Virzì abbandona gli usuali toni della commedia familiare e nostrana per addentrarsi nel genere thriller, riadattando un romanzo a stelle e strisce. L’ambientazione è quella di una Brianza fredda e corrotta, dove si dipana una storia seguita da tre diversi punti di vista. Al centro della vicenda, un incidente dove è rimasto ferito un cameriere di catering di ritorno dal servizio ad una festa esclusiva della Ornate (così il nome fittizio del paese di ambientazione) bene. Il primo point of view è quello di Dino Ossola, immobiliarista mediamente benestante in attesa di due gemelli dalla compagna psicologa (Valeria Golino). Ossola, tipo dubbio e con pochi scrupoli, vorrebbe fare il cosiddetto salto di qualità economico; con la frode ottiene dalla banca un finanziamento ipotecando la casa e mettendo i soldi ricevuti nelle mani del finanziere e dominus locale Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), coinvolto in poco chiari giri di borsa. Il secondo personaggio seguito è Carla (Valeria Bruni Tedeschi), moglie un po’ svampita, sognatrice e annoiata di Bernaschi ed ex attrice teatrale. Nel suo mondo ovattato fatto di giornate ripetitive, si mette in testa di restaurare un teatro, il cui neo direttore artistico (Luigi Lo Cascio) diventa in breve il suo amante. Nel vuoto disperato della sua esistenza, la notizia che il marito, in forti difficoltà economiche, anziché finanziare la riapertura del teatro, venderà lo stabile per la creazione di un blocco di appartamenti, fa crollare le sue difese. La terza vicenda è quella di Serena Ossola (Matilde Gioli), figlia di Dino e fidanzata (di facciata) del figlio dei Bernaschi Massimiliano (Guglielmo Pinelli). Serena, tipo caparbio e un po’ sui generis, ha intrecciato una relazione di amicizia e affetto con Luca (Giovanni Anzaldo), “drogato” del paese con una dubbia reputazione e un cuore sensibile. Intorno alle bugie di Serena, l’unica a sapere chi guidasse il Suv che ha provocato l’incidente in cui è rimasto coinvolto il cameriere, si dipana la storia delle due famiglie.
Il capitale umano del titolo è l’ “insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo, acquisite non solo mediante l’istruzione scolastica, ma anche attraverso un lungo apprendimento o esperienza sul posto di lavoro e quindi non facilmente sostituibili in quanto intrinsecamente elaborate dal soggetto che le ha acquisite”. Un capitale umano che sembra, nei personaggi rappresentati, avere un risvolto del tutto amaro e pessimista. I rapporti tra i diversi caratteri si basano essenzialmente sulle bugie, sul non detto, sull’incomunicabilità; la freddezza dei personaggi si riflette nel paesaggio gelido e anonimo, in un Nord Italia non meglio definito dove a fare da padrone sono il soldo e l’apparenza. Il rapporto tra i due giovani è un fidanzamento solo di facciata, senza sostanza; la fantasmagorica villa dei Bernaschi chiude nelle sue belle stanze la solitudine della padrona e i loschi affari del padrone; la villetta piccolo borghese degli Ossola e l’iscrizione di Serena alla prestigiosa scuola locale nascondono un riscatto sociale ed economico (ci si può chiedere, in fondo, se sia un “riscatto” veramente necessario) che il capofamiglia non ha mai ottenuto. Ornate fa da sfondo alla crisi: crisi economica, crisi dei valori, crisi della famiglia. Dino Ossola pronto a svendere la firma della figlia per ottenere il prestito in banca (e che successivamente, in misura maggiore, sarà il personaggio chiave per la risoluzione del film), Bernaschi pronto a svendere le passioni e i desideri della moglie legati alla ricostituzione del teatro senza rammentarsi di fargliene parola, Serena pronta a svendere il primo colpevole per nascondere la verità. Un film dove si fatica a trovare un solo elemento positivo nei personaggi: l’unica che pare intoccata da questo modo di ragionare, la psicologa Golino, resta un carattere marginale, che non riesce a incidere nella realtà in cui vive.
Virzì ci consegna un ritratto di un’Italia disperata che ci piacerebbe ignorare ma che tocca inevitabilmente per la sua crudezza e la sua veridicità. Tuttavia, si sente che il regista non è pienamente coinvolto nella materia trattata: essendo persona di mestiere ha saputo affrontare anche questa sfida, ma senza dubbio i toni del thriller gli sono molto meno congeniali rispetto alla sua abituale, bellissima filmografia di commedia all’italiana.
Tag: cinema, paolo virzì, il capitale umano
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