AMORE CHE VIENI, AMORE CHE VAIItalia 2008di Daniele CostantiniÈ tratto dal libro Un destino ridicolo, firmato da Fabrizio De André e Alessandro Gennari.Siamo nel 1963 nei caruggi di Genova dove si incrociano le storie di tre personaggi. Carlo (Fausto Paravidino) è un ragazzo manesco e imbranato
che si è riciclato pappone ed ogni sera passa a fare un giro di controllo delle sue protette: Antonia (Giorgia Ferrero), Luciana (Tosca D’Aquino) e la volitiva Veretta (Donatella Finocchiaro). Si accontenta dei pochi soldi così guadagnati, almeno fino a che non incontra la prostituta Maritza (Claudia Zanella) di cui si innamora follemente e con la quale sogna la fuga all’estero. Salvatore (Filippo Nigro) è un membro dell’anonima sequestri appena uscito di galera e rifugiatosi a Genova; conosciuta Veretta, vorrebbe riscattarla e ricostruirsi una vita e una famiglia. Bernard (Massimo Popolizio) è un contrabbandiere dall’aurea leggendaria sempre in cerca di nuovi affari; al momento in cui è certo di avere tra le mani il colpo grosso non esita a cercare dei complici, e la scelta cade sui bisognosi Carlo e Salvatore. Ma gli uomini (e il destino) sono sempre pronti a beffarsi l’un l’altro.
Il titolo della pellicola è ripreso dall’omonima canzone di De André, il solo elemento riuscito nella sua economia (abbinata a delle orecchiabili marcette orchestrate nientemeno che da Nicola Piovani). La trama parte discretamente e per qualche minuto si è affascinati da questo mondo così vicino e così distante di baretti di strada, decise entreineuses esposte nella piazza sotto casa, e inteneriti da un giovanissimo magnaccia che si fa accompagnare sul posto di lavoro dalla madre. È giusto il tempo di qualche minuto: ben presto il film scivola in un limbo di indecisione (cosa vuole essere? drammatico? grottesco? commedia?) e si trascina con idee poco originali e un finale davvero imbarazzante. Delude l’ambientazione poiché è nettamente visibile lo sforzo del regista di mantenere inquadrature strette su ogni scena (per evitare elementi incongruenti al periodo di ambientazione); delude la fotografia sgranata ed anonima; delude il montaggio (la camera rimane ferma per lunghi minuti sulle medesime scene); delude sorprendentemente la complessiva prova attoriale nonostante ci troviamo di fronte ad un ottimo cast sulla carta. Paravidino ha tra le mani un bel personaggio ma ne esagera macchiettisticamente le caratteristiche (confermando le proprie doti di interprete di teatro, che purtroppo non sono rese altrettanto bene al cinema); Popolizio soffre di rimanere sotto le righe; Nigro dal viso impenetrabile si diletta in un improbabile accento simil-sardo. Le donne restano piuttosto inutilizzate e la Zanella, nascosta sotto strati di trucco, manca completamente del fascino e del magnetismo che dovrebbero essere la forza del suo personaggio.
I personaggi stessi non riescono, nonostante gli intenti, ad avvicinarsi al mondo favoloso e reale di De André e risultano molto letterari e prevedibili nel loro sviluppo; è triste vedere come quello che doveva essere un omaggio al grande cantautore risulti un filmetto inutile, privo di emozioni e facilmente dimenticabile.
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