Quello di quest’anno è stato certamente un X Agosto da ricordare, come era doveroso nel centenario della morte di Giovanni Pascoli. Mentre nella nostra Castelvecchio si è tenuta la straordinaria interpretazione dei versi del poeta da parte di Giancarlo Giannini, a Villa Torlonia si è tenuto il processo d’appello sull’omicidio di Ruggero Pascoli, padre del poeta, ucciso 145 anni fa. Il magistrato Ferdinando Imposimato ha sostenuto l’accusa, l’avvocato Nino Marazzita la difesa, a vigilare sull’andamento regolare del ‘processo’ Bruno Amoroso, presidente del Tribunale per una sera, presidente del TAR del Veneto nella vita.
Il misterioso omicidio del padre, amministratore della tenuta dei Principi Torlonia, ucciso mentre faceva ritorno alla sua casa da Cesena fu un evento, come ben tutti sanno, che sconvolse la vita del poeta che all’epoca aveva 12 anni e che poi immortalò nella celebre “Cavallina Storna”.
Una ferita che anche a distanza di molti anni era ancora aperta e faceva molto male. Lo dimostra una lettera inedita scritta a Bologna il 10 agosto 1882 uscita per la prima volta dall’Archivio di casa Pascoli a Castelvecchio grazie al professor Gian Luigi Ruggio, conservatore e curatore dei beni pascoliani, che ne ha donato una copia alla maestra Antonia Cerboncini, presidente del comitato pascoliano massese.
Quindici anni dopo il tragico evento “Giovannino” scriveva alle sorelle Ida e Mariù che erano da poco uscite dal collegio di Sogliano e accolte da una zia, fresco di laurea ottenuta con il massimo dei voti e con lode (“una cosa così rara in Filologia come volgarissima nelle altre facoltà” sottolineerà lui in una lettera a un parente). Una laurea che aspettava da nove anni, “come per l’assedio di Troia!” sottolineava lui con quel velo di tristezza negli occhi perché “non c’era più nessuno di quelli che avrebbero gioito con lui, che di lui si sarebbero compiaciuti!”
La stessa tristezza che si percepisce nella lettera inedita. Scrive infatti il futuro poeta: “Non voglio che passi il X, data che noi dobbiamo commemorare con lagrime per sempre. Non voglio lasciar passare questo nero giorno senza assicurare a me stesso che una consolazione e un dovere mi rimane in voi, dopo aver ricordato e riconcepito l’immenso dolore del nostro abbandono”.
Una lettera sentita con il ricordo dei momenti drammatici (“voi siete state le più flagellate dalla tempesta, e i vostri cuori furono i più immeritatamente e crudelmente offesi”) in cui si rivolgeva alle sorelle in un modo quasi infantile (“ricordatevi d’informarmi della vostra salute e dei vostri castelli in aria… ricordatevi di amarmi: altrimenti pallido e smunto chiederò del pan unto”) in cui annunciava, anche a nome del fratello “Falino”, di voler ricostruire il nido familiare (“Noi più forti e più attempati abbiam bisogno del conforto delle nostre deboli e piccole sorelline”).
Così cercherà di fare arrivato a Massa, per insegnare lettere antiche e greche al liceo “Pellegrino Rossi” (dopo una parentesi, sempre con lo stesso incarico, a Matera), dove risiedette dal 1884 al 1887 rinuendosi dal 1885 alle due sorelle ricostruendo il suo nido, il suo progetto che sarà poi distrutto dal matrimonio di Ida e dal trasferimento a Livorno. Una nuova ferita che riuscirà a mitigare in quello che lui riteneva un Eden terreno e che aveva trovato proprio qui, sul Colle di Caprona.
Lascia un commento