Federica Filippelli, pittrice
«…Oltre la tempesta… occhi che si intravedono nei cieli tumultuosi, dove i fulmini diventano lacrime di fuoco […] Un richiamo all’ordine, come manifestazione di dissenso verso un’umanità poco rispettosa della natura.»
Federica Filippelli, sei nata in Svizzera ma sei vissuta a Lucca. Dopo un triennio all’Accademia fiorentina di Belle Arti in Pittura, stai frequentando il biennio sperimentale in “Arti visive e nuovi linguaggi espressivi”. In cosa consiste questo nuovo corso?
È un corso che affronta e analizza i nuovi linguaggi espressivi nel contemporaneo; dopo anni di pittura in qualche modo “tradizionale” non escludo di approcciarmi a qualche nuova sperimentazione con mezzi diversi, sia materiali nuovi che tecnologie. L’accademia è un po’ un punto di ritrovo per chi sente questo tipo di fermento.
Hai all’attivo dodici anni d’esposizioni delle tue opere. In questa tua lunga esperienza c’è una realizzazione di una personale o la partecipazione ad una collettiva che ricordi con particolare piacere?
Tutte le mostre sono un ricordo piacevole, perché si perfezionano dopo una gestazione più o meno complessa e sofferta. In particolar modo ricordo molto volentieri la collettiva Punti di Vista nel 2002: fu una sorta di “occupazione autorizzata” di un palazzo pubblico, una mostra che definirei atipica e unica, proprio perché occupava gli spazi che non sono solitamente destinati a spazio espositivo. Le aree “occupate” del palazzo Ducale, sede della provincia di Lucca, erano molte: il cortile, i loggiati e perfino l’ingresso.
Nei tuoi quadri spesso ritrai dei fulmini. Da dove nasce questa tua “passione” per questo soggetto?
Nasce inizialmente come ammirazione della spettacolarità del fenomeno: i temporali sono effettivamente straordinari squarci di luce, altissime concentrazioni d’ energia elettrica che durano solo un istante, hic et nunc. Più avanti nei miei lavori, il fulmine, accompagnato a tempeste, tsunami e altri disastri, si arricchisce di un significato ambientalista: la natura ci ricorda la sua supremazia sull’umanità e, soprattutto, ci impone di rispettarla, pena le catastrofi ambientali che sempre più sovente ci devastano. Da qui i volti o gli occhi che si intravedono nei cieli tumultuosi, dove i fulmini diventano lacrime di fuoco, vogliono essere una sorta di richiamo all’ordine, come manifestazione di dissenso verso un’umanità poco rispettosa della natura.
Un altro tuo filone è la rappresentazione di paesaggi urbani di vario tipo. La dimensione del viaggio allo scoperta di città e di culture per te è fonte d’ispirazione?
Senza dubbio il viaggio è una grandissima fonte d’ ispirazione, soprattutto la scoperta di ambienti diversissimi dal nostro come le architetture e i paesaggi americani, molto spesso da me rappresentati.
Raccontaci il tuo rapporto con il teatro o la tua partecipazione ad una rappresentazione teatrale che ricordi con piacere.
Qualche anno fa, nel 2006-2007, ho partecipato attivamente alla realizzazione di uno spettacolo, contribuendo alle scenografie (fondali e arredi) per una giovanissima compagnia amatoriale. Si trattava del musical Se il tempo fosse un gambero della storica coppia Garinei – Giovannini. Fu un’esperienza molto divertente, da cui ho appreso tantissimi aspetti del teatro che, chi non è mai stato dietro le quinte, non può nemmeno immaginare.
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