Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek

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UN GIORNO PERFETTOItalia, 2008di Ferzan OzpetekÈ davvero l’ultimo capolavoro di Ferzan Ozpetek, regista turco prestato da qualche anno all’Italia. In “Un giorno perfetto” Ozpetek abbandona le atmosfere autobiografiche, amichevoli e sentimentali della sua cinematografia precedente per narrare quella che si può definire una giornata di ordinaria follia, osservata con occhio lucido e distaccato. La storia è tratta dall’omonimo romanzo di Melania G. Mazzucco, in cui seguiamo le vite di vari personaggi lungo ventiquattro ore: Antonio (Valerio Mastandrea) è un poliziotto impazzito dopo la separazione dalla moglie Emma (Isabella Ferrari) che con i figli Valentina e Kevin è andata ad abitare dalla madre Adriana (Stefania Sandrelli). Intorno a loro si dipana il filo degli avvenimenti quotidiani eppure unici di altri personaggi: l’onorevole Fioravanti (Valerio Binasco), politico in declino, tiene comizi elettorali per una campagna già persa in partenza; la sua giovane moglie Maya (Nicole Grimaudo) organizza la festa di compleanno della figlia; Aris (Federico Costantini), figliastro e coetaneo di Maya, vede il loro rapporto farsi sempre più intimo; Mara (Monica Guerritore), professoressa di Valentina, si prepara ad un appuntamento con l’amante. Emma affronta Antonio in un incontro, ma deve fuggire alla sua violenza: a quale altro gesto porterà la follia dell’uomo?
Le storie si incastrano alla perfezione, senza una sbavatura, ed hanno in comune una sola grande protagonista: la città di Roma. Ogni angolo resta immobile e indifferente spettatore alla tragedia che si consuma, che siano i grandi palazzi del potere e le chiese barocche frequentate dall’onorevole, o i tristi edifici della periferia e le passeggiate desolate del Tevere battute dal suo caposcorta Antonio: il dolore e la difficoltà non fanno differenza di luogo né di ceto (una citazione a parte merita la panoramica dei fabbricati desolati intorno al gazometro, dipinti nella livida luce dell’alba: luogo caro ad Ozpetek che lo ha spesso fatto apparire nei propri film).
I gesti di ogni giorno assumono un’apparenza quasi spettacolare, coi personaggi che portano sullo schermo comportamenti schematici: il dolore, gli affetti, le scelte più umili sono vissute in un’ottica di estraniante rassegnazione a quella che a noi appare come vita quotidiana, ma spesso cela enormi sofferenze, note di tenerezza, momenti di follia. E a tal proposito, i dialoghi sono estremamente misurati; la disperazione, l’amore passano soprattutto attraverso i silenzi e gli occhi: i personaggi si scambiano lunghi, immobili sguardi che vorrebbero ma non riescono mai veramente a penetrare la scorza dell’altro. Il film gioca tutto su questa linea, e rimane a livello psicologico molto forte, shockante e, nella sua bellezza, a tratti insostenibile per l’estrema lucidità e freddezza della rappresentazione, quasi cronachistica.
Sono i due interpreti principali la vera anima del film: un Valerio Mastandrea dallo sguardo folle e deciso, perso nei fantasmi del passato, repentino negli scatti di violenza come in quelli di rabbioso amore, e una Isabella Ferrari straordinaria, stropicciata e sofferente, donna colpita dalla solitudine e dai disagi economici ma guidata da una ferma volontà (“Sai cos’hai fatto? Mi hai fatto venire voglio di vivere. Io vivo senza di te.). Tra gli attori secondari spicca senza dubbio la Sandrelli, in un ruolo molto reale e struggente e Angela Finocchiaro, in un piccolo cammeo, fonte di speranza.
A sostenere il tutto la bellissima colonna sonora firmata da Andrea Guerra, che accompagna i momenti di attesa e di pathos rendendoli ancor più coinvolgenti.

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