Tra una pioggia e l’altra di questa pazza Primavera, certamente abbiamo avuto occasione di ripercorrere le vie del Castello di Barga, da quelle più ampie e centrali ai vicoli stretti e tortuosi, dove l’anima si riposa e ritempra in fantastiche visioni di storia; udendo non di rado come un serico fruscio accompagnarci nel fantastico di un mondo percepito nella visione di un busto o di una pietra serena scolpita con segni, a volte, a noi arcani nel significato.
All’improvviso ecco però che qualcosa ci viene incontro a scioglierci dall’incanto: una piccola storta al piede causata dal selciato che non consente troppa estasi contemplativa, bensì vuole a sé tutta la nostra attenzione. Ora una serie di pietre che formano un lastricato è bene evitarle girandogli attorno per scansare un dondolio della persona un po’ troppo ardita: che sia l’età nostra? Oppure manca del cemento a fermarle. Il luogo è la via del Duomo che sale sul lato sinistro ad affiancare il Teatro, in antico detto delle Commedie, poi, ricostruito, prendendo per nome Indifferenti e infine Differenti.
In altri selciati non sono pochi gli avvallamenti, con sconnessioni delle pietre, come in via del Pretorio, quella strada che da Porta Reale conduce alla base del Duomo; la via più frequentata dall’ospite di Barga, che salito all’antico Castello, ha scelto come sosta la piazza che tramite Porta Reale lo condurrà alla meta principale della visita, il millenario Duomo.
[dw-post-more level=”1″] Di solito questi signori, rimirato in ogni dove il monumento nazionale, ammirato lo straordinario panorama che Indro Montanelli nell’articolo Ritratto di Barga e scritto per il Corriere della Sera nel 1958, definì memoria panoramica al Vistavision di un quadro del Quattrocento, poi ridiscendono alla scoperta delle altre attrattive del Castello; ecco che ritornano le dolenti note.
La citazione di Montanelli non è casuale o usata per dare tono al presente articolo, ma ci porta invece a una riflessione che lì si coglie. Infatti, narrando della sua salita al Duomo così si espresse:
Il Duomo… a quasi mille anni di vita, e sorge sul cucuzzolo più alto di questa scoscesa città, di fronte ai picchi delle Panie, ancora venati di neve. E’ il microscopico Partenone di Barga, cui si ascende per una strada che gira a voluta larga e a scalini lunghi, perfettamente lastricata, linda come una corsia d’ospedale…
La riflessione viene dalla relazione tra quel passato e il presente, dove, per quanto detto e diremo, anche se non tutto, è tangibile la trascuratezza in cui versa il Castello di Barga, non tanto il Duomo, ma le sue strade in genere.
Così continuava Montanelli:
La città di Barga ha quattromila abitanti, eppure è molto più città di quanto non lo siano Empoli, Prato e tanti altri paesi che di abitanti ne hanno il doppio, il quadruplo o il decuplo. Le sue strade scoscese non sono più larghe di una calle veneziana, ma coloro che vi passeggiano senza mai affollarle sono più cittadini dei pisani o dei livornesi. Ho il sospetto che a Barga si vendono solo scarpe risuolate in gomma, perché sui selciati incredibilmente lindi, i passi risuonano appena.
Colpisce il finale nella bella descrizione montanelliana di Barga, quei selciati descritti incredibilmente lindi. La parola “lindo” ha un suo preciso significato, che esprime pulizia e ordine delle cose o della persona. Ovvio che le strade da lui viste erano pulite e visivamente ordinate.
Da allora, quel 1958, sono passati tanti anni, più di mezzo secolo, e la vecchiaia s’è fatta certamente sentire; così vale per la cementata via delle Fontane, che da ragazzi, primi anni sessanta, era la nostra pista da carretti, scivolanti su cuscinetti di acciaio usati e smessi dalle macchine. Oggi non potremmo considerarla tale perché è impraticabile e in un brutto stato alla sola vista.
Sentiamo ancora Montanelli:
Ogni poco c’è una piazza non più grande d’un cortile, su cui sgrondano terrazzini e finestrelle tempestate di fiori. Quasi ogni palazzo ha una sua lapide che racconta la storia del suo inquilino più illustre. Nessuno di essi è una meraviglia architettonica, ma tutti hanno un decoro e una dignità che i Pitti e gli Strozzi hanno perso da tempo.
Quest’attenzione al decoro e dignità che traspariva nei palazzi di Barga ci porta a considerare quanto di ciò è rimasto tra noi e il risultato è confortante. I palazzi del Castello sono forse migliorati da allora, con tanti interventi aumentanti, in qualche caso, la loro bellezza e fascino. Per esempio, questo lo possiamo costatare essenzialmente nell’antico palazzo Bertacchi di via di Mezzo, dove la bella facciata seicentesca, ricordata bigia e scalcinata come il bel campaniletto di S. Niccolò di pascoliana memoria, tanti anni orsono è stata rimbellita sino ad accogliere nei suoi interni, in una mostra permanente, l’arte del suo ultimo possessore: Bruno Cordati, che lì dipinse i suoi ultimi quadri.
Oggi vi abita la figlia prof.ssa Bruna con suo figlio Giordano Martinelli; persone discrete ma sempre accoglienti con gentilezza e garbo. Pare all’incontro che abbiano in sé l’antico spirito di Barga, fatto di tante attenzioni, come a non disperdere il segno dell’illustre barghigiano, un personaggio del mondo della pittura che toccò anche le stanze della biennale di Venezia o della quadriennale di Roma.
In loro, oltre al riguardo per il genitore, c’è anche quello per il bel palazzo, che negli spazi liberi dalla mostra e dalla loro abitazione, hanno predisposto anche un’accoglienza turistica, ma non difettano nella cura di tutto quanto lì possiedono. Infatti, nel dicembre 2011 caddero dei sassi dall’antico bastione delle mura castellane, quelle che sorreggono l’orto cosiddetto Bertacchi, oggi Cordati. Lo mostrammo con un articolo e oggi dobbiamo dire che ci fu il loro pronto intervento a sanare quella pericolosa rottura, con una rivisitazione del resto di quelle mura.
Abbiamo detto di loro ma potremmo parlare anche di altri che hanno dato il loro contributo all’abbellimento del Castello, augurandoci che ognuno possa fare la sua parte, come nel caso il Comune per le strade e altre strutture d’interesse storico e turistico.
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