Bright Star

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BRIGHT STARdi Jane CampionGB, Australia, Francia 2009 ——–“Fulgida stella, come tu lo sei fermo foss’io, però non in solingo splendore alto sospeso nella notte con rimosse le palpebre in eterno a sorvegliare come paziente ed insonne Romito di natura le mobili acque in loro puro ufficio sacerdotale di lavacro intorno ai lidi umani della terra, oppure guardar la molle maschera di neve quando appena coprì monti e pianure.” John Keats (Ben Whishaw), il grande poeta romantico, scrisse la poesia per la sua “fulgida stella” Fanny Brown (Abbie Cornish, “deturpata” dalla soffocante moda ottocentesca), sua vicina di casa e fidanzata. La pellicola, firmata dalla regista di Lezioni di piano, ripercorre i tre anni di amore che legarono l’artista, povero e consumato dalla tisi, alla concreta e sincera ragazza che divenne sua musa e fidanzata contro il parere degli amici di lui, che la accusavano di leggerezza, e della famiglia di lei, preoccupata dalla disastrosa condizione economica del poeta.
Da un punto di vista della forma il film è estremamente manierista e ineccepibile: lunghe distese di campi fioriti, placidi fiumi serpentini, soffici nevicate, cottage di campagna, calde e fresche stanze di legno, conversazioni da salotto, abiti inamidati e improbabili (Fanny è una stilista ante litteram). Ciò che colpisce però di più è la fedeltà sorprendente con cui la regista aderisce alla mentalità dell’epoca (il film prende il via nel 1818): la storia tra Keats e Fanny non è all’insegna della passione sfrenata in cui può rischiare di cadere un biopic; è anzi una relazione delicata, vissuta in maniera trattenutissima: è una pazzia non solo per chi li circonda ma anche per i due giovani arrivare a fidanzarsi di fronte alle condizioni di salute e di finanza di Keats. Tra i due (personalità estremamente contrapposte, che si fondono nella loro diversità, aiutati dalla fresca e genuina interpretazione dei protagonisti) non avviene altro che qualche bacio, già eccessivo per la morale del tempo: ma tra lezioni di poesia, picchiettii sulla parete che li divide, fughe e ritorni improvvisi, la grandezza del loro generoso amore si manifesta nell’ultima scena che li ritrae insieme, alla vigilia della partenza di lui per l’Italia, necessaria alla sua guarigione. Stesi su un letto, completamente vestiti e abbracciati, mentre piangono progettando il loro semplice futuro insieme; e Keats riprende l’amore verso Fanny col paragone delle farfalle di cui lei si era riempita la stanza in sua assenza (“vorrei che fossimo farfalle e vivessimo appena 3 giorni d’estate; 3 giorni così con te piuttosto che cinquant’anni comuni”). La sceneggiatura a volte pecca in eccessi di formalismo, e qualche taglio nel montaggio avrebbe giovato; inoltre non si intuisce molto della grandezza dell’inventiva poetica (anche se è significativo che, mentre Keats attende che “la poesia venga spontaneamente, come le foglie ad un albero”, il pretenzioso collega Charles Brown stia sempre rinchiuso nello studio, costantemente chino su libri e citazioni). Ottima l’idea della colonna sonora pressoché assente: l’amore tra i due si consuma realisticamente calato nel proprio tempo, con l’eccezionale compagnia di qualche cantata classica, di interpretazione esclusivamente maschile.

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