Stati Uniti, 1983. Un impiegato di colore dalla vita esemplare, Hector Negron (Laz Alonso), uccide inspiegabilmente Rodolfo (Sergio Albelli), emigrato italiano; polizia e giornalisti non riescono a spiegare il movente. Il mistero si infittisce quando nell’appartamento dell’omicida viene trovata la testa di una statua sparita a Firenze durante la seconda guerra mondiale.Flashback: sponde del Serchio, 1944. Nel tentativo di attraversare il fiume quattro soldati della Buffalo rimangono isolati sulla sponda opposta a quella della divisione, in territorio controllato dai nazisti. Uno dei quattro, il soldato Train (Omar Benson Miller) che come portafortuna tiene appesa allo zaino la testa di una statua trovata tra le macerie, raccoglie un bambino ferito e molto silenzioso, Angelo (Matteo Sciabordi); insieme si rifugiano nel paesino di Colognora, dove sono accolti con timore e fiducia dalla popolazione. Ad ospitarli è la famiglia della giovane vedova Renata (Valentina Cervi) che, nonostante la presenza del padre fascista (Omero Antonutti), soccorre i partigiani scesi dalla montagna, guidati da Peppi (Pierfrancesco Favino). Quando i due gruppi si incontrano accade un fatto inspiegabile: il bambino Angelo è notevolmente intimidito dalla presenza del partigiano Rodolfo. Si erano incontrati qualche mese prima, a Sant’Anna di Stazzema…
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di James McBride ed è stato particolarmente chiacchierato a livello nazionale (critiche abbastanza pretenziose e sterili) e a livello locale poiché il film è stato girato in locations della Mediavalle e Alta Versilia. Se la storia di base narrata da McBride affascina e incuriosisce, Spike Lee riesce solo a sminuirla. In realtà questo film non può essere veramente criticato, perché è talmente sterile e privo di coinvolgimento da non lasciare niente allo spettatore. Le scene di guerra sono discrete anche se rimangono eccessivamente filmiche rispetto alla narrazione cronachistica che meriterebbero (di cui Salvate il soldato Ryan resta supremo esempio); una nota a parte il confronto iniziale col vecchio film di guerra impregnato di retorica e interpretato da soli bianchi. Perché è esattamente questo che ci si doveva aspettare da Spike Lee: chi in questi mesi ha atteso una pellicola sulla strage di Sant’Anna di Stazzema o sulla guerra in Italia evidentemente non conosceva un minimo dell’attività del regista. Il fulcro della sua attenzione è difatti la divisione Buffalo che, composta interamente da militari di colore, combatté contro i tedeschi in Italia e in Mediavalle: le discriminazioni vissute in patria, le vessazioni subite nell’esercito dai comandanti bianchi, la paura del combattimento e il coraggio, il desiderio di una vita normale che misteriosamente sembra essere possibile solo in uno sperduto paesino toscano dove, dice un soldato, “mi sono sentito veramente accettato per la prima volta”. Ad incarnare questi sentimenti pensano ottimamente i quattro interpreti principali: la scelta di volti anonimi sottolinea la normalità, la straordinarietà dei soldati che hanno combattuto e si sono sacrificati per una guerra “di bianchi” senza mai tirarsi indietro. Se il cast americano dà una buona prova, non si può dire altrettanto di quello italiano: forse si sarebbe dovuto spiegare a questi legnosi interpreti (in primis la Cervi) che in Lucchesia non si parla toscano come se si fosse appena usciti da Campi Bisenzio (ma si salva il sempre bravo Favino).
Miracolo a Sant’Anna è un film mancato: ci sono gli elementi potenziali ma per giudicare buono il risultato si deve chiudere un occhio troppe volte. A parte alcune notazioni che suscitano involontaria ilarità (come si fa a portare una testa di marmo di dieci chili appesa allo zaino durante una campagna militare? perché il bambino alterna scene in cui si inerpica tranquillo in montagna e altre in cui è morente? come si fa a ravvisare in uno sparuto gruppo di persone che stanno per essere massacrate davanti alla chiesa di Sant’Anna le 560 vittime della strage nazista?) alcune scelte sono francamente ridicole e inguardabili (il giornale che cade sul tavolo di Luigi Lo Cascio in Piazza del Popolo; il discorso tedesco per dissuadere i soldati Buffalo dal combattimento; il confronto tra il profilo del soldato e dell’Omo Morto, misteriosamente ribattezzato nel film “l’uomo che dorme”; il pessimo, davvero pessimo finale). La colonna sonora è invadente e inappropriata.
MIRACOLO A SANT’ANNA
USA, Italia 2008
Di Spike Lee
Tag: miracolo a sant'anna, fil, spike, lee
Mariaelena
13 Ottobre 2008 alle 15:00
a proposito di Miracolo a Sant’Anna
Forse qualcuno si aspettava un documentario storico-ambientale sulla nostra zona ed i fatti accaduti durante gli ultimi anni di guerra. Incredibilmente, Spike Lee non ci ha onorato di questo servigio ma ha fatto di testa sua… Da un libro già di per se dichiarato non descrittivo dei fatti ha tratto un film che non voleva essere un reportage sulla guerra ma solo il contesto per parlare della situazione dei soldati di colore tra le fila dell’esercito americano. Cioè: fiction.Immaginazione, romanzo, invenzione, niente che per definizione debba essere corretto o sbagliato, semplicemente un mezzo per trasmettere un punto di vista e dare emozioni. Per creare la situazione serviva un ufficiale bianco e cattivo che abbandonasse i suoi soldati neri sul fronte nemico, serviva un partigiano traditore, serviva una famiglia di montagna che accogliesse il drappello di soldati e creasse un pretesto perché incontrassero i partigiani. E allora? Vero o falso che sia, è comunque verosimile questo film, quindi, riuscito. Noi altri della valle poi ci sentiamo “offesi” dal fatto che il nostro perenne Omomorto sia chiamato Uomo-che-dorme, che il doppiaggio sia fatto in un toscano universalmente conosciuto invece che nel garfagnino che si parla solo da queste parti, o ancora che qualche nome geografico venga pronunciato storpiato… ma suvvia, di fronte a tutta l’ Italia ed al mondo, perché bisogna fare tanto i saccenti? L’uomo che dorme intanto, anche se con il nome sbagliato sarà visto da milioni di persone, il nostro pessimo accento non sarà esportato ed il doppiaggio farà sorridere quelli che pensano che il toscano sia un’inflessione simpatica e calorosa, nessuno oltre a noi si accorgerà che “Serchio” è sempre pronunciato con la “e” chiusa…Io smetterei di criticare questo film, e me lo godrei con quello che vuole trasmettere. Se poi ci sono delle imprecisioni o cose che non ci tornano, beh… in cuor nostro sappiamo che non è realmente così, ma intanto la nostra valle farà il giro del mondo…
Francesco
14 Ottobre 2008 alle 19:37
Riflessione
Mi sono avvicinato a questo film volutamente senza informarmi di cosa si trattasse, non volevo essere influenzato dal giudizio altrui. La cosa che mi è saltata subito all’occhio è la approssimazione con cui questo film è stato interpretato ed anche la quantità cose inverosimili presenti nel suo svolgimento (come esempio vanno benissimo quelle citate nell’articolo, ma ce ne sono molte altre..).Capisco bene che il fine ultimo del regista sia quello di mettere in evidenza la condizione dei soldati neri durante l’ultima guerra e non certo quello di fare uno spot alla nostra bellissima valle. Però nel ricercare questo ha commesso notevoli errori, non coinvolgendo lo spettatore e privando il film del necessario ritmo (ogni cosa scorre via senza la minima sottolineatura..).Tutto questo secondo il mio modesto parere, orgoglioso comunque che si parli dei nostri luoghi anche distorcendo un po’ la realtà.In sostanza.. mi aspettavo molto di più da un regista del calibro di Spike Lee.