- DI RITORNO A BUCAREST – al CASTELLO DI ELISABETTA DI ROMANIA
La notte di Pierre è tormentato dagli incubi: rivede Azyadè, poi Aslan che fugge via, il volto di Elisabetta che lo conforta. Si sveglia agitato e di cattivo umore.
Il viaggio da Istanbul sembra non finire mai. Ad ogni piccolo risveglio di Pierre, la luna che sbuca dalle nuvole, gli infligge pene ancora più grandi. Lei da lassù, così impassibile alle vicende umane, sembra dire “dovevi aspettartelo, se provochi sofferenza, sarà naturale poi riceverla nella stessa misura”.
A un’ora dall’arrivo passa il fattorino a svegliare i viaggiatori, invitandoli a fare la colazione nella carrozza ristorante. Pierre ha lo stomaco chiuso in una morsa, non può neanche pensare di bere e masticare qualcosa. Si alza e si lava la faccia, guardandosi allo specchio. Per terra c’è ancora il frammento delle roselline cadute la notte prima. Lo guarda e gli occhi diventano lucidi.
Nel frattempo Aslan si siede al tavolo imbandito e ordina un caffè con latte. Si gusta la colazione vedendo sfilare gli ultimi campi prima della stazione d’arrivo.
L’Orient Express giunge in orario alla stazione di Bucarest.
Il fattorino aiuta Pierre a ricomporre il bagaglio, perché lui sembra confuso e non riesce a fare movimenti precisi. Pierre, gli dà per questo una lauta mancia e scende dal treno.
Poco avanti a lui, Aslan seguito da un fattorino della stazione, si reca con passo spedito verso l’uscita, dove si ferma, per aspettarlo. La gente va e viene per prendere i treni e accogliere le persone appena arrivate. In tutti lampeggiano sguardi di aspettativa e di novità, tranne che sul viso di Pierre, piegato dalla mancanza di riposo e dai nervi a fior di pelle, per essere tenuto all’oscuro di ciò che gli sta più a cuore.
Una volta riuniti, Pierre e Aslan senza dirsi una parola, avanzano verso la carrozza con lo stemma dei sovrani di Romania. Salgono e si siedono uno di fronte all’altro. Un ragazzo che vende i giornali passa davanti al finestrino della carrozza. Aslan compra una copia e la apre davanti a sé, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Tra i due scende un silenzio grave.
ASLAN
(sbirciando dal giornale)
Pierre, cerchiamo di convivere civilmente durante questa corsa al castello che vi separa dalla verità. Non chiedete. Ho la vostra parola?
PIERRE
(nervoso)
Non chiederò. Avete la mia parola. Ma quando questa storia sarà finita …
Pierre stringe il cappello tra le mani e poi ne sbatte le falde sullo sportello della carrozza, per sfogare la sua ira. Vorrebbe prendere per la collottola quel nobile Circasso, impudente ed irritante, ma deve contenersi oppure, rischiare di perdere la verità, per sempre.
La carrozza arriva a grande velocità al castello, in un viaggio che a Pierre sembra interminabile.
Una volta arrivati, Pierre scende per primo, correndo verso il portone d’ingresso, dove un usciere in livrea lo sta aspettando.
PIERRE
Sua Altezza la Principessa Elisabetta è al castello?
USCIERE IN LIVREA
E’ nel parco signore, da quella parte.
Indicando con la mano una zona del parco.
Pierre percorre a passo veloce il sentiero principale, guardando a destra e a sinistra, tra i grandi alberi che nascondono altri sentieri, diramandosi dal primo. In fondo si intravede un piccolo campo, con delle croci e una cappella: il cimitero di famiglia.
Le foglie d’autunno sono sparse sull’erba rinverdita dalle prime piogge e tutto intorno aleggia un’atmosfera di pace.
Una figura di donna di spalle, con mantello e cappuccio neri, sta in piedi difronte ad una croce in pietra, alla cui base si stende un tappeto di foglie.
PIERRE
Elisabetta, mi dovete delle spiegazioni!
Dice Pierre con voce sofferente, avvicinandosi alla donna, che resta immobile, senza rispondere.
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