un auto arrivata a grande velocità e una pattuglia dei carabinieri. Tre di loro sono feriti.
In quel momento si arresta con una brusca frenata il furgone del Gis. Ettokilo scende scattante e si apposta dietro a un muretto, insieme ad Ange e Francesco. I tre tengono sotto tiro l’uomo nell’auto, che continua a sparare nei vetri della volante dei carabinieri, frantumandoli in mille schegge.
Ettokilo punta il suo fucile di precisione verso l’auto ed esplode un colpo. L’uomo smette di sparare. I carabinieri si avvicinano con cautela ed aprono lo sportello. L’uomo, colpito alla spalla, è riverso sul sedile e geme dal dolore. In braccio tiene un fucile da cecchino.
Arrivano il comandante e Samuele, che nel frattempo erano stati avvisati del ritrovamento di un’auto nei pressi della casa di Pietro Campara, con il baule pieno di attrezzature da grotta, fili elettrici e un coltellaccio da caccia sporco di sangue.
Danno un’occhiata all’ uomo colpito. Samuele guarda intensamente il comandante, che assume un volto impenetrabile.
Sull’ambulanza salgono il comandante e Samuele. Durante il tragitto l’uomo rilascia una terrificante confessione.
Poco dopo, presso il Comando dei carabinieri :
“Era solo spaventato e poi, voleva prendere in giro le forze dell’ordine. Si è burlato di noi”, dice il comandante a Samuele. “Mi hanno tratto in inganno le similitudini”, continua, “sangue alla gamba sinistra e fucile. Anche se non c’è da confondersi tra un fucile da caccia e uno da cecchino. In ogni caso, l’abbiamo rilasciato”.
“Avete fatto bene. E’ solo un burbero pastore con un problema al menisco e dei conigli da macellare, non un delinquente”, risponde Samuele, “mentre il vero colpevole…”.
“E’ bloccato in un letto d’ospedale, con la clavicola spezzata”, aggiunge il medico legale.
“Nessuno se l’aspettava. Era una persona ben voluta. Tutti dicono che fosse il migliore elettrotecnico della valle”, osserva il comandante, “infatti ha manomesso l’impianto elettrico della Grotta; da due giorni si nascondeva nei cunicoli, si era preparato bene. Mentre gli altri credevano che fosse all’estero.”
“Era convinto che la Grotta del Tempo fosse diventata la casa di Michele, un luogo sicuro dove potersi prendere cura di lui, un luogo sacro in cui nessuno doveva entrare”, dice Samuele, “ci ha confessato di voler uccidere chiunque si avvicinasse. Era come stordito dal dolore e dalla depressione. Si era creato un mondo fantastico in cui vivere con il ricordo del nipote. Alterna momenti di lucidità a momenti follia”.
“Aveva ragione lei, dottore, lo riconosco”.
“Samuele, comandante, solo Samuele”.
In un’aula dell’Università di Siena, Samuele sta concludendo la sua lezione.
“Ragazzi, dovete sempre tenere a mente la scena del crimine, il movente del criminale e, talvolta, le ragioni dell’omicida, che non sempre è un criminale. Talvolta è un soggetto che ha qualcosa di irrisolto nel labirinto del suo cervello, capace di indurlo al delitto. Un rimpianto, la vendetta, un rimorso, un lutto insuperato…”.
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