VINCEREItalia, Francia 2009di Marco Bellocchio —-Bellocchio rilegge e filtra attraverso la propria maestria registica una vicenda reale, tragica e sconosciuta del ‘900 italiano.Siamo a Milano, alla vigilia della prima guerra mondiale. Durante un dibattito un giovane e irruento socialista, orologio alla mano, sfida Dio a fulminarlo entro cinque minuti per dimostrarne la non esistenza; a fissarlo, rapita ed orgogliosa tra il pubblico c’è la sua amante, un’estetista che di nome fa Ida Irene Dalser (Giovanna Mezzogiorno). Lui invece, squattrinato e violento agitatore di folle, di mestiere fa il direttore del quotidiano L’Avanti e si chiama Benito Mussolini (Filippo Timi). La relazione tra i due è prepotente e appassionata: la donna segue il compagno nel rinnegamento degli ideali pacifisti e nella conseguente cacciata dal partito socialista; vende casa, negozio e ogni avere per aiutarlo a finanziare l’apertura del suo nuovo giornale; rimasta incinta, si fa sposare in chiesa e mette alla luce il piccolo Benito Albino. Mussolini però ha già abbandonato da tempo la famiglia per il fronte, senza più mandare notizie. Alla voce del suo ferimento, Ida si reca a cercarlo; in ospedale trova però ad assisterlo un’altra donna: Rachele (Michela Cescon) la compagna ufficiale sposata con rito civile. Ricusando di arrendersi e sparire di scena, Ida rifiuta ogni compromesso e rivendica ostinatamente il suo ruolo di madre del primogenito e moglie di Mussolini, che li ha abbandonati nella miseria più nera; ne scrive ai prefetti, alla polizia, al re, al Papa. All’ostracismo dell’uomo fa purtroppo seguito il corso della storia: la scalata e la conquista del potere del fascismo colpiranno progressivamente Ida e Benitino con l’isolamento, il sorvegliamento, il pedinamento, la separazione e infine la prigionia in manicomio; ma nonostante i lunghi e ostili anni di internamento, Ida continuerà caparbiamente a proclamare sino alla fine la sua verità.Le prime notizie sulla storia di Ida Dalser apparvero sui giornali negli anni Cinquanta; al contrario di molti memoriali sul fascismo che uscirono all’epoca era però supportata da numerose testimonianze personali oltreché da una gran mole di documentazione: ciò ha permesso a questa triste e agghiacciante vicenda (conclusasi con la morte in due diversi manicomi, nel 1937 di Ida e del figlio appena ventiseienne nel 1942, dopo anni di
costrizioni e violenze fisiche e psicologiche) di essere elevata al rango di verità storica.
Il cuore pulsante del film, che si avvale di un soggetto coinvolgente, di una sceneggiatura minuziosamente elaborata, di una fotografia stinta e livida, di una colonna sonora trascinante, di espedienti visivi originali, sono i due interpreti Mezzogiorno e Timi. Timi si conferma grande promessa del cinema italiano affrontando con straordinaria bravura un ruolo apparentemente ingestibile: quello di giovane Mussolini (con grande attenzione il personaggio è stato reso presente solo nella prima parte del film,mentre nella seconda, scomparso effettivamente dalla vita della protagonista, compare solo in filmati ed immagini di repertorio). Timi incarna un personaggio ancora immaturo ma già profondamente deciso, trascinatore di folle e cortei con un’eloquenza violenta e folle; caparbio nei suoi desideri, poco coinvolto nei suoi rapporti; consapevole e sofferente della propria piccolezza, della propria mediocrità; egoista, narcisista ed egocentrico, impegnato costantemente ad interpretare una parte che si è scritto da solo. Senza mai cadere nel macchiettismo o nell’imitazione, Timi è secondo alla Mezzogiorno solo per tempo di apparizione nella pellicola: l’attrice è portata a confrontarsi con un personaggio altrettanto complesso per un tempo più lungo e lavora magistralmente, in specie nella seconda parte. Se difatti il primo tempo ci fa conoscere una Ida un poco scialba, donna elegante e raffinata, innamorata del proprio uomo con una venerazione a tratti un po’ folle, la seconda parte regala un ritratto inedito e ammirevole di donna. Ida non si piega agli ordini e alle convenzioni del tempo: rifiuta in assoluto il silenzio, la remissività che avrebbero anche potuto ottenerle qualche beneficio. Ida non chiedeva nient’altro che avere riconosciuta la propria identità: e questa tanto semplice quanto incauta esigenza portò alla drastica e crudele cancellazione della sua esistenza, soffocata e trascinata per undici anni in manicomio, senza che mai lei (altrettanto tragicamente) perdesse la propria lucidità (era perfettamente sana) o desse segno di arrendersi alla violenza del regime. Allo psichiatra che per essere dimessa le consiglia di piegarsi a recitare la parte della donna nascosta e remissiva che il tempo storico esige (”Questo non è il tempo di gridare la verità. È il tempo di tacere, di recitare una parte”), risponde “Se nessuno mi ascolta io devo continuare a gridare”. Strana analogia: così come il paese viene trascinato dal fascismo nella follia collettiva, divenne necessario che la normalità della donna fosse trattata come devianza.
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