Dorian Gray

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DORIAN GRAYGB 2009di Oliver Parker ————Dorian Gray (Ben Barnes, che dall’inizio alla fine del film è in grado di sfoggiare ben due espressioni) è un ingenuo giovincello arrivato nella Londra vittoriana dopo aver ereditato la fortuna del nonno defunto. Accolto dall’alta società, viene notato dal pittore Basil (Ben Chaplin) che gli propone di ritrarlo: dal lavoro viene fuori un dipinto meraviglioso, di indescrivibile bellezza, che riflette a pieno la bontà d’animo del giovane. Intanto però Dorian è entrato nelle grazie del vizioso lord Wotton (Colin Firth) deciso ad iniziarlo all’etica del piacere, tra taverne e bordelli; comincia una vera e propria parabola discendente che porta il ragazzo ai risultati più turpi e riprovevoli, pur mantenendo inalterati i due preziosi tesori: la giovinezza e la bellezza. Sono queste frutto di un diabolico accordo: al posto di Dorian è il ritratto ad invecchiare e marcire di pari passo con la sua anima. Dopo aver ucciso Basil, reo di aver scoperto il segreto, Dorian parte per un viaggio ventennale; al ritorno incontrerà il sospetto degli antichi conoscenti, in particolare di Wotton che comincerà a cercar fondamento ai suoi dubbi, incredulo dell’integrità estetica del vecchio amico.Il ritratto di Dorian Gray, nato ormai più di un secolo fa dalla penna di Oscar Wilde, è uno dei più riusciti e maturi racconti della letteratura mondiale. È una sofferenza vedere il genio di quest’opera limato e spalmato in due ore di filmetto adolescenziale, più attento agli aspetti morbosi (il decadimento morale e sessuale, raccontato con un sensazionalismo che ha dell’inenarrabile) che al reale senso del Ritratto (un vero
e proprio insegnamento sulla vita, sul piacere, sulla bellezza, sulla caducità, sulla morale): lo spettatore è privato di tutti questi fondamentali aspetti che non è in grado di cogliere senza avere affrontato l’opera scritta. Questo lato pruriginoso è reso ancor più irritante dall’evidente contrasto con l’ipocrita e leccatissima messa in scena, spiccatamente falsa nei colori, nelle scenografie, nella rappresentazione dell’epoca (che fine ha fatto la perbenista e austera società vittoriana in questo coacervo di libertinismo? Questa notevole assenza non contribuisce che a sminuire la portata “eversiva” e di conseguenza l’intero senso di esistere di questa e dell’intera opera ed esperienza di Wilde). La corruzione ben si vede anche nei “rimaneggiamenti” delle vicende, che addirittura trascinano la storia alla vigilia della Prima Guerra Mondiale e, senza voler cadere negli anacronismi, nelle aggiunte pseudo romantiche che arrivino con faciloneria al cuore dello sprovveduto spettatore; ciò fino alle ultime scene in cui la distruzione del ritratto non è più frutto della libera coscienza del protagonista, il che era tutto il compimento del libro.
Ad una colonna sonora ridondante ed invadente si affianca l’inadeguatezza del cast in cui l’unica eccezione è cosituita dalla – giusto – corretta interpretazione di Colin Firth.

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