Omaggio a Suor Carmelina che ha lasciato dopo sessant’anni la comunità barghigiana –
Verso la metà di maggio Barga e soprattutto il Castello hanno visto partire una delle sue figure più rappresentative e più amate dalla comunità. Dopo aver trascorso più di sessant’anni a Barga e dopo aver retto l’educandato del Conservatorio Santa Elisabetta fino al 1993, ha lasciato ilsuo posto per trasferirsi presso la Casa madre di Roma, Suor Carmelina, la piccola grande Suor Carmelina; benvoluta, come detto, e stimata da tanti.
Per la sua partenza non sono mancati due omaggi speciali: uno dell’artista Keane con un’opera dedicata a Suor Carmelina; l’altro, conseguente al primo, di Graziella Cosimini con un ricordo di questa suorina speciale.
Entrambi li ritroviamo proprio dallo scritto di Graziella Cosimini che riportiamo di seguito assieme all’opera che Keane ha esposto nei giorni della sua partenza in Piazza Salvo Salvi. Sono il nostro omaggio a Suor Carmelina, ma anche l’auspicio per un suo ritorno.
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– Che cosa sta facendo Keane?
– Cosa inventa oggi?
Ha appeso una tela, grande, in Piazza del Comune.
Ecco, una figura appare all’improvviso; una figura dai contorni inconfondibili balza agli occhi e li cattura. Esile, dritta, nera, è ritratta di spalle.
Sospesa, eppur saldamente ancorata alla terra, sembra che l’abbia sorpresa una folata di vento.
Si è infilato fra le pieghe del velo, increspandolo, appena, da una parte.
È il vento dispettoso che, nascosto nei vicoli, aspetta chi passa per Barga vecchia.
E lei è una suora. – Suor Carmelina?
A darle vita sulla tela è statoKeane, l’artista che sa sempre cogliere nel segno, perché al segno non si ferma.
Due soltanto i colori: il bianco e il blu così scuro che sembra nero; poche linee, in verticale, quelle essenziali; un accenno di movimento e il gioco è fatto, la magia compiuta: la vita con il suo intreccio di realtà e poesia, di evidenza e di significati profondi è lì, fissata e ci investe.
Guardo e inizia il viaggio nelle emozioni in un rimando di immagini, impressioni e ricordi che il quadro evoca e fa dilagare nell’anima.
Eccole, le suore, precedute dal secco scatto del portone che si chiude alle loro spalle. Passano silenziose sfiorando l’umido selciato di pietra, in certi pomeriggi autunnali, deserti. Al rintocco delle campane di San Rocco, appaiate, il capo chino, vanno verso un richiamo a cui rispondono senza indugio.
Fuori del tempo, non ne sprecano un secondo; la muta preghiera, scandita dal cuore, non muove le labbra, ma accompagna i passi.
I passi, quelli nei lunghi corridoi tirati a specchio del Conservatorio non hanno più suono.
Li odono ancora, solo nella memoria, le educande, le adolescenti inquiete di allora che fra qualche lacrima e molti sogni, impararono a diventare donne sotto il vigile sguardo di Suor Carmelina e di Suor Melania.
Le Suore del Conservatorio di Santa Elisabetta, destinate nell’evolversi dei tempi a rimanere sole nell’austero refettorio, silenziose custodi, finché è stato possibile, della nostra storia.
Per lei, solamente per lei, Suor Carmelina, padrona di casa amorosa e attenta, le piante hanno continuato a verdeggiare nei bei tripodi antichi negli angoli baciati dalla luce velata dal pulviscolo sottile della polvere.
Le stanze, da tempo mute, hanno avvertito la sua presenza fino a che il vuoto e la solitudine si sono fatti troppo pesanti da sostenere lungo il corso degli anni che si sommavano.
Solo in un luogo, rimasto come è nato, pieno di luce e di mistero, il tempo non è entrato: nella Cappella.
Il segreto della vita di Suor Carmelina e delle sue sorelle è lì, dove l’azzurro e il bianco si esaltano e cantano la gloria del vero padrone di casa, a Lui giovinette, si votarono.
Altro tempo. Altra poca.
– Che coincidenza! Ma lo sapevi Keane che proprio in questi giorni Suor Carmelina ha lasciato Barga per Roma?
– Non lo sapevi?
– È così. È venuto il nipote a prenderla per portarla con sé. Era a Barga dal 1946. Una vita intera.
Qualche goccia di pioggia comincia a cadere dal cielo di maggio che si è fatto grigio.
Gli occhi scorrono lentamente sul quadro.
Indugiano con un filo di commozione.
La figura sulla tela sembra proprio avviata verso un ritorno. Leggera, composta, raccolta in se stessa, è passata or ora, per la piazza.
Come di abitudine. Come sempre.
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