Il figlio più piccolo

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IL FIGLIO PIU’ PICCOLOdi Pupi AvatiItalia 2010 ———-Nel 1992 Luciano Baietti (Christian De Sica) si sposa con Fiamma (Laura Morante),madre dei suoi due bambini, per abbandonarla il giorno stesso delle nozze dopo essersi fatto intestare tutte le piccole proprietà immobiliari della donna. Diciotto anni dopo Fiamma vivacchia a Bologna cantando pessime melodie hippie, sostenuta finanziariamente dal figlio maggiore Paolo (Marcello Maietta) e moralmente dal figlio più piccolo Baldo (Nicola Nocella), ingenuo ed imbranato studente con uno spiccato gusto per il cinema splatter. Luciano Baietti negli anni è intanto riuscito a costruire e venire a capo in Roma, con l’aiuto del commercialista e faccendiere professor Bollino (Luca Zingaretti), di una potente e agguerrita holding, che
dietro l’apparente agiatezza nasconde una rete di raccomandazioni, società off shore, sotterranei legami politici e, soprattutto, un’evasione del fisco per 55 milioni di euro. Con il fiato della finanza sul collo, Baietti cerca di sviare le indagini organizzando le nozze del secolo con una romana cafona ed arricchita ma, non bastando questa farsa, chiama la vecchia famiglia chiedendo al figlio più piccolo, che non ha mai rivisto, di fargli da testimone alle nozze. La realtà è ben diversa: Baietti vuole intestare al ragazzo le proprie aziende, comprese attività e passività, scaricandogli così addosso la responsabilità dei reati. Vincerà l’ingenuo affetto di Baldo o la mancanza di scrupoli del padre?
Avati continua il discorso sulla famiglia, e in particolare sul rapporto padre-figli, avviato col pessimo La cena per farli conoscere e proseguito col toccante Il papà di Giovanna, e lo fa con un film all’insegna del pessimismo e della contrarietà al mondo contemporaneo. Un mondo popolato da pescecani, affaristi senza scrupoli, donne volgari e prive di ideali (basti vedere la promessa sposa di De Sica, o le tristi figurine che pullulano negli uffici a caccia di raccomandazioni); mondo vuoto e crudele che ritiene inumana una retata della finanza il giorno delle nozze, seppure organizzate col mero pretesto di nascondere una notevole evasione. Fa spavento vedere (rapportandolo con la realtà del caro belpaese) con quanta naturalezza un’impresa economica possa gestirsi ed arricchirsi sulla pelle altrui, ignorante di tutto tranne che del proprio benessere e della propria sicurezza; e fa tanto più spavento che in un ambiente del genere un personaggio come quello di Baldo (l’ingenuità e la bontà fatte persona) sia visto come uno strano caso, un trascurabile errore della natura. Si contrappongono così i due mondi: quello del padre, ben rappresentato dal primo assistente Zingaretti (basti dire che, seminarista cacciato per la sua eccessiva familiarità con la pratica e gli interessi finanziari, porta ancora a memoria del suo passato i sandali da fraticello, di cui però non gli è rimasto altro retaggio), e quello del figlio, in cui è emblematica la figura materna che, nonostante l’abbandono, continua a trattare l’ex marito con una deferenza, una devozione ed un affetto sponsale, quasi sacro. E il padre, ottimamente interpretato da De Sica (con l’augurio che un giorno abbandoni la sua pecoreccia carriera comica), vive in parte questo dualismo senza però riuscire a superarlo: è il primo a rendersi conto dei torti compiuti e ad affrontare i rimorsi della coscienza per il tradimento consumato contro il figlio ma non fa niente per impedirlo. Finale un po’ improbabile. Il maestro Riz Ortolani firma la colonna sonora, e si sente.

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