AGORA’di Alejandro AmenàbarSpagna 2009 —————–Storia romanzata di un personaggio realmente esistito: la filosofa ed astronoma Ipazia (una bellissima Rachel Weisz) che visse ad Alessandria nel IV secolo d.C. insegnando agli allievi della celeberrima biblioteca e dedicando la vita allo studio dei corpi celesti (sembra che abbia scoperto le orbite ellittiche 1200 anni prima di Keplero); almeno fino a che Alessandria, culla dell’antica civiltà dove convivevano popoli e religioni, ne fece una martire del libero pensiero per mano della setta cristiana dei parabolani che
all’epoca entrarono in controllo della città, portando violenza e distruzione fisica e morale sotto la guida del vescovo Cirillo, oggi venerato come santo e dottore dalla Chiesa cattolica.
Agorà è stato uno strano caso cinematografico: film insolito e avvincente, che unisce la grandezza del peplum ad un argomento che pare sfornato da una tragedia teatrale; presentato dal regista Amenàbar (premio Oscar per Mare dentro) al Festival di Cannes nel 2009, uscito in tutti i paesi europei ma volontariamente tenuto lontano dagli USA, ha dovuto aspettare un anno per trovare un distributore che lo portasse nelle sale cinematografiche italiane, mentre sul web si elucubrava sul sabotaggio della Chiesa, causa primaria della mancata uscita nel Belpaese.
Tuttavia il film piuttosto che l’istituzione cattolica di per sé, mostra una realtà completamente diversa da quella odierna, permeata dalla violenza del tempo: si vuole condannare l’estremismo in ogni sua manifestazione (le lapidazioni e i pogrom hanno un’insolita affinità con quelli del XX secolo e a noi coevi); i parabolani sono i primi a non conoscere la misericordia e la pietà cristiana predicate, assomigliando più a delle SS in assetto di guerra (sarà casuale il motto Dio è con noi?) che a qualsivoglia inquisitore.
La pellicola aspira piuttosto ad usare questo inusitato sfondo storico per dar vita ad una riflessione sulla libertà di pensiero, o meglio sulla sua assenza: se Ipazia a suo modo può ancora professare la sua fede coerente nella filosofia, si può oggi affermare la presenza della libertà di pensiero? O tutto è sacrificato alla sicurezza, alla delega ad altri di pensare per noi? Non a caso, al termine di questo film, c’è un gran desiderio di una boccata d’aria dal vuoto inconsistente che ci circonda, nel desiderio di una più pura e luminosa consapevolezza.
Ed è Ipazia a rappresentare questo: figura struggente nella sua affannosa ricerca della perfezione (che per lei corrisponde alle teorie sulla rotazione delle stelle erranti); e pare ancor più crudele il suo destino, in quanto la dedizione assoluta e commovente all’opera sua sembra a tratti renderla cieca a quanto le accade intorno, tanto immersa in un mondo matematico ed ideale, quanto restia a leggere quello concreto che la circonda, illudendosi che le proprie giuste convinzioni (“Sono più le cose che ci uniscono di quante siano quelle che ci dividono”) siano quelle fondate nel cuore degli uomini.
Una curiosità sul personaggio d’Ipazia: vittima dell’estremismo cattolico, oggi è identificata tra i soggetti dipinti da Raffaello nell’affresco della Scuola d’Atene, nel cuore dei Palazzi Vaticani; unico personaggio femminile, e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore.
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