Quest’anno ricorre il 75° della morte del medico legale e scienziato Prof. Cesare Biondi (Firenze 1867- Firenze 1936), il quale dal 1911 sino al 1919 fu sindaco di Barga e consigliere provinciale per il Comitato Popolare che in Barga si contrapponeva alla Crema.
La nascita fiorentina comunque non deve trarre in inganno in quanto fu casuale, infatti, sia il padre Pompeo, che la madre Rosa Sammartini, erano figli di due famiglie di Barga. Tra l’altro Cesare teneva particolarmente alle sue origini barghigiane, tantoché trasse molti nell’errore di considerarlo proprio nato qui, come nell’intervista che gli fu fatta sui moti di Sardegna del 1906 per il Nuovo Giornale di Firenze, dove l’autore così lo delineò: “La parlantina del prof. Biondi scaturiva luminosa e gorgogliante… quale viva sorgente montanina può zampillare nei boschi della sua nativa Barga diletta”.
Il 2 agosto del 1900 sposa a Firenze Paolina Biondi, omonima nel cognome ma non parente, la quale aveva due figli: Marga e Roberto, quest’ultimo volontario in Libia nel 1911 e Medaglia al Valore, morirà nel 1912 a Taranto per malattia contratta su quel fronte. Dai due nascerà Pompeo, eminente giurista.
Cesare Biondi nel 1890 si laurea in chirurgia e medicina a Firenze con il prof. Paolo Mantegazza, iniziando la sua attività scientifica nella Clinica Medica Generale con il celebre prof. Pietro Grocco.
Medico condotto a Monsummano, dopo poco vince una borsa di studio per l’estero che lo conduce in Germania: Friburgo e Berlino, dove compie studi di carattere biologico. Al ritorno in Italia decide la via della Medicina Legale: Assistente nella Regia Università di Pisa, poi allievo prediletto a Firenze di Angiolo Filippi ed entrato in contatto con Lorenzo Borri, ha inizio la sua attività scientifica che lo porterà con il tempo ad essere riconosciuto un luminare di livello internazionale.
Intanto nel 1900 ottiene la Libera Docenza e nel 1902 è Ordinario di Medicina Legale a Sassari, nel 1903 a Cagliari e infine nel 1910 a Siena.
Personalmente fu autore di più di 200 pubblicazioni scientifiche e fondò il giornale di medicina legale “Il Ramazzini” (1907-1917).
Ebbe diversi interessi culturali, tra cui la passione per la poesia pascoliana, nata non dall’amicizia con il Poeta ma bensì dalla piena condivisione del suo messaggio. Alla memoria del grande poeta dedica alcune prolusioni accademiche, come nel 1919, quando dopo la tragedia della guerra 1915-18 -di cui fu volontario con il grado di Tenente Colonnello e fregiato al merito- dà inizio all’anno accademico di quell’anno, esattamente il primo dicembre, con la prolusione “L’amore nella poesia di Giovanni Pascoli”, dedicandola alla rinascita del popolo italiano.
Il Poeta aveva dedicato all’illustre amico Cesare Biondi una delle poesie più nostre: “Il soldato di San Pietro Campo”.
Al Poeta il Biondi era stato amichevolmente e fraternamente molto vicino, tantoché nel 1907, con il Pascoli deciso a lasciare Castelvecchio perché non eletto nella lista della Crema di ispirazione governativa (l’altra era la lista Popolare a carattere progressista di cui Biondi, da anni, ne era il nume tutelare), il Biondi scrive al Pascoli una lettera accorata, in cui: “A Lei, alla Bicocca di Caprona, donde iniziarono i canti, che ci rivelarono la bellezza dei nostri monti, l’animo nostro corre in quest’ora grigia come ad un rifugio. Non ci abbandoni!”, e in effetti, scegliendo però l’esilio da Barga, non ci lascia.
L’idea del Poeta di lasciare Castelvecchio affondava le sue radici al 1905, quando per l’unione tecnica delle due liste poc’anzi ricordate, in quell’anno era stato eletto alle elezioni parziali consigliere comunale di Barga, ufficio che non poté espletare, nonostante il plebiscito di consensi e la cittadinanza onoraria, perché dimenticarono di iscriverlo nelle liste elettorali, quindi in questo 1907 comprensibilmente irritato per la mancata fiducia. Però va detto che nel 1905 l’unione delle due liste fu un compromesso, una decisione del Comitato Popolare intenzionato a rimandare la lotta per la conquista del Comune alle elezioni generali del 1907, cosa che avvenne con la sconfitta bruciante della Crema, lista in cui si era presentato il Pascoli.
Nelle elezioni parziali del 1910 Biondi è eletto consigliere comunale per il Comitato Popolare.
L’esilio del Pascoli da Barga si interrompe nel 1911 quando Biondi, a seguito delle dimissioni del sindaco Lazzaroni, nell’agosto di quell’anno è eletto sua volta sindaco di Barga tra le manifestazioni di piazza per la scelta della strada di collegamento da Barga alla ferrovia: Biondi sostiene la via del Piangrande per la Barga-Gallicano, altri, i fornacini, un collegamento con la stazione di Fornaci, altri ancora con la Barga-Gallicano tramite S.Pietro in Campo, una situazione che Lazzaroni non ce la fa a reggere. Però Biondi dichiara che rimane nell’incarico solo se nelle imminenti elezioni provinciali del settembre il candidato del Comitato Popolare sarà eletto. Vince il candidato della Crema ed Comune di Barga passa nelle mani di un commissario prefettizio.
In queste elezioni provinciali, in appoggio al candidato della Crema, salirà a Barga anche Pascoli, il quale, con quanto proclama dalla murella della colonna medicea di piazza del Comune, indirettamente ci rivela il credo politico di Cesare Biondi: “Io vi dico che i socialisti siamo noi”, (Pascoli ha capito che questo grande della scienza è destinato a soppiantarlo nell’immaginario collettivo quale depositario locale della nuova idea politica).
Nel 1912 Biondi sarà rieletto per il Comitato Popolare sindaco di Barga e in quell’incarico vi resterà sino al 1919, compreso il periodo della guerra in cui è volontario, in quanto dal prefetto verrà concessa alla Giunta Comunale di Barga la facoltà di nominare tra loro un Facente Funzioni di Sindaco, che inizialmente è scelto nell’assessore Alfredo Bonaccorsi (poi noto musicologo di livello internazionale), marito di Marga figliastra del Biondi. In seguito nella persona di Emilio Garzoli fino al ritorno del Biondi all’incarico.
Il dopo guerra apre nuovi e tali scenari politici che saranno alla base dello sgretolarsi dell’unione del Comitato Popolare di Barga. Biondi capisce subito la nuova situazione e nel luglio del 1919 dichiara alla sua giunta di volersi dimettere, perché la nuova legge elettorale farà schierare ognuno di voi secondo le vostre tendenze. Voi siete democratici, io socialista. Alle politiche del novembre 1919, seppur non tesserato, infatti, appoggia la lista socialista ufficiale ed è ancora nella carica di sindaco per la rinnovata fiducia del suo gruppo per far fronte al bilancio del Comune.
Ormai l’Italia è destinata a percorrere la strada che tutti conosciamo e per il Biondi si aprono giorni di grandi umiliazioni. A Barga, al teatro Differenti, mentre presenta i candidati socialisti, dal loggione partono centinaia di volantini, a torto infamanti la sua generosa, leale e buona persona. A Siena si ripeteranno le infamanti accuse. Turpi libelli diretti a far tacere la voce dell’eminente personalità e incitanti a compiere qualsiasi brutalità pur di giungere al fine.
Il fascismo è alle porte e con l’affermazione di quel regime il Biondi, per le sue idee politiche, diviene oggetto di numerosi e violenti attacchi da parte di certa stampa. Particolarmente si distinse “Il Selvaggio” di Bencini e Maccari, dalle cui colonne si incita ad un repulisti tra gli alti papaveri dell’Istituto Nazionale Assicurazioni, perché c’è troppa indipendenza. A Siena in un numero de “Il Selvaggio” del luglio del 1925 il Biondi è fatto oggetto di un pubblico libello e lo si addita al pubblico ludibrio:
“Pulizia ci vuole in certi ambienti, e non a parole; e nel caso particolare santissime pedate nel deterano del lucchese ipertrofico Cesarino Biondi”.
Si arriva addirittura a volerne la sua cacciata dall’Università per compiere la fascistizzazione dell’istituzione, concepita come:
“L’Eldorado riservato alla massoneria italiana”.
Amico dei socialisti Treves e Turati, il Biondi a Siena conosce anche nel 1920 il segretario nazionale Giacomo Matteotti, amante di quella città ed ha modo di entrare con lui in simpatia ben oltre il credo politico.
Dopo la tragica morte di Matteotti per mano di sicari fascisti, il Biondi da Siena (unico della città) nel giugno del 1924 fa giungere a Turati una coraggiosa lettera: “Carissimo. Ti ho seguito con tanta commozione nella tua opera pietosa, instancabile, ardita. E sento il bisogno di dirti ancora tutta la mia profonda, affettuosa amicizia, tutto il senso di solidarietà, che in quest’ora di strazio e di vergogna riavvicina gli uomini della nostra fede. Scrissi alla signora Modigliani subito perché dicesse alla Signora Matteotti come anche nella mia casa si dividessero le sue ansie e le sue pene; se tu la vedi dille ancora -ove questo possa esserle di conforto- che anche noi piangiamo con Lei […] Ti abbraccio, mio caro, con tanta tristezza. Aff. Cesare Biondi”.
L’idea della punizione perseguita il Biondi, tantoché una sera deve chiamare in fretta e furia l’auto pubblica del barghigiano Silvio Mariucci perché lo conducesse via da Barga in quanto gli è giunta la notizia, pare dal locale maresciallo, che da fuori vogliono venire a trovarlo per dar fuoco alla sua Villa di Pozza e a lui una sonora lezione.
Altra volta alla stazione di Fornaci a stento riesce a sottrarsi ad un’aggressione per il pronto intervento dei presenti, come a Barga ad un’adunata fascista, passando tranquillamente per la sua strada è deriso con una bastonata sulla paglietta.
Comunque il fascismo alla fin fine dovrà tollerarlo perché nel campo della sua professione non ha altri al suo livello. Si ricordi che uno dei pochi presidi di modernità che restò dopo il disastro del regime fascista fu proprio il sistema previdenziale.
Così viene additato Cesare Biondi da uno dei successori alla sua cattedra senese, il Medico Legale Mauro Barni, prima Rettore e ordinario di Medicina Legale a Siena, Sindaco della Città, oggi Professore Emerito, nella monografia a lui dedicata ed edita nel 2010, “Cesare Biondi, Maestro di libertà e giustizia sociale”:
“Questo grande intellettuale toscano, uomo di scienza sperimentale e forense, assolutamente preminente in ogni ambito del suo interesse umanistico e della sua vocazione medico-sociale, fu animato da una fede profonda nella libertà e nella giustizia, professata con semplicità e bonaria colloquialità e cordialità. La sua professione di medico legale universitario fu arricchita dalla militanza nella organizzazione sociale dello Stato e dalla partecipazione fondativa del sistema previdenziale italiano, tanto da farlo assurgere ad artefice delle assicurazioni sociali contro le malattie del lavoro, la invalidità, la tubercolosi e a precursore del servizio sanitario nazionale.
La ribellione bruciante contro la sofferenza nel lavoro umano fu in lui stimolata dall’esperienza civica e medica sulla condizione dei cavatori della amata Garfagnana (donde proveniva e tornava sempre), dei minatori del Sulcis e poi dell’Amiata, degli addetti ai forni del mercurio di Abbadia San Salvatore e al secretaggio mercuriale nell’industria dei cappelli del Valdarno: tutti esposti a condizioni di fatica, di usura, di miseria, di malattia, ai rischi d’infortunio, all’inesorabile insorgenza delle specifiche tecnopatie”.
Conclude Mauro Barni: “Il suo pensiero andava più lontano e forse ispirò sulla priorità del lavoro i grandi italiani, autori della Costituzione repubblicana, alcuni dei quali lo avevano conosciuto, esaltato e amato”.
Muore in servizio nel 1936 a Firenze e ripristinata la democrazia finalmente Barga riconosce la grandezza dell’uomo e i suoi meriti scientifici, tantoché a questo suo importante “figlio” dedica il più bel viale di Barga: viale Cesare Biondi e non poteva essere altrimenti. Quanto asserito trova immediato e sicuro riscontro nelle parole estratte dalla commemorazione che fece di lui nel 1937 il prof. Giuseppe Bianchini, allievo e successore alla sua cattedra che proveniva dalla nostra Valle, lettura che tenne nella sua aula all’ingresso nell’incarico: “Non c’è nessuno dei nostri operai e dei nostri contadini, il quale al ricordo del buon professore dalla barba bianca, dalla voce soave e dal gesto festoso, che nella sventura infondeva coraggio e speranza, non si soffermi pensoso e rattristato.
Voi non vedeste, come io vidi, in quel desolato meriggio di primavera, il corteo senza fine, greve di sconfinato dolore e d’insopportabile angoscia, raccolto dietro al feretro lento, volgente verso il piccolo cimitero di Barga, dove Cesare Biondi desiderò riposare per sempre. Quel corteo era fatto soprattutto di popolo, di operai e di montanari, discesi dalle più alte balze dell’Appennino di Val di Serchio, col cuore ricolmo di dolci ricordi e di infinito rimpianto. Non è questo il tributo migliore cui possa aspirare chi fu onesto e buono, chi diresse tutta la sua vita verso la meta ideale, anche se talvolta ne ebbe dolore?”.
Un nostro umile conterraneo di Riboscioli disse nel 1987, anno del cinquantenario della morte solennemente celebrato a Barga dall’amministrazione comunale di Alessandro Adami, dal Gruppo Ricerche Storiche e dai Socialisti: “Ricordo il giorno della morte del prof. Cesare Biondi, perché il nonno piangeva come se gli fosse morto un familiare”.
Lascia un commento