Tramite il comune amico Gabriele Rigali ci giungono due bei ricordi dedicati a Fornaci scritti da Walter Donati, che dopo aver iniziato a leggere il libro su Fornaci scritto da Sara Moscardini e dedicato alla Fornaci dal 1971 al 2000, ha aperto il suo personale armadio dei ricordi fornacini di gioventù. Ne sono nati questi scritti che volentieri proponiamo ai lettori del Giornale di Barga, ringraziando Walter per il suo contributo alla memoria di una storia recente, bella e intensa per chi l’ha vissuta; eppure già così lontana da questi anni bui e difficili che viviamo d’oggi.
Mi sono seduto in poltrona e ho cominciato a sfogliare il libro “Fornaci i luoghi, le persone la comunità”. Devo dire che è stato fatto un lavoro bellissimo, complimenti a chi lo ha pensato e realizzato. Certo che parlare di Fornaci non è facile, ogni Fornacino leggendolo, potrebbe dire “ma non si parla di quello, non si dice di quella volta, ecc.”. Ognuno ha la sua Fornaci, io posso parlare della mia. Io sono nato a Barga ed abitavo sotto l’ospedale; ricordo mio nonno Giovanni, un uomo grande, lo ricordo con il sigaro sempre in bocca e il cappello in testa. Mio babbo lavorava alla S.M.I e tutti i giorni e con tutti i tempi da Barga andava a lavoro a Fornaci, con la Vespa; per questo ci trasferimmo a Fornaci e non in un posto qualsiasi, ma in Fornaci Vecchia vicino alla chiesa. Ricordo che a quel tempo c’era Don Guido come cappellano e don Ferretti che era l’arciprete; io ero piccolo e il mio contatto con loro era la messa. Poi arrivò lui, il Cappe, don Lido Batini, e per me e i miei amici tutto cambiò; lui portò qualcosa di nuovo… più che un prete, come lo conoscevamo noi, era un amico più grande. Cominciai a frequentare più assiduamente la Chiesa: facevo il chierichetto. Il Cappe aveva organizzato un specie di torneo per noi chierichetti: dava un punteggio a tutte le messe che noi servivamo; se la servivi era un punto, se facevi presenza mezzo punto. In canonica c’era un cartellone con tutti i nomi e la classifica e quando finiva il torneo, chi era primo aveva un premio: una racchetta da tennis o un pallone. Io abitando vicino alla Chiesa, le prendevo tutte le messe e vinsi anche, ma non ricordo il premio.
Poi a Maggio, c’era il rosario; noi ragazzi in prima fila, poi tutti in Piazza a giocare a Fazzoletto: il Cappe faceva le squadre e dava i numeri, poi reggeva il fazzoletto e chiamava i numeri; non c’era un vincitore, ma dopo tutti al bar a prendere il ghiacciolo, offriva lui. Il Cappe aveva la famosa Fiat 124 che lasciava sempre parcheggiata in Piazza della Chiesa e rigorosamente aperta, perché noi così potevamo entrarci e ascoltare la radio e sentire le cassette del super 8 di Baglioni o Battisti, poi arrivava lui e ci rimproverava sorridendo, ma il giorno dopo la macchina era sempre lì, aperta. D’estate spesso il Cappe andava a Bagni di Lucca a giocare a tennis e io mi facevo trovare in Piazza accanto alla macchina insieme a uno o due amici e lui ci caricava e ci portava con lui e poi quando finiva di giocare e andava a fare la doccia, ci lasciava le racchette e le palline e si giocava noi.
Ecco il tempo era quello, il Cappe aveva una grande passione: il calcio e così organizzò un torneo per le scuole, chi voleva si iscriveva, poi lui fece le squadre, arbitrava lui tutte le partite così poteva vedere i più bravi e da lì nacque la “famosa” squadra degli Allievi. Non era solo una squadra di calcio, eravamo un gruppo di amici che giocavano a pallone, guidati da una persona, per noi e non solo per noi, speciale: il Cappe. Gli allenamenti erano una festa, erano un’occasione per stare insieme, noi con lui. Poi eravamo anche bravi, finimmo il campionato imbattuti: 50 gol fatti e 5 subiti. Fu un periodo bellissimo, io mi sentivo il re di Fornaci; quando giocavamo al campo c’era tantissima gente. Anche in trasferta, tanti fornacini ci seguivano. Ricordo che io ero sempre il primo ad arrivare al Bar Centrale, dove ci si trovava per partire in trasferta; ero il primo perché andavo con la Dyane del Vezio a Fabbriche di Vallico a prendere l’Ivo Porta, che insieme a Alberto Nutini, erano i due “stranieri” della squadra. In ogni campo dettavamo legge sempre con il sorriso perché per noi giocare era una festa e forse era per questo che vincevamo. Ad un certo punto del campionato il Cappe smise di venire alla partita e al suo posto c’era l’Ubaldo Valdrighi, che era l’allenatore in seconda. Il Cappe non veniva perché se prima diceva la prima messa, che mi sembra fosse alle 9 e poi di corsa veniva alla partita e ci guidava in campo, poi ad un certo punto, non so per quale motivo (o meglio lo so) si ritrovò a dover dire anche la messa delle 11, così non poteva più seguirci.
Quando tornavamo, la prima cosa era che facevamo, se la messa non era finita, era di andare in Chiesa e dal fondo ci facevamo vedere e ci sbracciavamo per far capire al Cappe, che avevamo vinto. Come ho scritto in precedenza, finimmo il campionato imbattuti, vincendo tutte le partite fuori che una, con il Valdottavo, che pareggiammo. Nel campionato c’era anche la Lucchese e ricordo che a Lucca, finì 1 a 0 per noi con gol di Giusti e a Fornaci mi sembra 2 o 3 a 0. Quando andammo a giocare con la Lucchese, ricordo che arrivammo al campo, ma non c’erano gli avversari; ci cambiammo, facemmo il riscaldamento, ma la Lucchese non c’era. Poi arrivarono già cambiati, si erano cambiati negli spogliatoi dello stadio, che era vicino al campo dove giocavamo.
Vinto il campionato e passata la semifinale ci fu la finale del campionato, allo Stadio Porta Elisa a Lucca. Si giocava la domenica mattina e c’era mezza Fornaci; la tribuna era rossoblù e vincemmo 2-1 con il S. Alessio. Tornammo a Fornaci con le maglie e le bandiere che sventolavano dai finestrini delle macchine. Eravamo al settimo cielo noi con il nostro Cappe. Ci fu la fase regionale, passammo il primo turno con la Stella Azzurra di Pisa, non ricordo il risultato, ma ricordo che io finì la partita con le scarpette completamente aperte: il lunedì, come sempre, ero al bar “della Serafina”, ora La Fenice e arrivò un mio grande tifoso e mi portò un paio di scarpette nuove…ricordo bene la marca “Puma”.
Ma non erano tutte rose e fiori; a Fornaci non si respirava un’aria sana, erano successe cose, diciamo non troppo chiare; prima tra tutte il fatto che tutto ad un tratto al Cappe, dopo aver celebrato la prima messa della domenica, per poi avere il tempo di venire con noi, doveva celebrare la messa delle 11 e così non aveva più il tempo per la squadra. C’era nell’aria che il Cappe dovesse andare via, ma ricordo che lui, non so se in occasione di un allenamento, ci disse che rimaneva ancora un anno e noi eravamo al settimo cielo. Un altro anno insieme al Cappe, eravamo quasi rassegnati e questa notizia ci riempì di gioia, ma dopo un po’, una sera il Cappe ci chiamò nella sede del Fornaci, che era sopra il bar della Serafina e disse che aveva avuto comunicazione da Pisa, che di lì a poco avrebbe dovuto trasferirsi. Non vi dico cosa successe: chi piangeva, praticamente tutti, chi cominciò a inveire contro chi per noi erano i responsabili di quel trasferimento; noi ragionavamo, forse egoisticamente: il Cappe era la più bella cosa che ci era successa, tutti a Fornaci gli volevano bene, perciò perché mandarlo via? Non capivamo. Qualcuno disse di andare a parlare con chi noi identificavamo come responsabile di tutto ciò. Partimmo, arrabbiati, piangenti e decisi. Gli adulti che erano con noi, cercarono di fermarci, ma non ce la fecero, qualcuno mise anche la macchina di traverso, in via Traversa, ma noi ci passammo sopra, arrivammo in Piazza della Chiesa e incontrammo una persona che non era dalla nostra parte, uno di noi in preda alla rabbia, disse una parola in più e, ci fu una piccola rissa. Tutto quello che successe dopo, per chi era li, è storia.
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