Stavolta no. Di elezioni provinciali non parlo. Ho già scritto troppo, mi dicono. A me non pare. Comunque. Stavolta, a scanso di possibili equivoci e fraintendimenti, ho deciso che vi propino una bella ricetta di cucina. Non quei soliti piatti della nostra tradizione locale, della nonna per intenderci; qualcosa invece dei giorni nostri. Rielaborato insomma. Qualcosa delle nostre parti da offrire a un commensale speciale, magari che, se ci pensa e vuole, ci può fare qualcosa.
In una terrina, mescolare l’apatia con l’indifferenza e l’indolenza, ma anche con il saper fare le cose bene così come sappiamo quando ci interessa. Aggiungere, infine, una tazza di incerte prospettive per il futuro, un bicchiere di solitudine, ma anche le grandi risorse a disposizione, quanto basta. Amalgamare bene gli ingredienti quindi far bollire nel suo brodo e cuocere a fuoco lento. Ripassare il tutto in forno a 180 gradi per alcuni giorni. A parte far tostare per pochi minuti in una padella un pizzico di giovanile sfiducia che dà sempre sapore. Scolare il tutto e farlo raffreddare sotto la fredda mancanza di entusiasmo. Una volta raffreddato spolverare, per chi desidera, con l’amaro zucchero a velo della disoccupazione. Oplà. Servito. Questo è il piatto. Le forze buone della Valle, in un momento di crisi generale come quello di oggi, dovranno affrontarlo con convinzione ancora una volta, anche se proprio tutto insieme è un tantino indigesto.
Portate in tavola e invitate chi volete. Ma abbinateci un buon bicchiere di vino, fatto però non con l’uva, fatto invece di speranza, di divertimento, di capacità di sognare, di progettare concretamente il futuro, di strade dritte e sicure. Salute. Che qualcuno ce la mandi buona. Speriamo. Alè.
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