Il paesaggio della Garfagnana in un tardo pomeriggio di un grigio sabato di novembre non è molto diverso dagli ambienti di là di Appennino descritti da Loriano Macchiavelli nei suoi ultimi romanzi.
Padre del giallo italiano, “figlio” di Truman Capote e di Edgard Allan Poe con alle spalle oltre trentanni di pubblicazioni è stato l’ospite d’onore della terza edizione del Garfagnana in Giallo di Andrea Giannasi. Durante un interessante incontro presso la Sala Suffredini, incalzato dalle domande di Giuseppe Previti di Giallo Pistoia, ha ripercorso la sua esperienza umana e professionale che lo ha portato, nel corso di una lunga carriera, a pubblicare decine di romanzi creando personaggi rimasti nella memoria collettiva come il brigadiere Sarti Antonio, portato anche sul piccolo schermo in una fortunata serie Rai, interepretato da Gianni Cavina.
Umile e disponibile è però consapevole di essere ormai un “Classico” perché,c ome ha spiegato lui: “quando un libro giallo viene ristampato a trent’anni di distanza vuol dire che ha resistito al tempo e alle mode”.
“Ho sempre desiderato fare lo scrittore”, ricorda “fin da bambino. Era l’unico modo in cui mi facevo intendere dai compagni. Giunto a Bologna dal mio paese di montagna, con la parola avevo difficoltà, perché parlavo il dialetto. A scuola scrivevo dei raccontini a macchina, ne facevo 6 o 7 copie e le vendevo ai compagni. Alla scrittura professionale sono arrivato attraverso il teatro, iniziando a comporre testi per un gruppo di amici. Vedere le proprie parole prendere vita, con la rappresentazione, oltre che bello è stato molto importante, perché notavo che le parole quando venivano pronunciate cambiavano aspetto, e questo mi serviva per adeguare i contenuti. Era un teatro sociale, alla maniera di Brecht per intenderci”.
E proprio in teatro avvenne l’incontro con il giovane e allora sconosciuto Francesco Guccini. Alto, secco, con una folta barba e i lunghi capelli se lo ricorda ancora quando ,seduto sul palco, le lunghe gambe penzoloni intonò per la prima volta Auschwitz. “Fu un emozione incredibile, a casa sua invece ascoltai per la prima volta la canzone sulla morte di Che Guevara”. Rincontrati poi all’inizio degli anni novanta durante la presentazione di un libro, in una cena galeotta Guccini gli propose di raccontare una storia che aveva sentito su, nella sua Pàvana: un prete trovato morto, prima della Guerra. “Perchè non lo scrivete assieme?” suggerì l’editor della Mondadori.
“Entrambi- ricorda- ci prendemmo il nostro tempo per rifletterci sù. Poi decidemmo di provare”. Il risultato della prova fu Macaronì, romanzo di santi e delinquenti. L’ambiente è quello di un piccolo paese dell’Appennino, a indagare il maresciallo dei Carabinieri Benedetto Santovito, un salernitano che il freddo umido di quelle zone proprio non lo può patire. All’osteria del paese ha un posto riservato accanto a una vecchia stufa, il tavolo del Maresciallo come lo chiamavano perchè a quei tempi “era l’Autorità, non una persona con un nome e un cognome. Gli altri carabinieri della Stazione venivano chiamati con il loro nome, lui no”.
Santovito sarà protagonista anche dei quattro successivi romanzi: Un disco dei Platters, Questo sangue che impasta la terra, Lo spirito e altri briganti, Tango e gli altri. Sempre con Guccini ha creato un nuovo personaggio: Marco Gherardini, detto Poaiana, un giovane ispettore della forestale, nato e cresciuto sui monti. Ci crede nel suo lavoro Poiana conosce la terra, la natura e i pericoli che corre per mano dell’uomo. Crede nei valori della giustizia, sarà forse per l’età ,non ancora preda del disincanto. Quando il vecchio bracconiere Adùmas ( non è un soprannome ma il suo vero nome suo padre lo chiamò cosi in omaggio a quel “A.Dumas” autore dei Tre Moschettieri) arriva in paese trafelato dicendo che ha incrociato “una bestia come non ne ha mai viste e come nessuno ne vedrà più”. Già, il cinghiale aveva un piede di un uomo in bocca… Partono da qui le ricerche di un cadavere senza un piede, testimone l’Appennino con la sua serena maestosità protagonista fondamentale di quello che è già stato definito “noir appenninico” e di cui speriamo seguano altri episodi a quattro mani di questa coppia ormai rodata.
Si lavora bene con Guccini ha affermato Macchiavelli anche se inizialmente hanno avuto qualche problema a causa dei diversi ritmi: “io mi sveglio alle sei quando lui va a letto e vado a dormire quando lui inizia a lavorare. Una sera eravamo a cena in un osteria di Bologna, Francesco mi diede appuntamento il giorno seguente alle dieci. Io puntuale, la mattina seguente, mi presentai in Via Paolo Fabbri, 43 suonai il campanello ma nessuno rispondeva, riprovai dopo cinque minuti si aprì piano piano una persiana comparve il volto di Francesco tutto assonato che mi disse: ma che ci fai qui a quest’ora? Io gli risposi che era stato lui a darmi appuntamento per le dieci. Ma di sera intendevo no, fu la sua risposta”.
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