IO, LORO E LARAdi Carlo VerdoneItalia 2010 ————Padre Carlo (Verdone) è un missionario in crisi spirituale che rientra dall’Africa nella natia Roma per ritrovare la serenità perduta. Tornato in città e ottenuto un periodo di riflessione dai superiori, trova però una situazione completamente differente da quella lasciata al momento della partenza, dieci anni prima: il padre (Sergio Fiorentini) si è sposato con una badante moldava che gli sta prosciugando il conto corrente; i fratelli, una psicologa nevrotica e madre separata (Anna Bonaiuto) e un finanziere cocainomane (Marco Giallini), si preoccupano più della progressiva volatilizzazione dell’eredità che del benessere dei congiunti. La situazione si complica quando, alla morte della badante, l’appartamento della famiglia va in eredità alla figlia di questa, Lara (Laura Chiatti) una ragazza difficile e sempre a corto di liquidità. Nel tentativo di recuperare la proprietà, Padre Carlo inizia un’equivoca e tragicomica convivenza con la giovane la quale, in cambio della rinuncia alla casa, chiede come favore
alla disastrata famiglia di riunirsi in un pranzo solenne che dovrebbe metterla in buona luce agli occhi della sua psicologa (Angela Finocchiaro), peraltro non insensibile al fascino della tonaca.
Verdone continua il percorso cinematografico che dovrebbe (tra alti e bassi) farlo allontanare dallo stile stereotipato degli albori a favore di un cinema dove i toni della commedia sfiorino quelli della malinconia e dell’amarezza. Questa pellicola, nonostante i buoni presupposti, non decolla. Non è tanto l’inconsueta lunghezza ad appesantirla, quanto il ritmo lento, pacato, che non sfocia mai in idee originali e neppure in battute su cui semplicemente sorridere. Un’ora e mezzo di film affaticato che inspiegabilmente sfocia in quindici minuti esilaranti, quelli della scena del pranzo familiare, unica che merita di essere menzionata, dove tutte le piccolezze dei personaggi e il disastroso menage della famiglia emergono in un crescendo di equivoci e gag.
Ciò che danneggia maggiormente il lavoro e aggrava una sceneggiatura già di per sé poco divertente sono i personaggi in scena, a metà strada tra lo stereotipo (la recitazione sfiora a volte il limite del macchiettismo) e l’abbozzo di un carattere vero e proprio. Questo circo di nevrotici, egoisti, sordi, presi dalle frenesie della modernità si contrappone a un Padre Carlo che resta un buon personaggio sulla carta: Verdone gli conferisce dei toni di delicatezza ed umanità ma non riesce a far venire fuori la natura dei suoi dubbi, dei suoi pensieri, delle sue scelte; come se mancasse di una propria concretezza, incatenato nel “personaggio” Verdone. Una citazione a parte va fatta per la sempre brava Finocchiaro.
Io, loro e Lara
- 1 di Sara Moscardini
cassandra
14 Gennaio 2010 alle 16:54
Io loro e Lara
E’ vero che alla fine del film ci si chiede quale personaggio sia don Carlo, quale l’origine e lo spessore della sua crisi; ma è solo un momento perchè già ad una prima rilettura appare evidente che don Carlo non è mai stato in crisi. In crisi sono , fin dall’inizio, gli altri. A partire dal “superiore” che frettolosamente si preoccupa di sapere se ci sono problemi con il celibato , dopo di che, rassicurato su questo punto, lo “rimanda” in famiglia. Anche il confratello che affoga la propria crisi nelle fettuccine, non gli è di grande aiuto.Rientrato in famiglia, dopo dieci anni di assenza, sarà don Carlo a sostenere i congiunti invischiati in varie storie e soprattutto avvitati su se stessi e sulle proprie meschinità, ognuna delle quali è così viva e ben tratteggiata che è difficile sfuggire ad un personale esame di coscienza.Altro personaggio sostanzialmente positivo , pur con il suo bagaglio di ferite, è Lara. La ragazza ha, nonostante tutto, ben chiari i valori essenziali e si batte per ottenere l’affidamento del figlio.Non a caso , nel finale, la famiglia trova intorno a Lara e al suo bambino una specie di ricomposizione, mentre don Carlo , in collegamento dall’Africa , dove è tornato, li guarda con rinnovato e consapevole affetto, libero da ogni stereotipatica memoria . Film “leggero” e amaro, dove la “risata”diventa sorriso benevolo di un regista che tratta i personaggi come persone, rispettandoli e lasciando sempre aperta la strada catartica della consapevolezza.