Galileo non pensava di essere infallibile; chi lo ha condannato invece credeva di esserlo. È questo il sostanziale assioma su cui gravita il lavoro teatrale di Marco Paolini “Itis Galileo”, portato in scena nella cornice del Teatro dei Differenti di Barga sabato sera. Il teatro era letteralmente gremito dal pubblico che ha potuto apprezzare le doti recitative e intellettuali di uno dei grandi protagonisti dei palcoscenici italiani.
Paolini ha dato vita ad un lavoro che illustra la vita e l’opera di Galileo Galilei meglio di qualsiasi lezione in tema: proprio perché lo ha fatto attraverso una versione “Itis”, o meglio dal suo punto di vista: tecnica, essenziale, intellegibile. In realtà il lavoro di Paolini, dietro una semplicità apparente di forme e linguaggio cela (o meglio, manifesta con saggia modestia) un lavoro fisico e celebrale indescrivibile. Solo su un palco dotato di pochissimi elementi scenici (una sorta di mina – pendolo; uno schermo su cui sono proiettate alcune righe del Sidereus nuncius; una copia del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo), vestito con un basco e un grembiule sporco da meccanico, Paolini interagisce con lo spazio circostante e gli oggetti con una naturalezza ed una misura invidiabili; interprete eccezionale da una parte, grande comunicatore dall’altra: la sua voce non ha mai un tremito né un’incertezza e giunge al termine delle due ore di spettacolo con la stessa intensità e lo stesso volume delle prime parole.
Paolini ha dapprima iniziato coll’invitare il pubblico a un “minuto di rivoluzione”, al che la platea si è moderatamente scatenata; altro non era che l’espediente per introdurre l’uditorio al tema della rivoluzione, tolemaica o copernicana che sia. Quindi, tra una battuta e l’altra (dotato di una comicità che non scade mai nel volgare), interagendo col pubblico, ha introdotto e illustrato con eccezionale efficacia la cultura in materia dell’epoca, per poi passare al vero cuore dello spettacolo, ossia lui: Galileo. Un personaggio per certi versi straordinario, che Paolini rappresenta né come un santo né come un martire ma per quel che era realmente: uno studioso eccezionale che non ha mai completato l’università, un convinto assertore del legame tra scienza e meccanica, un osservatore attento e appassionato. E, dall’altra parte, un uomo meschino e avido nella vita privata e nelle scelte professionali, presunto ladro dell’invenzione del cannocchiale, una tartaruga che ritrae la testa al momento in cui le sue affermazioni urtano qualcuno.
Ne esce fuori un sensazionale ritratto dell’epoca, in cui l’Inquisizione, il rogo di Giordano Bruno e la dogmatica non sono il male in assoluto bensì manifestazioni peculiari da ricondurre a quel particolare momento storico; del mondo di oggi, dove ancora dominano le forze di allora e le reazioni sulla falsariga del “Sono stato frainteso”; della scienza, che a tutto non può rispondere ma che grazie a Paolini diventa edibile anche per i profani: momento culminante quando, dotato di una sola maschera, nel suo dialetto veneto “italianizzato” l’attore in prima persona interpreta i protagonisti del Dialogo. Per concludersi il tutto con lo straziante e liberante grido di quell’uomo che, fiaccato nello spirito e nel corpo, non rinunziò sino all’ultimo a lavorare a ciò in cui credeva: “Eppur si muove”.
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