QUALUNQUEMENTEdi Giulio ManfredoniaItalia 2011 ———Nel piccolo paese calabro di Marina di Sopra si avvicinano le elezioni comunali. Di fronte alla minaccia della candidatura del maestrino De Santis (Salvatore Cantalupo) sobrio e corretto fautore della legalità, “l’uomo rispettoso delle regole, uomo senza vergogna”, si interviene ipotizzando la candidatura del “benemerito” cittadino Cetto La Qualunque (Antonio Albanese), fresco di ritorno da quattro anni di latitanza assieme ad una ragazza sudamericana che lui chiama “cosa” che subito porta a vivere in casa dalla moglie originaria Carmen (Lorenza Indovina). Indignato per i “soprusi” di cui il paese si trova vittima (si richiedono le ricevute fiscali! si debbono pagare le tasse! si minacciano demolizioni per costruire parchi archeologici “etruschi”!), di fronte alla minaccia del legalismo e all’involuzione del gentile figlio Melo (Davide Giordano) che addirittura va in motorino col casco e si è preso
una fidanzata “senza minne”, Cetto acconsente alla propria candidatura e si mette subito all’opera coi propri fedelissimi usando metodi decisamente poco ortodossi. Dato che intimidazioni e promesse di “pilu” non bastano a consegnare un’immagine convincente del candidato, si fa chiamare un esperto d’immagine da Milano, tale Gerry Salerno (Sergio Rubini) che dovrebbe consegnare la vittoria in mano a Cetto. Senza che questi però rinunci a nessuno dei suoi punti di vista.
Il film basato sul personaggio televisivo creato da Albanese funziona: fa ridere, e tanto. Ma fa ridere in una maniera amara, aspra. Il feroce umorismo con cui l’attore dipinge questo personaggio orgogliosamente e consapevolmente cafone, retrogrado, omofobo, misogino, ignorante, corrotto purtroppo ci consegna delle opinioni e delle situazioni che, seppure illustrate in maniera molto macchiettistica, spesso risultano molto, troppo vicine a quelle reali. E in ciò ci regala tutta una serie di perle di saggezza in simil dialetto calabro infarcito di male parole e improperi (“Uno manca quattro anni e siete tutti usciti di testa! Le tasse sono come la droga: le paghi una volta e finisce che ti prende la voglia!”; al figlio: “Presto io sarò sindaco, quindi tu per legge vicesindaco” o “Si comincia a dare la precedenza ad un incrocio e si finisce per diventare ricchioni”; “Mi è stato chiesto se vengo eletto cosa intendo fare per i poveri bisognosi.’Na beata minchia!”). Cetto e i suoi scagnozzi fanno riferimento ad un parametro di valori diametralmente opposto alla morale comune: il sequestro di terre “per darle ai preti”, le indagini dei corpi dello stato e delle Belle Arti, il voto libero e democratico sono una vergogna, un’anarchia. Cetto vive in un ambiente e accanto dei personaggi (con un cast all’altezza del protagonista) che combaciano in maniera esilarante coi suoi valori e il suo gusto: una casa tronfia e pesante, stracolma di tappeti, vasi, anfore, ritratti, ori; una moglie avvenente e sottomessa, coperta da uno strato di trucco e da vestiti e gioielli pacchiani; amici che ragionano e si riuniscono in conventicole mafiose; un elettorato che va in visibilio alle proposte del programma del politico: abolizione delle bollette di luce e gas, nuova abolizione dell’ICI, mille – duemila euro a testa, e soprattutto “più pilu pi tutti”. Il tutto in un paesaggio splendido e ancestrale, costellato da incendi, da scheletri di costruzioni abusive, da fogne a cielo aperto: amaramente vediamo come una persona perbene come l’avversario De Santis o le forze dello Stato, che appaiono estranei a questa logica di corruzione, siano impotenti a fronteggiarla (Cetto illustra bene il suo concetto di rispetto della scelta degli elettori nel prefinale, di fronte alla minaccia di un arresto…). Insomma, Albanese presenta in modo molto brillante e accattivante la propria pellicola, seppure con qualche stanchezza nella narrazione: se non altro si vada a vederlo per apprendere e superare la lezione “Prima voti, poi rifletti”.
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