LA PASSIONEdi Carlo MazzacuratiItalia 2010 ———Gianni Dubois (Silvio Orlando) è un regista di altissimo livello autoriale ma di scarsi successi. Non gira un film da cinque anni: ancor privo di idee, deve realizzare il soggetto per l’attricetta da fiction di turno desiderosa di passare al grande schermo (Cristiana Capotondi); il che dovrebbe essere l’occasione per il suo grande ritorno. Ma un problema idraulico nella sua casa di campagna lo chiama in Toscana: una denuncia alle Belle Arti per la rovina di un affresco adiacente all’abitazione pende come una spada di Damocle sulla sua testa. La sindachessa (Stefania Sandrelli) propone un equo scambio: la denuncia non sarà sporta se Dubois accetta di dirigere la sacra rappresentazione che si dovrà tenere di lì a quattro giorni in occasione del venerdì santo. Messo alle strette tra la minaccia e le esigenze del suo produttore (Fausto Russo Alessi), il regista decaduto tra mille difficoltà e con scarso entusiasmo si mette a lavoro sulla Passione; interverranno poco a poco nella vicenda e nella ricerca di una nuova strada una bella barista polacca (Kasia Smutniak), un ex galeotto di buona volontà folgorato dal mondo teatrale (Giuseppe Battiston) e un inquietante meteorologo locale con manie artistiche (Corrado Guzzanti).
La passione, ma di chi? Quella di Gesù sul Calvario? Quella dell’artista che vede mortificata l’opera sua (esilaranti le reazioni all’assenza di Dubois da un fantomatico “albero del cinema italiano”) e non riesce ad agire in un contesto dove l’arte è divenuta ancella del successo? O la passione di chi, in fondo alla via crucis, cerca una redenzione che sembra faticosa e illusoria (il galeotto, uno stupendo e umanissimo Battiston)? Il film ha una risposta tutta sua, seppure provvisoria: la passione come catarsi, l’arte come ciò che rende liberi e permette di sfiorare la bellezza, ma solo attraverso mille pene. Pene ingigantite in questo caso dal contesto: il paese, il classico borgo dove tutti conoscono tutti e la critica è all’ordine del giorno. I personaggi primari (il regista, il galeotto, la -penosa- barista) sono delle figure sporadiche in un contesto del genere: fragili, quasi disperati e fuori dal mondo, contro una massa indifferente e ignorante (l’attricetta, il produttore, la sindachessa, il geometra) o chiusa in sé stessa (Guzzanti che convince nel piccolo e divertente ruolo macchiettistico). La storia è lineare e si dipana egregiamente, senza raggiungere però mai punte brillanti o drammatiche: a tratti fatica, si involve, si smarrisce nella sua pianezza; e la riflessione, con tracce di impressionismo autobiografico, si fa flebile. Comunque un manifesto della e sulla intellighenzia di oggi, tanto più piena di sentimenti e di voglia di vivere, quanto più stritolata e messa da parte dal gusto imperante contemporaneo.
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