La rivoluzione parte dagli “autorigeneranti”?

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“L’evento eccezionale che ha colpito” nei giorni scorsi “la Versilia e buona parte della lucchesia, città compresa (80 mm di pioggia a Lucca, 150 a Pontetetto in 3 ore), rientra tra quei fenomeni autorigeneranti che abbiamo imparato a conoscere lo scorso anno con le alluvioni della Lunigiana prima e di Genova poi”. Parola di di David Sesto, il nostro meteorologo preferito.

Non è, però, dell’eccezionalità dell’evento che voglio parlare. Tra l’altro, anche per chi ha memoria corta, questi eventi ritenuti eccezionali stanno diventando sempre più frequenti e una certa abitudine all’eccezionalità rende tutto più normale, sebbene non meno difficile quando non addirittura drammatico. In effetti, nei 43 anni della mia vita trascorsa a breve distanza dalle sponde del Serchio posso fare un elenco di eventi alluvionali di tutto rispetto. Natale 2009*, giugno 1992, poi un’alluvione della mia infanzia che non riesco a collocare. Tutto in un chilometro di raggio da casa mia. Se amplio il raggio ci sono la tragica alluvione che nel 1996 ha colpito Cardoso e Fornovolasco, qualche evento minore in varie parti della lucchesia, la tragica frana legata ad un nubifragio avvenuta a Vinchiana e qualcosa dimentico. Alla fine la pioggia può essere eccezionale ma il manifestarsi del dissesto non è poi così infrequente.

Ho l’abitudine di parlare con gli anziani. Ho trascorso ore a parlare con i miei nonni e con quelli di molti amici. Ore a parlare con la nonna di mia moglie (quasi 102 anni quando è passata a miglior vita). Ore ed ore a parlare con i nuovi anziani, quelli che hanno l’età di mio padre. In quelle ore ci sono alcune costanti e, riferendoci all’argomento dell’articolo, ne spiccano due che ben si integrano: piogge intense ce ne sono sempre state (del resto il tormentato rapporto di Lucca e col Serchio è storia, anche di santi) ma mai il nostro territorio è stato così poco curato.

Inutile girarci intorno: le nostre montagne, le nostre colline sono meno (talora per niente) coltivate. Le vecchie sistemazioni idraulico agrarie sono pressoché scomparse, salvo qualche intervento di “varia ingegneria” lungo i corsi d’acqua maggiori. Vigneti scomparsi, oliveti abbandonati, castagneti trasformati i boschi cedui poi abbandonati e talora percorsi dal fuoco, pinete devastate dagli incendi, coltivi ormai invasi dai cespugli nei quali non rimane niente delle vecchie regimazioni idriche. Il risultato sono movimenti franosi, erosione e una rapidità di discesa a valle dell’acqua forse mai conosciuta negli ultimi secoli.

A valle… e la valle? La piana? Il reticolo idraulico minore (si, le fosse dietro casa) in alcune zone è devastato. Incuria, abbandono, tombinature e cementificazioni sono imperanti in molte zone. Quando ciò non è accaduto il passaggio di una strada o di una ferrovia, una costruzione abusiva o chissà cos’altro hanno interrotto il fluire dell’acqua col risultato che intere zone si sono trasformate in gigantesche vasche in cui, in caso di pioggia intensa, il livello dell’acqua non può che crescere inesorabilmente fino alle porte di casa. Per non parlare di condomini e quartieri costruiti in zone storicamente inondate o, addirittura, un tempo concepite come casse d’espansione, cioè luoghi in cui in caso di piena l’acqua di fiumi e torrenti deve riversarsi.

Ad esser stati ripetutamente alluvionati in questi anni c’è da considerarsi fortunati: con le alluvioni arrivano i soldi e con i soldi si fanno interventi di messa in sicurezza. Questo allontana nel tempo il prossimo evento alluvionale.

Avrete capito che lo scenario è potenzialmente drammatico: mentre il clima sembra evolvere verso un’estremizzazione degli eventi piovosi il nostro territorio diventa più fragile per il progressivo abbandono colturale e culturale, le nostre case (e industrie) continuano a nascere dove non dovrebbero, con la crisi economica diminuiscono le possibilità di una completa e corretta manutenzione dei corsi d’acqua e con quella culturale i singoli delegano alle istituzioni quegli interventi che potrebbero curare personalmente. Dorando, un anziano falegname che viveva vicino a me, mi diceva sempre che quando era giovane la gente si litigava per falciare l’erba sui poggi (gli argini) dei canali e dei torrenti. Oggi pochissimi curano e puliscono la fossa dietro casa.

E’ evidente che se si continua così avremo bisogno di nuovi titoli ad effetto per i nostri giornali. E’ altrettanto evidente che non si può continuare così.

E allora come si fa?

Servono politiche nuove per il territorio ma prima di quelle serve una coscienza nuova. Certi concetti che spesso stanno più nelle dichiarazioni che nella realtà possono essere utili. Tornare a conoscere il nostro territorio, progettarlo partendo da chi ci vive, rafforzare filiere corte e produzioni a chilometri zero sono sentieri da percorrere per il futuro. Lo sono perché capaci di riportare le persone a curare la terra, in montagna come in collina e in pianura. Riutilizzare i molti volumi edificati esistenti anziché consumare nuove terre, magari edificando in aree a rischio idraulico è un altro percorso da intraprendere. Ascoltare gli esperti, coloro che hanno sapere tecnico o sapere contestuale (gli anziani che hanno memoria di ciò che vi è accaduto!), prima di decidere, quindi anteporre i saperi alle decisioni, la conoscenza alla politica. Questa è un’altra cosa da fare.

Alla fine mi sa che da un evento meteorologico sono passato ai massimi sistemi, ad una rivoluzione culturale che non sembra imminente ma di cui c’è bisogno da tempo. Una rivoluzione nelle nostre abitudini che oggi potrebbe essere a portata di mano grazie alla crisi economica. Una rivoluzione culturale che sarà anche economica. Un cambiamento nel quale dobbiamo avere ben chiara una cosa: non parliamo di buoni propositi per il mondo che verrà ma del nostro futuro immediato. Sempre che ci stia a cuore. A noi tutti la decisione.

* la foto utilizzata per questo articolo è stata scattata dallo scrivente nella mattina di Natale del 2009 tra San Macario in Piano e Santa Maria a Colle, lungo la strada statale Sarzanese  – Valdera.

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