Bruno Beltrame (uno straordinario, stralunato Fabrizio Bentivoglio) è un bell’uomo di mezza età che vive in un appartamento un po’ bohemien, con un passato nel cassetto da idealista professore di lettere e da scrittore, e un presente fatto di ripetizioni e lavoretti da ghost writer per infimi personaggi, in cui l’ultima della lista è la famosa pornostar slovacca Tina (Barbora Bobulova). Tra i ragazzi che vanno a ripetizione c’è il quindicenne Luca (l’esordiente Filippo Scicchitano, una meraviglia di genuinità), ragazzotto nella media, dallo scarso rendimento scolastico, che passa il tempo dietro gli amici, la musica, la palestra (le “pischelle” no, perché “è un po’ da froci”). Un bel giorno la mamma di Luca si presenta a Beltrame che scopre in lei una ragazza con cui quindici anni prima aveva vissuto una fugace liaison; e qui la prevedibile scoperta: Luca non è altri che suo figlio, e la madre gli chiede di ospitarlo in casa sua mentre lei andrà qualche mese all’estero per lavoro. Bruno accoglie Luca, ignaro di tutto. La convivenza non è delle migliori: Luca rischia la bocciatura e sta finendo in brutti giri di spaccio guidati da uno strano criminale chiamato Poeta (Vinicio Marchioni). Bruno silenziosamente cerca di realizzare la propria paternità e, tra tensioni e apprensioni, di riportare il figlio sulla strada dello studio e dell’impegno senza indebolire il saldo legame creatosi tra loro.
Francesco Bruni è storico sceneggiatore di Virzì e firma qua la sua prima regia. Questa semplice pellicola è un gioiello, come raramente se ne vedono. Anzitutto è molto spontanea. Niente nel film appare calato dall’alto: siamo in un quartiere della periferia romana, gli ambienti sono quelli quotidiani della scuola, del bar, della palestra sotto casa, i mestieri quelli del proletariato e della medio piccola borghesia. Il protagonista, una rivelazione, è un ragazzo come tanti; non vive né una situazione disastrata né una rosea di stampo mocciano. Svogliato e strafottente a scuola ma intelligente, brillante, non cattivo, dotato di buoni principi (rifiuta recisamente le droghe varie volte offertegli) ma vittima di quel mal di gioventù che è volere tutto e subito: lascia esterrefatto il padre che, dopo avergli chiesto sulle sue aspirazioni di vita, si sente rispondere: “Studiare non serve… faccio lo spazzino… il militare… il cameriere”. Figlio e padre agli antipodi: quanto il primo è distante dal mondo della cultura, il secondo sembra esserne stato vittima attraverso la sua quotidianità disillusa, trascorsa tra canne rollate, vestiti sgualciti e appartamento da ragazzo mai cresciuto, pasti frugali al bar. Eppure l’indifferenza di Luca è la prima a scuotere dal torpore Bruno, che si rivela quel validissimo insegnante, innamorato delle proprie materie, grande affabulatore e narratore desideroso di trasmettere. L’incertezza tormenta però Bruno: rivelare il segreto della sua paternità a Luca cambierà il loro rapporto, cui tiene tantissimo? Anche perché la paternità è vissuta con difficoltà da lui in prima persona: la accetta ma si sente debole e disarmato a gestirla. I bisogni del ragazzo e i timori del padre sono destinati ad incontrarsi perché alla fin fine sono convergenti e reciproci, specchiandosi con affabilità e tenerezza gli uni negli altri. Bruni lascia senza parole; ha raccontato questa storia con una leggerezza e una schiettezza invidiabili, senza cadere nella trappola dell’opera prima troppo facilona e senza volare troppo alto. Questo è il vero cinema italiano.
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