Il cuore grande delle ragazze di Pupi Avati

-

Pupi Avati non è solo un pilastro del cinema italiano ma anche della memoria collettiva nazionale. Il nuovo film prende le mosse dalla reale, tribolata storia sentimentale dei nonni materni del regista (volontariamente posposta ai tempi del fascismo), mentre una decina di anni fa Avati aveva raccontato quella dei genitori con un piccolo gioiello: “La via degli angeli”.

Siamo sui colli presumibilmente bolognesi (in realtà la pellicola è girata a Fermo) degli anni ’30. A narrare la vicenda è la voce di Edo Vigetti (Alessandro Haber), bambino all’epoca dei fatti. Sisto Osti (Gianni Cavina) è un ricco proprietario terriero sposato in seconde nozze con una romana (Manuela Morabito) che in dote gli ha portato una figliastra, la bella Francesca (Micaela Ramazzotti); la preoccupazione degli Osti è però quella di maritare le due figlie maggiori, bruttine, trentenni che non hanno mai avuto uno straccio di corteggiatore. Casualmente questo bisogno si incontra con quello della famiglia Vigetti, mezzadra degli Osti: papà e mamma Vigetti (Andrea Roncato e Erika Blanc) cercano disperatamente il rinnovo del contratto per il podere, e pensano bene di stipulare un accordo per cui il figlio maggiore Carlino (Cesare Cremonini), sciupafemmine del paese, analfabeta ma con l’alito di biancospino, corteggerà “i due cessi”, alla condizione che in capo a un mese scelga una delle due sorelle per sposarsi. Carlino, irretito dalla promessa di una moto Guzzi, compie questa penitenza mensile sino a che, allo scoccare del trentunesimo giorno, conosce Francesca: tra i due è subito colpo di fulmine. Tra l’astio degli Osti e l’imbarazzo dei Vigetti, molte tribolazioni e sorprese, i due convolano a nozze. Questo però senza che l’infatuata Francesca si sia resa conto che il marito è un donnaiolo inguaribile; purtroppo per lei, proprio nella prima notte di nozze dovrà subire questa amara scoperta, e acquisire la consapevolezza che il “cuore grande delle ragazze” deve sopportare questo e altro.

L’ultimo lavoro di Avati, presentato al festival del cinema di Roma, è stato ingiustamente criticato. Assistiamo ai consueti moduli narrativi del regista: i ricordi personali che insieme confluiscono in un disegno di “come eravamo”, un mondo di stampo maschilista in cui le donne non decidono ma sono oggetti di cui usufruire, con una sfera d’azione e aspettative assai limitate (e qui lo spostamento delle vicende dal primo novecento all’epoca fascista non è casuale), paesaggi intonsi ed elementi della natura, delicatezza di toni che ovvia a delle psicologie singole poco delineate. L’unica accusa che si può muovere a questa pellicola è che talvolta essa si perde in episodi secondari o in sbalzi narrativi poco armoniosi. Ma questo è niente rispetto all’ottimo cast in cui spiccano i due protagonisti: la Ramazzotti è splendidamente facilona (ripetendo un po’ il suo consueto repertorio recitativo), il mascalzone Cremonini è una grande sorpresa di schiettezza e simpatia; il suo personaggio è perfetto: privo di sfumature, gioioso, rozzo e genuino come un giovanotto d’epoca. Le musiche di Lucio Dalla sono perfettamente inserite nel contesto.

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.