Lettere del Pascoli a Caselli: ripubblicati testi fondamentali per conoscere il Poeta

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Il 6 aprile 1911 moriva Giovanni Pascoli, un anno fa partivano le celebrazioni per il centenario della sua dipartita. Un anno di celebrazioni a volte discutibili.

Rimarranno poche cose di quest’anniversario. Poche ma buone come il notevole volume del professore Umberto Sereni, l’opera di digitalizzazione dell’Archivio Pascoli, e due bei volumi editi da Maria Pacini Fazzi: “E la poesia venne a cercarci…” e “Lettere agli amici lucchesi” che la casa editrice lucchese ha deciso, saggiamente, di ristampare un testo che da molti anni era quasi introvabile, nonostante la richiesta da parte di lettori, appassionati e storici.

“Lettere agli amici lucchesi”   è un testo fondamentale per capire la personalità e quindi la poesia del Pascoli ma anche per ricordare il professor Felice Del Beccaro, insigne pascoliano, grande uomo di cultura lucchese, che si dedicò a quest’opera con spirito certosino, grande passione e umanità. Doti fondamentali per raccontare una personalità complessa come quella del Pascoli, ultimo Virgilio dal collo taurino, che troppo spesso è rinchiuso nella gabbia di poeta buono.

Gli “amici lucchesi” sono Gabriele Briganti, impiegato avventizio della Biblioteca Governativa di Lucca di cui poi divenne direttore, proprio in biblioteca il Pascoli lo conobbe, ma soprattutto Alfredo Caselli il droghiere amico di Giacomo Puccini proprietario del Caffè Carluccio (oggi Di Simo) che con il Pascoli instaurerà un amicizia intensa, disinteressata, ma non facile.

Il Poeta era ombroso, diffidente, irritabile geloso ebbe in gran coppia tutti quei difetti propri di un temperamento femminile e, insieme, ne ebbe le virtù: ipersensibilità, delicatezza, soavità. Caselli, di dieci anni più giovane, gli rassomigliò.

Non mancarono, tra i due, quindi, screzi e  litigi che però si stemperavano sempre. Non poteva essere altrimenti.

“Ho trovato finalmente uno più timido di me e non ti lascio più andare. Vieni… metteremo insieme le nostre due timidezze e ci aiuteremo a vicenda” gli scriveva il Pascoli che secondo la tipica psicologia dei timidi preferiva i rapporti epistolari ad ogni altro tipo rapporto. E così anche l’amico droghiere.

Nella sala pascoliana della biblioteca governativa di lucca è conservata la gran parte del carteggio tra Pascoli e Caselli durato tredici anni (dal 1898 al 1910).

337 lettere, 185 cartoline, 4 note, 2 biglietti e 14 telegrammi scritte dal Pascoli al Caselli.

Scriveva tanto Pascoli, troppo.  Molto più di quando parlava: timido, impacciato, si trovava in difficoltà, in particolare, con le signore ammiratrici specie se intellettuali, a cui parlava con il capo piegato.

A Caselli, invece, confessò  incertezze, indecisioni, reticenze. Le sue sono lettere che vibrano di gioia panica e piccole miserie umane.

Pascoli, spesso non datava le sue  lettere la prima però sappiamo che è del 28 novembre 1898 la scrive da Messina. Due anni dopo chiede di passare al “dolce tu” al “primo arrivato al mio cuore”.

Dopo mesi visto che il giovane droghiere non cedeva al tu, il poeta scrive: “se non ho un tua lettera con il fraterno tu io non le scriverò il giorno del mio arrivo e castigherò così, molto più me che te”.
Appuntato proprio su questa lettera la risposta, in brutta copia, del Caselli: “ho ricevuto la tua lettere. Ma non so dire altro che ti voglio un gran bene e sogno di farti riposare un giorno almeno qui presso di me”.

Caselli si occupava dei servizi per il poeta che gli chiedeva dal suo eremo ora di aggiustargli
l’ambra della “pipetta” rotta, ora comprare le “bobines” per la sua Kodak con cui si dedicava alla fotografia, ora di vedere di una bicicletta “usata, da servirsene Tono per mio servizio, e da impararci alla chetichella d’andar su anch’io”.
Si premurava poi di mandargli “buoni prodotti”: vino, “squisiti biscottini che ci indolciscono ancora la bocca e l’anima”, torroni, salcicce, formaggi, “fagiolini bianchi”, lenticchie.
“Ti prendi troppi disturbi” gli diceva il Poeta.

Attraverso le lettere si ripercorre la vita degli ultimi anni del Poeta che parla della sua esperienza (non certo indimenticabile) nell’Opera italiana con il testo “Il Sogno di Rosetta” musicato da “un cecolino di Spezia (parla di Carlo Alfredo Mussinelli, ndr) protetto da Luigi d’Isengard, del suo sogno di creare il suo foglio “italo-europeo” chiamato “Giornale dei Liberi” e alcune sue visioni politiche non che definizioni di se stesso: “non sono né socialista né anti”, “io sono un borghese”.

Ma soprattutto è il loro rapporto sempre a essere presente tra le righe delle lettere. Il sentimento, la lontananza, l’assenza: “non tacere” gli dice dopo un po’ che non riceve lettere. “Mandami ogni tanto tue notizie” e confessa “temo che gli amici mi abbandonino”, “sento un gran desiderio di averti qui”, “ho bisogno di te”.

“Lettere agli amici lucchesi” è un libro intenso, bellissimo proprio perché racconta della nascita e dell’evoluzione di una storia di amicizia, unica, intensa. Fatta di alti e bassi in cui si mischiano piccolezze e grandezze umane di due animi fragili, delicati, sensibili che alla fine della lettura sono più vicini a noi, proprio per le loro debolezze, per i loro sentimenti, sinceri, quasi adolescenziali.

Caselli, dopo la morte, continuò a inviargli lettere. Affari, piccole faccende quotidiane. Mariù gli rispondeva firmando “Giovannino”.

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