Piazza del Comune è un lembo di cielo fra i profili dei tetti; è un irregolare selciato di pietra circoscritto da case e palazzi le cui porte e finestre occhieggiano, aperte, in ogni ora del giorno, curiose ed accoglienti.Da sempre è il cuore della cittadina, il centro della vita civile di Barga. Lo attesta la scala d’ingresso del palazzo comunale, levigata dal passaggio di generazioni e generazioni. Lo si intuisce immediatamente dalla sua struttura, stratificata, ferma nel tempo, divenuta paesaggio naturale su cui sorge e tramonta il sole come l’alzarsi e il calare di un sipario.Piazza del Comune come un teatro, una ribalta di palcoscenico su cui ogni giorno si rappresenta e si replica la vita.Personaggi fissi e personaggi straordinari vi si incontrano, si scontrano e si alternano: alcuni reggono la parte meglio di altri e per un tempo più lungo; altri si limitano a fugaci e saltuarie apparizioni.
Il fondale non cambia e gli elementi di scena sono sempre gli stessi: la loggia coperta del Caffè Capretz, in ombra, riservata e silenziosa, proiettata verso le montagne azzurre; e i tavoli rustici, addossati al muro dell’Aristo.
Un elemento essenziale è la panchina di legno, verde, quasi secolare, inamovibile dal suo posto.
Lì da sempre ad offrire a chiunque l’attimo di sosta ed il fluire libero dei pensieri.
Nel sole del mattino le vetrine dei negozi specchiano angoli e portali in un rimando di giochi e prospettive per cui interni ed esterni si confondono come in un grande caleidoscopio.
Su tutto vigila, sornione, il leone del Marzocco.
Intorno gli sfrecciano le rondini, come ombre veloci e improvvise, guizzi radenti i muri.
Il popolo delle pratiche burocratiche si muove nella piazza: sono impiegati comunali frettolosi, con le mani ingombre di fogli; professionisti in faccende, il cellulare all’orecchio e le cartelle rigonfie di progetti; cittadini alle prese con la carta da bollo.
Entrano ed escono dagli uffici, fumano nell’attesa del proprio turno, si scambiano impressioni che hanno a che fare per lo più con il tempo e il governo.
Spesso qualcuno irrompe in piazza con fare concitato, sull’onda di un torto subito, in cerca di chi i torti li raddrizza.
Mentre si guarda intorno una voce lo toglie dall’imbarazzo: l’ufficio dei vigili urbani è da quella parte, gli dice e il portone del palazzo civico lo inghiotte.
Quando ripassa è ancora alterato, ma tiene a precisare che ha detto le sue ragioni a chi di dovere.
Gli avventori dell’Aristo lo ascoltano e commentano.
Sono essi i principali attori della piazza, attori in pianta stabile, a tempo indeterminato.
Costituiscono un gruppo eterogeneo aperto che ingloba ed amalgama gli elementi più vari e diversi: non c’è differenza di cultura o di lingua che tenga una volta seduti allo stesso tavolo, l’artista – fotografo o il giornalista americano, di ritorno dall’ultimo viaggio lontano, si intende perfettamente con il Natalino della Fornacetta, uno degli ultimi rappresentanti degli avventori della vecchia guardia, di quanto era l’Aristodemo a misurare il vino nei bicchieri.
Tempi non molto lontani, di gran bevitori di vino, un po’ rissosi, giocatori accaniti di carte.
Che cosa può avere da spartite il Natale con tali personaggi?
Il racconto di una vita, la sua, come a dire una lezione di storia che parla di affrancamento dalla fatica e dalla miseria.
Anche i segreti della natura e della terra carpiti sotto la spinta della necessità quando il montanaro o il contadino erano i depositari del sapere e della conoscenza.
Il mondo è cambiato, rimpiccolito.
Veramente, oggi, nel tempo di internet e del turismo di massa, dall’Aristo, in piazza del Comune, passa il mondo intero.
Forse anche perché vi si parla il linguaggio universale della musica e ci si può esprimere, ognuno, con il proprio strumento: con il lamento della cornamusa scozzese o con la dolcezza del mandolino italiano.
Con le note fonde del sassofono o il pizzicato delle chitarre.
Anche i bicchieri toccati da un cucchiaino rendono ritmo e musica sotto le mani esperte dell’Aristodemo.
Se poi lui si siede alla pianola, allora è concerto: inarrestabile flusso di melodie antiche di canzonette che escono dal chiuso a inondare la piazza e coinvolgere chiunque si trovi a passare.
Sotto l’incantesimo di parolette leggere, ritrovate chissà come nella memoria, i nodi aggrovigliati dei pensieri si sciolgono.
La vita celebra allora la sua gioia liberata, si fa sorriso e canto prima di tornare a frantumarsi di nuovo in mille aridi rivoli.
Nicola Boggi
30 Aprile 2010 alle 21:16
Grazie Professoressa
Un ringraziamento alla Professoressa Cosimini per il suggestivo affresco che ci ha regalato della nostra Barga. Una boccata d’aria fresca..
Bertoncini Luca
3 Maggio 2010 alle 18:04
……un teatro
Un grazie di cuore alla Professoressa Cosimini, in questo articolo si capisce l’importanza delle parole. Ha saputo descrivere e rendere tangilbile l’atmosfera della Piazza del Comune, dipingendola, come in effetti è ……. un teatro dove tutti recitano la parte che è stata assegnata loro, quella della vita, senza fronzoli e finzioni e la maestosa scenografia di Barga rende questo teatro unico e inegualiabile.Complimenti anche all’Aristodemo che di questo teatro è il direttore artistico e custode.Saluti da Roma, luca
Pier Giuliano Cecchi
4 Maggio 2010 alle 2:55
Barga e la sua voce.
Cara Graziella, quando intingi il pennino nell’antico pozzo di piazza del Comune, direi sempre, sai far parlare il gran cuore di Barga con straordinario sentimento.