Bianca come il latte, rossa come il sangue

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Leo (Filippo Scicchitano) è un adolescente come tanti, svogliato nello studio e diviso tra calcetto ed amicizie. Quello che lo distingue dai suoi coetanei è il sentimento per Beatrice (Gaia Weiss): un amore assolutizzante, sorto senza che la ragazza dai capelli rossi gli abbia mai rivolto la parola. Nel disperato tentativo di avvicinarla, Leo si astrae dall’amica di sempre Silvia (Aurora Ruffino) segretamente innamorata di lui, e segue i consigli del nuovo filosofico supplente di italiano, detto il sognatore (Luca Argentero). Finché, appena dopo poche parole scambiate, nel panorama piatto e placido dell’adolescenza del ragazzo subentrano le ancora sconosciute nemesi della malattia e della fine, sotto forma di una malattia che colpisce Beatrice. Il rischio di perderla diventa però in questo caso un’opportunità di crescere.

Bianca come il latte, rossa come il sangue appare anzitutto come un’occasione sprecata. L’aver messo accanto una brava promessa del giovane cinema italiano come Scicchitano a un Luca Argentero che ormai più o meno fa sempre il verso a sé stesso, poteva essere una buona idea di partenza. Non tutto nel film è sprecato, si intenda: la volontà di fare un film di ragazzi e per i ragazzi resta sincera. Qualche caduta c’è, soprattutto qualche sorriso forzato, piccoli episodi inevitabili, luoghi comuni ricorrenti.

Un apprezzamento va al fatto che la pellicola parla di un’adolescenza universale: un modo di essere che fortunatamente va al di là dell’evoluzione tecnologica e cibernetica, del linguaggio rattrappito e della strafottenza da bulletti. I giovani rappresentati in questo film si affacciano alla vita con sentimenti autentici e sinceri, scevri dalle storture del mondo contemporaneo, da ideologismi o da apatia. I sentimenti di un ragazzo come Leo sono talmente universali e talmente riconoscibili che egli può addirittura arrivare a riconoscersi, a confrontarsi con un Dante ragazzo che settecento anni prima aveva cercato di conquistare un’altra Beatrice.

La calma e la piattezza tipiche dell’adolescenza, periodo intenso di cambiamenti ma dalle abitudini regolari, cadenzate, viene precocemente sconvolto: il muro delle abitudini è infranto dalla malattia della ragazza amata. Malattia che rischia di strappare via una giovane vita, che appare agli occhi di Leo e dei suoi amici come un elemento non solo estraneo e perturbante, ma addirittura incomprensibile. Il coraggio del ragazzo sarà, dopo un primo momento di spaesamento e di fuga, nel non voltare le spalle alla difficoltà, al mondo sconosciuto, ma di affrontarlo, e affrontarlo necessariamente con i propri strumenti: un atteggiamento scanzonato, una sensibilità concreta, un affrontare le emozioni di pancia. Il film si involve però ben presto dentro la propria storia: le emozioni che riesce a tirar fuori Scicchitano (il resto del cast è a livelli piuttosto mediocri) restano intrappolate dentro la ragnatela della trama, caratterizzata da uno sguardo basso e autoreferenziale.

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