L’anno scorso il Chianti Classico ha perso 6-8 milioni di euro a causa degli oltre 28 quintali di uva, per circa 20 mila ettolitri di vino, distrutti dagli ungulati del Chianti. Non è solo l’uva che soffre a causa dei danni causati dall’aumento delle popolazioni di daini, caprioli, cinghiali e cervi; peraltro gli animali di grossa taglia danno origine anche ad incidenti stradali. I danni risarciti alla coltivatori nel 2008 sono stati di 2,5 milioni di euro in confronto agli 1,4 milioni del 2005; alcuni produttori sono costretti a seminare due volte il mais e i girasoli perché caprioli e cervidi divorano i germogli delle piante.
Come mai c’è stata una crescita cosi grande di questi animali? Il direttore del Centro di scienze naturali di Galceti, Gilberto Tozzi, ci spiega che “tutto è dovuto all’introduzione negli anni ’70 del cinghiale dell’Europa centrale perché il nostro ‘maremmano’ si era praticamente estinto”. Questi cinghiali sono capaci di avere quattro volte più cuccioli del maremmano nativo. Al lato dei 150 mila esemplari estimati, affinché l’ecosistema possa sopravvivere il numero dovrebbe essere di circa 50 mila. Dei cervi, che furono reintrodotti negli anni ’60, “ora ce ne sono – dice ancora Tozzi – 2.500 esemplari solo tra le provincie di Prato e Pistoia.”.
Il Consorzio del Chianti Classico ha deciso il 15 maggio scorso di avviare un piano di risarcimento a favore di tutte le aziende associate, che sono state danneggiate. La vera soluzione, ci spiega il presidente, Marco Pallanti, consiste in questo: “contenere il numero dei caprioli entro i limiti fisiologici consentiti dal nostro ambiente.” .
Tozzi specifica inoltre che i piani di abbattimento devono proseguire “con criterio e con personale autorizzato e preparato. Questi ungulati non vanno estinti di nuovo, vanno solo regolamentati.”.
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