“Bene o male l’importante è che se ne parli” diceva Oscar Wilde. Tutto vero tranne che poi quando se ne parla male a sproposito per il semplice gusto perverso dell’infamare è bene chiarire le cose e non lasciare che vaghino in giro notizie false, soprattutto, quando si ha una spina dorsale e una coscienza chiara.
Alessandro Ferri a poco più di due settimane dall’uscita del suo libro “Siamo sicuri che tutto il mondo sia paese?” edito da Garfagnana Editrice lanciato con un’intervista esclusiva del nostro giornale e presentato, con successo di pubblico, a Gorfigliano, ha preso carta e penna e con il cuore e lo stomaco ha scritto una lettera di sfogo per intervenire “una volta per tutte” per chiarire equivoci e false voci che sono nate dopo l’uscita del suo testo.
Attenzione: Ferri, sapeva bene che con il suo scritto avrebbe smosso le acque, avrebbe fatto inferocire “alcuni personaggi condottieri del disfacimento popolare” per la messa a nudo “della demagogia di un’ ampia fascia politica, della creazione di tanti nuovi racconti fantastici attorno al mio personaggio”. Era già pronto a critiche e a voci sibilline lo aveva chiarito, cassandrianamente nell’ultimo capitolo del suo scritto: “Giunti a questo punto i vostri falsi tribunali cominceranno a varcare le soglie dei bar, le porte di ogni casa, alimenteranno molte discussioni nelle aie paesane, riempiranno le vostre serate trascorse con il sedere appoggiato su qualche muretto. No! E’ inutile che neghiate. Sono un gorfiglianese doc io, e come conosco bene il mio paese, altrettanto bene conosco molta della sua gente. E allora perché dar vita a nuovi, tanti, falsi tribunali?”
Più chiaro di così… però Ferri non si sarebbe aspettato -come ci ha confessato- che “a tener banco fosse l’attenzione e la ricerca forsennata ad una risposta verso i piccoli dettagli”.
Cose insignificanti, marginali che però da qualcuno sono state prese a pretesto per pettegolezzi che sfioravano quasi la diffamazione. Gli esempi ce li fa lui stesso: “Chi sarà la zia, ottimo giudice ma totalmente indifferente alla condizione improvvisa in cui versava il proprio nipote?”; “Quali saranno gli abitanti delle case popolari assegnate e lasciate ingiustamente a chi aveva, e si è creato poi, una condizione sociale agiata?”; “Quale sarà il nome del compagno di classe che evidenziò l’anomalia all’interno del partito?”; “Quali sono gli incassi che la chiesa percepisce dalla festa della Madonnina dei cavatori, se la vendita dei ceri viene totalmente devoluta al comitato?”.
Domande, passateci il termine, stupide e pettegole. “Il mio libro, semplice e scorrevole, caratterizzato da tratti volutamente banali, per far sì che il tutto venisse appreso con facilità dalla più ampia platea popolare, evidentemente non ha avuto il risultato ricercato” ammette Ferri che però, ora, ritiene giusto chiarire la situazione: “A fronte di tutto ciò cercherò di facilitarne l’apprensione; il testo prende il via descrivendo con attenzione il periodo infame della mia vita: “Anche io come lui ero affetto da un malore incontrollabile, artificiale, inspiegabile, dove attraverso accurate riflessioni sono riuscito a guarirne”; ecco il passaggio fondamentale del racconto! La mia “malattia”, risoltasi con la guarigione per mezzo di una presa di coscienza, sta a Gorfigliano come il suo malore potrebbe trovare una risoluzione attraverso una presa di coscienza generale. Quindi, io e Gorfigliano come esempio per indirizzarsi verso un messaggio più ampio”.
Una chiave di lettura lampante che noi avevamo già messo in evidenza nel nostro pezzo che ferri ha ritenuto giusto citare (e di questo lo ringraziamo).
Lo ribadiamo: quella di Ferri può essere un’analisi condivisibile o no, la scelta ai lettori (intelligenti e non). Si può essere anche in disaccordo ma gli va riconosciuto il merito dell’iniziativa, la freschezza dello slancio, l’entusiasmo degli ideali (condivisibili o non). Qualità veramente rare in questo tempo buio di appiattimenti e piccolezze umane.
Lo evidenzia anche Andrea Giannasi (che sin dal primo momento ha creduto in Ferri): l’unico scopo del libro è quello di far riflettere guardando il tutto da un’altra prospettiva.
“Credevo che il messaggio fosse scontato- conclude Ferri nella sua lettera- ma evidentemente mi sbagliavo; soffermarsi di fronte al muro, cercando una risposta alle domande sopra elencate, non porterà ad alcuna risoluzione, ma soltanto ad un ennesimo tentativo di lasciare le cose come stanno; aggirarlo significherebbe scoprire l’esistenza di altre prospettive, l’indispensabile bisogno di partecipazione, l’inadeguatezza dei “falsi tribunali” (descritti con attenzione all’interno del racconto) allo sviluppo culturale, politico, sociale. Pertanto, dopo aver chiarito la mia posizione al riguardo, ringrazio vivamente chi, dalla coda di paglia, sta collaborando al successo indiscusso del mio libro”.
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