“Dobbiamo rivalutare il significato di ozio dandogli la connotazione positiva di ricerca del piacere all’interno del difficile mestiere di vivere” dice un signore scozzese dell’Ottocento di nome Robert Louis Stevenson – tra l’altro autore de “Lo strano caso del dr. Jekyll e mr. Hyde” e “L’isola del tesoro” – nel suo libriccino “Elogio dell’ozio” del luglio 1877.
Oziare in nome dell’arte sarà la nuova missione: da oggi cambiamo registro. Ripensavo in questi giorni che proponendo un’altra mostra di arte canonica alla fine mi sarei annoiato nel raccontare sempre la solita storia: così mi sono fatto rapire dall’otium. L’etimologia della parola ozio si riferisce all’essere un’attività volta alla ricerca intellettuale e che i greci attribuivano alle classi dominanti dedite alla filosofia, politica, poesia e teatro; il suo contrario, negotium, fa riferimento al mondo degli affari e quindi alla ricerca di profitto attraverso i lavori manuali.
Come vediamo su molti vasi greci, mi sono messo idealmente su un triclino a non fare un bellissimo niente, pensando a cosa proporre e, alla fine, ho escogitato una linea “b” all’interno del pazzo mondo dell’arte.
Ripensavo che ho sempre parlato, talvolta annoiando i miei lettori, di arte intesa come statue, quadri, fotografie senza portare altri esempi di questo affascinante mondo culturale. Sentivo la necessità di esplorare, esplorare e ancora esplorare perdendomi quasi. Mi sono promesso di cambiare registro. Basta; stop! Quest’oggi parleremo di moda! Non sarò il miglior intenditore del settore, ma ho alcuni amici stilisti, fotografi e intenditori del settore: modestamente anch’io ci metto il becco!
La prima cosa da fare è sdoganare quel concetto che lega la moda al mondo della superficialità e dell’apparenza andando perciò a considerarla come fattore culturale: infatti, nella ricerca storico artistica, si usa la storia del costume anche come strumento volto alla datazione di un quadro soprattutto per quanto riguardano le opere di artisti o scuole minori. Il trucco è molto semplice: grazie agli abiti possiamo inserire all’interno di un’area geografica e cronologica un’opera d’arte. Arte e moda fanno parte della storia del buongusto ed entrambe sono assecondate dall’inclinazione del momento.
Musei che ripercorrono cronologicamente la storia della moda ce ne sono molti in Italia (cito la Galleria del Costume a Palazzo Pitti, Firenze) ma il mio intento odierno è quello di parlare di scarpe.
Le calzature sono nate dall’esigenza di poter camminare comodamente durante i lunghi spostamenti senza mezzi di trasporto per la ricerca di cibo e risorse quando la società 2.0 non era ancora minimamente immaginata. La scarpa viene al mondo dalle forme più semplici (sandali) e successivamente, facendo un salto cronologico micidiale alla corte di Borgogna (tardogotico francese), incontriamo le poulaine ovvero babbucce la cui lunghezza della punta stava a significare l’importanza del proprietario; altro esempio da citare è l’avvento del tacco alla corte del Re Sole: Luigi XIV, pur essendo il più grande uomo di Francia, non aveva ricevuto il dono dell’altezza per cui gli era necessario qualche centimetro in più. Successivamente poi, la moda d’Europa mantenne il tacco solo in ambito femminile.
L’Ottocento industrializzato vede l’introduzione nelle catene di montaggio del prodotto scarpa. Il Novecento è il secolo dove gli stilisti si sono sbizzarriti nelle più svariate fogge creando vere e proprie malattie per il prodotto scarpa: “Sex & the city” ne è un valido esempio e Carrie Bradshaw ha una strepitosa collezione di Manolo Blanhick. Dice Carrie: “È così difficile stare dentro le scarpe di una donna sola. Per questo ne servono di veramente speciali. Per camminare un po’ più allegramente.” Frida Giannini, stylist per Gucci, sostiene che le scarpe col tacco dodici danno sicurezza alla donna nell’affrontare i grandi boss o le situazioni difficili; infatti, secondo queste due citazioni, passando nelle vie-tempio della moda, come via Tornabuoni, ad esempio, le scarpe hanno sempre il loro posto d’onore…e per fortuna! Ops! Mi sono confessato: anch’io devo ammettere di avere un piccolo debole al limite del patologico per le scarpe. Ognuno ha i suoi feticci e debolezze! Personalmente credo che la scarpa è quell’indumento legato intimamente all’eleganza e va saputo portare affinché loro potranno condurci nel mondo della raffinatezza. Parole come lusso e artigianato devono sempre essere accompagnate quando si parla di scarpe.
Vado al succo della questione senza dilungarmi ulteriormente: era il 1898 e a Bonito, il 5 giugno, nasceva quello che sarebbe diventato “il calzolaio delle stelle”, al secolo conosciuto come Salvatore Ferragamo. Il 1914 è l’anno decisivo della svolta dell’attività di Salvatore, germogliata a Torre del Greco, perché egli decise di partire per gli Stati Uniti raggiungendo uno dei fratelli che lavorava in una fabbrica di scarpe: lavorò per l’American Film e studiò anatomia all’University of Southern California. Studiare anatomia e metterla in parallelo con le sue conoscenze artigianali alla fine risultò il suo asso nella manica per stabilire il successo delle sue scarpe legate inoltre alla loro straordinaria leggerezza. Altra data da ricordare è quella del 1927, anno in cui tornò in America aprendo l’“Hollywood Boot Shop” guadagnandosi così in poco tempo l’appellativo di “Calzolaio delle stelle”. Il 1927 è l’anno in cui Ferragamo sposa la Toscana e in particolar modo Firenze poiché sede di ottimi artigiani pellettieri: il cuoio fiorentino doveva assolutamente esser usato per realizzare le sue creazioni di altissimo livello continuando così l’esportazione verso l’America. Il crollo di Wall Street investe il calzolaio ormai costretto a interrompere l’esportazione: fallisce. Decide che è giunta l’ora di rivolgersi al mercato interno raccogliendo favori positivi e così nel 1936 può affittare due laboratori nello storico Palazzo Spini Feroni in Via Tornabuoni proprio davanti all’Arno. Durante gli anni del regime diventano popolarissime le sue scarpe in sughero e rafia dove l’uso di materiali naturali non esclude il fattore estetico. Il 1938 tutto Palazzo Spini Feroni diventa di sua proprietà e il 1940 è l’anno del matrimonio con Wanda Miletti. A guerra finita, si apre il periodo d’oro di Salvatore Ferragamo: ormai il palazzo di via Tornabuoni è mecca del jet set internazionale comprese le case regnanti. Prendeva il calco del piede della cliente così da non farla tornare le volte successive a Firenze e perciò il gioco era presto ben fatto. A Firenze troviamo quello di Greta Garbo, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe e altre star. Muore nel 1960.
Quello che a noi interessa è: il Museo Ferragamo a Palazzo Spini Feroni. Il percorso museale accompagna il visitatore all’interno della biografia del creatore di questi bellissimi oggetti andando infine all’analisi dei dettagli tecnici e a tutti i segreti insiti in essi. La storia di Salvatore Ferragamo farà camminare il visitatore all’interno del fantastico mondo della moda e delle scarpe.
Per informazioni:
Museo Salvatore Ferragamo
Piazza Santa Trinita 5 50123 Firenze
Tel 055 3562417/055 3562846
www.museoferragamo.it
Tag: museo, moda, francesco cosimini, salvatore ferragamo, scarpe
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