LA DONNA DELLA MIA VITAdi Luca LuciniItalia 2010 ———–Giorgio (Alessandro Gassman) e Leonardo (Luca Argentero) sono due fratelli che più diversi non si può. Il primo, medico sposato con Carolina (Sonia Bergamasco) signora bene in trepida attesa della prima gravidanza, la tradisce regolarmente con un numero indefinito di donne che carica e scarica con l’ausilio di una lista ben collaudata di bugie. Il secondo è un trentaduenne (ancora da compiere) tenero e ipersensibile sfortunato in amore, tanto da aver tentato il suicidio dopo l’ennesima delusione. A vigilare sui due c’è mamma Alba (Stefania Sandrelli) ex presentatrice di telegiornali che attribuisce la diversità dei ragazzi al fatto che siano figli di due padri diversi: Giorgio del primo marito Alberto (Franco Branciaroli) un giornalista mascalzone e donnaiolo, Leonardo del secondo marito Sandro (Giorgio Colangeli) industriale del torrone ancora suo compagno. Gli equilibri si rompono il giorno
in cui nella vita di Leonardo entra Sara (Valentina Lodovini) violoncellista fragile che esce a pezzi da una storia con un uomo sposato durata due anni. La sorpresa alla cena di famiglia: lo “stronzo” che le ha rovinato la vita non è altro che Giorgio, il futuribile cognato. Riuscirà Sara a mantenere il segreto – ma soprattutto avrà veramente accantonato il suo vecchio amore? Il corso degli eventi vedrà svolte imprevedibili.
Il film di Lucini (quell’ottimo regista – mestierante come tanti ne esistevano a metà dello scorso secolo, in grado di prendere una storia e farne un film di discreta riuscita senza conferirgli un’impronta prettamente personale), che già ha diretto gradevoli commedie quali L’uomo perfetto, Solo un padre, Oggi sposi (e insospettabile regista del famigerato 3 Metri Sopra il Cielo) è una storia sostanzialmente di impianto teatraleggiante. Pochi personaggi, scolpiti e sfumati al contempo, che intervengono come tanti deus ex machina nelle vicende di chi li circonda, in un intreccio narrativo interessante e simpatico. L’ambiente in cui la vicenda si svolge è circoscritto a quello familiare; se dall’esterno appare placido e rassicurante (agiati standard di vita, lavoratori indefessi, affetti solidi), si rivela ad un’analisi al microscopio ben lontano dagli stereotipi del Mulino Bianco: il tradimento è all’ordine del giorno e tra i vari personaggi è orchestrato un complesso e sottile sostrato di bugie e condizionamenti che raggiungono il culmine nella figura materna. La Sandrelli appare, alla luce delle sue ultime interpretazioni, insolitamente e finemente perfida nel condizionare (con una consapevolezza abilmente camuffata) i suoi familiari maschi, tanto da indirizzarne le stesse esistenze; una piccola revanche per una forte identità femminile che ad una prima occhiata dovrebbe invece esser stata per tutta la vita condizionata nel male dall’universo maschile che la circondava. Corso che, come si evince nel finale abilmente legato all’inizio, è destinato a perpetrarsi. Ciò che non giova particolarmente al film è la sceneggiatura, cui sarebbe convenuta un po’ più di brillantezza
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