(la foto di Castelnuovo Garf.: panorama ponti Santa Lucia èdistrutti dai bombardamenti è di proprietà di Pierfrancesco Cavani)
Da Il Giornale di Barga n. 185 del 23 agosto 1964
Il primo a fuggire: Franco Nutini
Fin dal primo momento in cui i tedeschi mi agguantarono al Giardino in casa degli amici Pietro, Adolfo, Vittorio Turri ove pochi istanti prima mi ero rifugiato con la speranza di nascondermi, pensai a come scappare. Sapevo per esperienza recente quanto fosse difficile una fuga del genere affidandomi alle mie sole forze, perciò pensai di cercarmi un compagno che come me fosse disposto ad affrontare qualsiasi avventura. Era in gioco la pelle, bisognava essere pronti a tutto. Sotto il cedro, sul Bastione, col pugile Enrico Bertola di Carrara, un giovane al quale non mancava la forza né il coraggio, ci mettemmo d’accordo più che a parole con gli sguardi. Al momento della partenza manovrammo in maniera di salire per gli ultimi sul camion di coda in modo di saltar giù con più facilità in un tratto di strada tra Piezza e Ponte di Ceserana.
Mi confortava il pensiero della mia precedente fuga dalle grinfie dei tedeschi, quando l’8 settembre dell’anno prima, trovandomi a Krikvernica in Croazia con altri compagni del mio stesso reggimento, riuscimmo a metterci in salvo. A piedi, in treno, scendendo nelle stazioni di campagna, sapendo che quelle grandi erano presiedute dai tedeschi dove rastrellavano tutti i soldati sbandati per inviarli in Germania, quando prendendo strade secondarie o attraversando campi e fossati, dormendo nei boschi o sotto ai ponti, sempre aiutati dalle popolazioni alle quali domandavamo pane, laceri, affamati, materialmente sfiniti, dopo venticinque giorni di estenuante fuga, sempre pungolati dal terrore di andare a finire in Germania, ognuno di noi riuscì a rientrare in famiglia. L’essermi lasciato prendere a pollo proprio a casa mia, a Barga, per essere deportato in Germania,
La fuga dal camion in corsa non fu possibile, perché tanto io che il Bertola fummo sospinti dai tedeschi verso il cassone, nonostante facessimo gli scemi per stare accostati alle sponde; in secondo luogo, perché dietro noi veniva una camionetta di tedeschi che chiudeva il convoglio. Un tentativo di fuga in quelle condizioni sarebbe certo andato male, ma non ci scoraggiammo.
Nelle scuole elementari di Castelnuovo ci accantonarono all’ultimo piano. Appena fece giorno, un bisogno corporale mi fece andare al cesso ove dal finestrino notai che il canale dell’acqua piovana era discosta di un paio di metri. A me venne subito l’acquolina in bocca e il prurito ai piedi. Calcolai, che facendo dell’acrobazia rischiosa, si poteva agguantare la canala sostenendoci ad una sporgenza del muro. Andai a chiamare il Bertola ed insieme ci chiudemmo dentro il cesso a studiare come avremmo potuto fuggire scendendo dalle canale.
Disse il Bertola: – Franco, non è possibile, anche se riuscissimo ad agguantare la canala, chissà se reggerà il peso. Lui, pensando al peso, si riferiva al suo, che si aggirava attorno ai 90 chili. Il mio, allora avevo venti anni, era assai minore. Continuammo a discutere. Venne uno ad almanaccare alla maniglia. Dissi con voce strozzata : – Occupato. Orologio alla mano, ci mettemmo a controllare il tempo che impiegava la sentinella da basso a compiere il giro della metà del fabbricato. Affinché tutto andasse bene, bisognava toccare terra in meno di novanta secondi.
Io non parlavo più, e il Bertola a dirmi: – Franco, la canala non regge, non può reggere. Povero Bertola, egli fu l’ultimo a fuggire dalla canala e, com’egli fortemente aveva temuto, dopo la sua discesa la canala si ruppe per davvero (subito dopo la guerra andò negli Stati Uniti a fare il pugile e sul ring ci lasciò la vita… povero Bertola, era un così bravo ragazzo).
Dissi: – Io provo. Sentivo che ce l’avrei fatta. Gli altri rastrellati erano sparsi nelle diverse aule, sdraiati sul pavimento o seduti sui banchini. Chi dormiva, chi sbadigliava. Nessuno di essi in quel momento pensava alla fuga. Dopo di me invece fuggirono in diversi, anche mio zio Benvenuto Santi, dalla porta centrale, dopo che su Castelnuovo c’era stato un bombardamento aereo.
(…) Mi feci il segno della croce. Dissi : – Bertola, vado! – Fai a modo. Disse lui.
Non guardai a terra per timore che all’ultimo istante mi prendessero le vertigini. Aspettai che la sentinella da basso mi girasse le spalle e stesse per scantonare. Mi sporsi fuori, ormai c’ero, feci un disperato allungo e riuscii ad afferrare la canala che resse benissimo, lasciandomi andar giù a ruota libera.
Toccando terra neanche mi avvidi che le mani sanguinavano. Le nascosi nelle tasche dei pantaloni e piano, piano, prendendo un atteggiamento da scemo mi allontanai. Tranne il Bertola, che di lassù trattenendo il respiro mi aveva visto andar via, nessuno dei compagni rastrellati se n’era accorto. Poche ore dopo ero quasi salvo a Monteperpoli e il giorno seguente rientravo a Barga con le mani ancor fasciate, contento come una Pasqua d’essermi salvato dalla deportazione in Germania, e di aver insegnato a molti altri compagni di sventura la via della salvezza.
Franco Nutini di Ferruccio, nato a Barga il 16 agosto 1920, di professione artigiano, coniugato con due figli: Franca, anni 16, Luca anni 11. Abitava al Sasso.
Tag: barga, guerra, resistenza, rastrellati, franco nutini
Lascia un commento