Informarsi per comprendere
Da molti anni ormai lavoro nell’infanzia come psicoterapeuta/psicomotricista funzionale e dall’esperienza che ho accreditato posso promuovere un nuovo modello teorico sui DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) che sembra far emergere interessanti spunti di riflessione sul piano diagnostico, riabilitativo e sulla reale possibilità di prevenzione di tali disturbi.
Attraverso l’uso di terapie come la psicomotricità, la pet-terapy, la cucino-terapia, la musicoterapia, la life-terapy co-familiare, le fattorie didattiche, l’ippoterapia, la terapia dell’urlo e delle emozioni, yoga-baby, etc. ho notato che per ogni paziente i risultati sono sempre più soddisfacenti e che si evolvono con ritmi rapidi quanto è rapida la crescita del paziente/bimbo preso in esame.
Con questo articolo voglio rendere a genitori e agli insegnanti delle informazioni e degli strumenti utili per identificare un DSA e/o un qualsiasi altro disturbo infantile cognitivo-comportamentale per creare una rete di comunicazione e di osservazione, che solo gli insegnanti e i genitori ben informati possono fare con la tempestività che offre rispettivamente ogni loro ruolo nella vita del bambino, ma senza oltrepassare professioni che non si improvvisano, comprendendo come e quando lasciare il caso al Terapeuta o il Neuropsichiatra infantile, senza tentare improvvisazioni, perché a risentirne ne sarebbe il bambino, caricato di attenzioni o di ansie magari inutili al suo caso.
ATTENZIONE: Tengo a precisare che è necessario che tutti coloro che hanno a che fare con infanzia “a rischio” si informino diligentemente, poiché troppo spesso come tecnico, mi trovo a dover “recuperare” i danni fatti da scuole e famiglie tendenti ad improvvisare “un fai da te terapeutico” arrivando con una sorta di diagnosi già stilata, ma che in realtà non è altro che un accumulo di allarmismi, confusione e poca informazione su ciò che va trattato; se invece tutto si fa nel rispetto delle giuste informazioni da acquisire, scuole e famiglie sono le fonti più preziose per un percorso di cura di successo che il terapeuta andrà ad attuare.
Quindi, è giusta un’ osservazione attiva ma, prima di parlare di dislessia, discalculia (disturbo del calcolo), ritardi mentali, iperattività, schizofrenia, autismo etc., bisogna interpellare un esperto, in grado di identificare la natura di un comportamento anomalo e permettere la messa in atto della cura giusta.
Ed è giusto trovare il terapeuta con cui ci si sente in empatia e a proprio agio poiché nell’eventualità di dover affrontare un periodo medio/lungo di cura, la chiave per il successo è la fiducia che deve instaurarsi nella relazione medico/paziente/famiglia.
Nel mio metodo da molti anni l’approccio è fatto di una relazione costante e continua con il paziente, in cui il rapporto medico-paziente è stato “rivoluzionato”, arricchito dal fattore umano e posso affermare quanto questo abbia influito positivamente con il contesto terapeutico.
Con i bambini e gli adolescenti è importante creare un rapporto professionale fatto di comunicazione, fiducia e senso di “vicinanza”; spesso infatti, accade che sono io ad andare dal paziente e non viceversa, poiché inserendo la figura terapeutica nei luoghi e negli spazi personali del bambino è possibile costruire insieme la struttura solida su cui verranno messi i risultati che man mano si otterranno, e non dovendo affrontare i timori che sorgono in uno studio medico il bambino/ragazzo nel suoi spazi si sentirà più al sicuro e potrà raggiungere gli obiettivi con molta più serenità.
Riconoscere il disturbo e le sue origini
Premetto che i disturbi dell’ infanzia possono avere una forte influenza da parte dei fattori socio-ambientali e dalle modalità genitoriali.
Quelli dell’ apprendimento vanno sicuramente individuati nella scuola e spesso anche attraverso il parere della classe. La vita scolastica di chi ha un Disturbo Specifico dell’Apprendimento può essere piuttosto difficile, a casa ad esempio in virtù di questo potrebbero manifestarsi rifiuti nel voler frequentare la scuola o disturbi pscico-somatici (inappetenza, ansia, attacchi di panico, continui mal di pancia, emicrania, insonnia, etc). A scuola il problema è sempre diverso, a seconda sia del tipo di disturbo, sia dell’età e quindi anche della classe frequentata. In linea di massima, si verifica che, nell’ambito dei diversi cicli scolastici, man mano che la classe frequentata cresce (Prima, Seconda, Terza…), con essa crescono i problemi (difficoltà nel relazionare, blocchi del linguaggio, balbuzie, disturbo di Tourette (tic motori e vocali), sudditanza ad atti di bullismo, isolamento volontario, etc)
Le richieste legate all’apprendimento si fanno sempre più importanti e così il disturbo si fa “sentire” sempre di più: questa tendenza, però, può col tempo cambiare, quando gli studenti, crescendo, tendono a “compensare” i propri disturbi: può accadere (e di fatto accade spesso) che già nei primi anni di scuola Secondaria di II grado, si assista ad un evidente cambiamento, grazie al quale l’adolescente tende a fare sempre meno fatica.
A ciò concorre, da un lato, il fatto che la diagnosi sia stata fatta tempestivamente e quindi si siano attivati precocemente tutti gli aiuti indispensabili; dall’altro lato, alla compensazione concorrono la crescita e la conoscenza di sé stessi, dei propri limiti e delle proprie possibilità con un buon livello di autostima, ma tutto questo può avvenire sempre e solo se il bambino in questione non viene lasciato solo ad affrontare le proprie “fragilità”.
Per quanto riguarda i disturbi psichiatrici infantili, il discorso cambia per alcuni versi, rimanendo invariato per quanto riguarda la possibilità che la sintomatologia iniziale possa essere simile ma differenti sono sicuramente le cause (es. un bambino che presenta un DSA nell’attenzione potrebbe avere un problema che invece potrebbe riguardare deficit uditivi o in casi gravi altre patologie più serie) e quindi il piano terapeutico sarà fatto da diversi interventi professionali.
Oppure ci potrebbe essere una forte difficoltà nell’ identificarli, poiché spesso i bambini possono sviluppare, senza apparenti motivi, atteggiamenti di non-collaborazione (es. con soggetti autistici e con soggetti affetti da ritardo mentale), in questo caso è necessaria la collaborazione attiva della famiglia per raccogliere dati importanti, ma spesso questa può presentare vari difetti (come non essere sufficientemente osservatrice, essere mossa da interessi particolari, avere un giudizio disturbato da interferenze affettive, non voler accettare il problema, etc).
I genitori spesso necessitano di aiuto per essere guidati nella strada che dovranno percorrere dal riconoscimento della diagnosi del figlio.
Noi tecnici abbiamo il dovere di supportare questi nuclei familiari per dare loro la possibilità di poter vivere al meglio una vita “a braccetto” con il deficit, se questo dovesse essersi cronicizzato. Pensiamo solo, per fare un esempio, alle famiglie di ragazzi autistici che al compimento della maggiore età di questi perdono diritti da parte dello stato come se nello spegnimento delle candeline la malattia cessasse… non è così!
Con questo voglio dire che la collaborazione tra esperti, scuole e famiglie è doverosa e necessaria!
Ora vi farò vari esempi per darvi un idea di come un giusto intervento può fare gli interessi del paziente, un esempio di come, invece, la mancata sincronizzazione tra scuole/famiglie e tecnici sia un deterrente, e un ultimo esempio di come un comportamento al di fuori degli schemi evolutivi può essere trattato come altro , aggravando cosi lo sviluppo del soggetto:
Es.1 Se un bimbo con difficoltà psicomotorie, al parco in presenza di altri bambini, non riesce a socializzare, durante il percorso terapeutico comprenderà come riuscire a relazionarsi attingendo dalle sue stesse capacità e rispettando possibili limiti, evitando così di accrescere nel suo sviluppo evolutivo la struttura mentale di sentirsi e di viversi come “un diverso”, e sentendo la presenza del Terapeuta negli spazi di vita quotidiana (casa, suola, palestre) avrà la possibilità di rapportarsi con chiunque con affidabilità e con molta più sicurezza.
Es2. Se un bambino ha un blocco del linguaggio, o altri atteggiamenti anomali ma che per qualche ragione creano allarme per la modalità in cui si manifestano e/o si aggravano, non comportatevi come con un normale bambino timido o molto timido improvvisando terapie d’urto o atteggiamenti che spesso mi vengono identificati come tentativi per “sboccarlo”: qui non parliamo di macchine fatte di pulsanti, ma parliamo di possibilità di disturbi gravi poco conosciuti nelle scuole e tra i genitori, come il Mutismo Elettivo, che spesso viene aggravato da incidenze di adulti o di tecnici poco esperti che invece di intervenire nei tempi e con approcci giusti, rischiano solo di rendere irreversibile il problema.
Es.3 Spesso vengo interpellata perché il bambino/a da prendere in esame viene identificato, da vie inesperte, come un soggetto iperattivo e viziato. Negli ultimi anni le chiamate con questa introduzione sono cresciute a dismisura, in alcuni casi si erano avvicinati alla giusta diagnosi, in altri invece – cosa gravissima – si è creata una vera e propria devianza perché magari il soggetto era un bambino affetto da qualcosa di più grave e quindi da una sua sofferenza più profonda. In alcuni casi purtroppo erano traumi, insomma, alcuni erano casi che solo un esperto avrebbe potuto riconoscere come il disturbo oppositivo-provocatorio caratterizzato da comportamenti negativi e di sfida, spesso diretto verso genitori e insegnanti, generalmente evidenziato verso gli 8 -10 anni, e che spesso mostra soggetti iperattivi, agitati e violenti, con i quali si deve intervenire andando oltre un percorso rieducativo.
I consigli di Mia
Per prima cosa rivolgersi a chi ha competenze per stilare delle diagnosi precise e corrette sul rapporto causa-effetto rispetto alla molteplicità dei fattori coinvolti appena si ha il sospetto che ci sia qualche comportamento che va al di là di un periodo “particolare” del bambino/ragazzo.
È un bene se i genitori dei soggetti si decidono ad affrontare un percorso psicoterapeutico per riconoscere gli effetti e ridurre quelle che sono le implicazioni relative alla loro genitorialità
Si può preparare un reale programma di prevenzione prima dell’ingresso nella scuola primaria per intervenire con percorsi che favoriscano il funzionamento e l’arricchimento percettivo.
Fondamentale spiegare al bambino/ragazzo in cosa consistono le sue difficoltà e proporgli in maniera positiva e stimolante i suoi “nuovi strumenti di lavoro”. Per far sì che non siano vissuti come una diversità ma come il percorso alternativo per raggiungere gli stessi obiettivi dei compagni: imparare! Anche in questa fase è possibile rivolgersi a psicologi specializzati e verificare la presenza nella propria zona di post-scuola o laboratori per DSA e varie attività terapeutiche.
Importante intervenire subito per evitare al bambino l’esperienza di tutta una serie di insuccessi scolastici senza che ne comprenda il vero motivo ma sentendosi solo “inferiore” rispetto ai compagni. Il senso di insuccesso prolungato genera scarsa autostima nel bambino; dalla mancanza di fiducia nelle proprie possibilità può scaturire un disagio psicologico, emotivo e relazionale, che non facilita l’apprestarsi del bambino alla vita scolastica, e che nel tempo può strutturarsi in manifestazioni quali aggressività, forte chiusura e timidezza, scarsa socializzazione, depressione.
Frase del Giorno
“Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo”.
M. Montessori
Tag: parliamone, mia d'andrea, psicologia, DSA, disturbi specifici di apprendimento
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