Giornata della memoria: a Barga una supertiste di Ravensbrück

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In occasione della Giornata della memoria, che si celebrerà il 27 gennaio, l’amministrazione comunale di Barga come ogni anno ha organizzato un incontro con  una superstite dello sterminio. Dopo Piero Terracina, deportato ad Auschwitz, e Gilberto Salmoni, condotto a Buchenwald, venerdì 18 gennaio alle 11 presso l’aula magna delle scuole sarà ospite Mirella Stanzione intervistata da Andrea Giannasi. La sua storia si intreccia con quella di una vicenda per molti anni taciuta: l’esistenza di un campo di sterminio dedicato solo alle donne: il campo di Ravensbrück.

Aveva 16 anni quando il 2 luglio del 1944 le SS entrarono nella sua casa cercando il fratello partigiano. Mirella fu presa con la madre e condotta al carcere di La Spezia e poi a Genova. Da lì, considerate nemiche, furono portate al campo di concentramento di Bolzano; poi la loro destinazione fu Ravensbrück, un campo di internamento i cui lavori iniziarono il 25 novembre 1938 su ordine di Himmler a 90 km da Berlino. Dovevano accogliere solo donne e fornire manodopera per le industrie. L’apertura ufficiale avvenne il 15 maggio 1939 e dal 1942 fu anche luogo di sterminio) e che raccoglieva essenzialmente donne e bambini.

«Arrivammo là dopo un viaggio di sei giorni e sei notti. Noi ed altre sessanta compagne fummo trasportate su un carro bestiame sigillato; eravamo in condizioni pietose, senza nemmeno il vaso per i nostri bisogni personali».

[dw-post-more level=”1″] «La memoria – racconta Mirella Stanzione – induce una selezione dei fatti, scarta, cancella: per questo chiedo aiuto alle mie compagne di sventura, anche se in fondo per me dimenticare è stato un bene». La prima scena che vide scendendo dal treno fu tremenda: «Vidi molte figure in colonna, magre, affaticate, sporche e rasate: a tutto somigliavano fuorché a donne».

Queste indossavano le divise del campo, con il loro numero; presto anche Mirella Stanzione per le SS divenne solo un segno (il triangolo rosso dei deportati politici) ed un numero, 77415. «La cosa più urgente – racconta – era imparare il suono del mio nuovo “nome” in tedesco, per evitare botte e ritorsioni; lo feci, ma mi sono sempre rifiutata di imparare la lingua».
Iniziò un lungo percorso fatto di umiliazioni, privazioni, negazione. Il campo di sterminio è soprattutto campo di cancellazione dell’identità. Per questo le donne vengono private dei capelli, degli oggetti personali, dei vestiti e esposte nude a torture e sevizie di ogni genere.

In questa logica anche quella del lavoro inutile. Per esempio spostare enormi sassi da un posto all’altro e una volta terminato ricominciare rimettendo tutto al posto iniziale.
La deportata ha la fortuna di essere impiegata in una industria e quindi stando al coperto riesce a sopravvivere.
A Ravensbrück  la giornata iniziava alle 4 con l’appello e terminava con un altro appello alle 18. In mezzo tormenti, fame, pidocchi, punizioni e tanta crudeltà. Eppure in questo inferno nacquero quasi 900 bambini.
Si stima che tra il 1939 e il 1945 il campo di Ravensbrück abbia ospitato circa 130.000 deportati, dei quali 110.000 donne. I documenti sopravvissuti alla distruzione da parte delle autorità del campo indicano circa 92.000 vittime.

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