E’ scomparso Vittorio Baccelli. Lo conobbi molti anni fa quando fui editore di un suo fortunato libro: “Storie di fine millennio”. Grazie a lui ho avuto modo di conoscere i Mailartisti e di scorgere cosa era nato dietro le quinte del mondo letterario tra gli anni sessanta e settanta. Baccelli è stato sperimentatore spesso scomodo per il suo modo spigoloso, ma sempre diretto e mai articolato, di affrontare le questioni.
L’ultimo incontro pubblico con il quale ho condiviso il palco è stato al “Tra le righe di Barga” 2010, quando con Mario Rocchi e altri parlammo degli scrittori lucchesi. E anche in quella occasione non mancò la sua vena di polemista e critico attento e preciso.
Uomo che conosceva bene la natura umana della creazione aveva aderito al movimento Beat C.13 e diretto molti fogli underground.
Da anni era presidente e con altri – primo fra tutti Marco Vignolo Gargini – dirigeva la preziosa associazione “Cesare Viviani”, animando i mercoledì letterari alla casermetta di Santa Maria.
Di lui il critico letterario del gruppo editoriale Monti (La Nazione, Il resto del carlino, Il Giorno) ha scritto: “Quello percorso da Vittorio Baccelli è un territorio vasto come la letteratura. Da Platone a Pascoli, da Verne a Welles, da Berto a Calvino si tratta dell’ineffabile contrada di coloro che hanno voluto immaginare il radicale mutamento delle regole naturali della vita e della morte. Alcuni hanno praticato tale fantasia soltanto in una occasione, altri invece per tutta la vita, producendo libri su libri, fantasie a catena e scatenando le risorse più rischiose tra il meraviglioso e l’inverosimile. Due punti restano fermi: la creazione di un altro mondo e la morte, che chiude il teatro. Nel racconto di Baccelli i due punti si fondono e il nero della morte fa pensare al buco nero e luminoso del tolstoiano Ivan Ilic, una delle più grandi creazioni del russo, aderentissima alla norma naturale della morte e della fine di tutto. Al di là di questo, nel racconto ospitato qui vince il senso dello spazio e del tempo, la cancellazione dei loro parametri e della vita stessa, sino a quella immobilità che coincide con una fine che è principio. A questo punto la letteratura svela la sua eterna tensione a rifare l’uomo e il mondo, palesando l’ottimismo inguaribile di chi insieme persegue l’azzeramento, nel momento in cui lancia il grido afono della speranza”.
Ci sarebbe molto altro da aggiungere per ricordare e salutare Vittorio Baccelli. L’uomo, lo scrittore, il critico, il presidente, il politico. Forse una parola su tutte si plasma alla sua memoria: l’impegno. Non si è tirato mai indietro partecipando e impegnandosi sempre per costruire un futuro più interessante.
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