Sold Out: Keane & Da Prato espongono a Casa Cordati

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I due artisti che espongono in questi giorni a Casa Cordati sono davvero diversi tra loro, eccetto per una caratteristica comune ai loro lavori: i volti.O meglio, la mancanza di volti.La cosa non sfugge guardando gli uomini e le donne ritratti nelle tele di Da Prato. Hanno la testa, certo, anche se è quasi completamente impossibile riconoscervi un’identità.
Le suore di Keane sono invece senza volto come conseguenza poiché ci voltano le spalle, si allontanano da noi, mentre le mutande sono ritratte come indumenti vuoti, senza un corpo, e dunque, senza un volto.
“Le facce” Dice Da Prato “danno una definizione del soggetto troppo velocemente”, e quindi, superficialmente. Rendono la persona identificabile e distraggono dal lato più profondo e complicato che c’è sotto la superficie.
Ed è proprio qui, sotto la superficie di quello che crediamo di vedere (o che ci vogliamo vedere) nei nostri mondi individuali e collettivi che la collaborazione ventennale tra Keane e Fabrizio Da Prato si può percepire meglio.
Sono pionieri della Persona, scavano continuamente in questa zona d’ombra.
La prima stanza dell’esposizione raccoglie i lavori di Da Prato che offrono un viaggio a tratti tormentato ma sempre comunque penetrante.
Le pareti sono coperte da coppie dal forte sapore espressionista esposte in modo che sembrano guardarsi attraverso la stanza; famiglie sia in senso letterale sia metaforico, figure solitarie contorte in spasmi di dolore o perse in qualche riflessione meditativa.
Date a queste tele il tempo che si meritano – un’altra caratteristica che accomuna Keane e Da Prato è la padronanza delle tecniche di pittura e di espressione grafica – e la mancanza di volti apparirà evidente.
Quello che scoprirà l’osservatore è la complessa rete di relazioni che circondano l’esperienza umana, l’intensità emotiva che turbina attorno agli amanti, ai genitori, ai figli e agli estranei che si aggirano nella notte.
Tendenze che raramente riconosciamo “ad alta voce”, ed è questo che dona loro forza.
Anche Keane è attratto dal non ammesso, dai punti di riferimento e dalle abitudini che traggono forza dal solo fatto che raramente attribuiamo loro un significato.
Ma mentre Da Prato si interessa alle bugie nascoste nel cuore degli uomini, Keane rivolge il suo occhio di pittore verso i linguaggi nascosti della comunità.
Il suo soggetto è piuttosto la psicologia del gruppo, i drammi intimi di cui, come collettività, siamo testimoni ogni giorno, ma che collettivamente ignoriamo.
Il ciclo delle Mutande, apparse in diverse mostre in Toscana fin dal 2005, hanno alimentato discussioni su dove quei boxer e reggiseni sventolanti fossero stati appesi.
Questo è il tacito codice sociale descritto in modo ampio ed ironico: in Italia pochi manufatti di materia culturale sono avvertiti come maggiormente presenti che la biancheria appesa in pubblico ad asciugare.
Sono un icona delle città italiane.
Tutti hanno confidenza con le mutande del vicino ma nessuno ammette di notarle.
Le suore di Barga sono simboli simili, ma con una risonanza che si estende fin nel passato della comunità, così come i loro codici di comportamento.
Ci era stata promessa una mostra più ampia su questo soggetto e l’allettante selezione nella sala 4 di questa esposizione è un assaggio di quello che ci aspettavamo.
Con le teste voltate mentre camminano silenziose allontanandosi, queste suore rappresentano ciò che Barga è stata per quasi 2000 anni. Di educazione cattolica, con abitudini rituali e fedeli e solidamente attaccata alla tradizione del passato.
Una delle cose lampanti della vita barghigiana è che il numero di suore, così come quello di preti, è in continua diminuzione ma non se ne parla quasi mai.
Come i tormenti rappresentati dai dipinti di Da Prato, le implicazioni sono tacitamente represse.
Quello che sappiamo anche, che non possiamo ignorare, è il passato e le sue tradizioni che si allontano sempre di più ad ogni giorno che passa, più tardi che nelle altre nazioni europee, ma comunque, inesorabilmente.
Le suore di Keane incarnano la tradizione in ogni sua sfumatura, spesso contraddittoria: un passato di antica ed intensa fede che un tempo era quasi un obbligo e simbolo di austera rinuncia a se stessi.
Ci invitano a ricordare dove siamo stati, sia come comunità che come individui, ma anche a domandarsi dove ci stiamo dirigendo.
“Sold Out”, il titolo della mostra, ha una ricchezza di significati che si sovrappongono. In termini di pubblico è quello che questa provocatoria mostra si merita: il tutto esaurito. Ma è anche un riferimento all’elementare condizione umana: il tradimento del profondo a causa della superficialità, della vera personalità a causa delle inibizioni, della tradizione a causa della schiacciante forza del cambiamento.

libera traduzione da “Sold Out exhibition of paintings” di Frank Viviano

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