Una estiva Barga di cento anni fa

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Ciò che proponiamo oggi al lettore è uno spaccato di una Barga Estiva di cento anni fa. Un racconto che pare fatto da un forestiero, da un ospite della stessa Barga, ma a ben vedere forse non è proprio così o meglio, è qualcuno del luogo che si firma con uno pseudonimo: Dick. Nei fatti, parrebbe che un personaggio locale abbia preso le parti di un villeggiante a Barga, nel caso il prof. Nello Martinelli, magari suo amico, che spiegheremo più avanti chi fosse stato, e abbia riportato in bella prosa le impressioni ricevute dal luogo. L’articolo è stato tratto da un numero de La Corsonna del 1919, esattamente il n. 20 dell’ottobre 1919, e il titolo dell’articolo è “Barga”, con l’aggiunta a fianco della dedica, appunto, “Al prof. Nello Martinelli”.

Per altro, va detto che spesso su quel giornale appaiono articoli firmati con pseudonimi, come “L’errante” o “Il Vagabondo”, che racconta dei costumi locali, di visioni personali delle cose che si muovono nel paese, di giovani e più che altro delle giovani che con i loro sorrisi, i loro svolazzanti vestiti detti alla moda, attendendo speranzose il futuro e nascostamente sorridono anche alla vista del saputo “censore” dei loro modi di vivere i giorni barghigiani. Dietro a queste firme con pseudonimo certamente ci sono i fratelli redattori del giornale Alfredo e Italo Stefani, similmente per altri articoli del giornale scritti dagli stessi, firmati come “Geo”, oppure “XXX”, “L’A” e così dicendo; un metodo per ovviare al ripetersi del vero nome dell’autore e perché diverse persone scrivevano sulla testata, specialmente se articoli impegnativi, per scansare ogni equivoco, giacché firme con pseudonimo a quei tempi subito riconoscibili.

Questi pseudonimi, chiaramente conosciuti e da me e imparati per la confidenza che ebbi con Maria Vittoria Stefani, in vita attenta custode di tutte le edizioni del giornale che si conservano nella casa che condivise con il marito Riccardo Stefani, figlio del sopraddetto Italo, appunto, se certe firme sono riconducibili a persone conosciute, altre rimangono un dilemma. Questo è il caso dello pseudonimo “Dick”.

Il forbito, appassionante e suadente modo di scrivere potrebbe accostare “Dick” al poeta Mario Mazzoni, simile anche per certi e costanti riferimenti al paesaggio, ma a ben pensare, forse sotto quel nome che ci ricorda il celebre romanzo della balena Moby Dick si cela, ripetendo il forse, Alfredo Stefani. Si ricorda che lo stesso Alfredo fu autore di due commedie: “La Vecchia Barga” e “La Nuova Barga”, questo per dire che senz’altro non gli difettava l’idea del bello nel raccontare. Averlo poi accostato al poeta Mario Mazzoni nel pensiero che o uno o l’altro fosse stato l’autore di quegli articoli firmati “Dick”, mi porta a fare notare che i due entrarono in una simbiosi culturale che li portò a collaborare e condividere tanti momenti intellettualmente interessanti per Barga e la sua gente.

Comunque non è da trascurarsi l’ipotesi che abbia usato quello pseudonimo“Dick” magari il fratello di Alfredo, Italo, l’altro redattore del giornale. Detto ciò, vediamo che il ritenuto anonimo in un articolo si presenta anche al pubblico, però senza svelare chi realmente fosse ma solo nella sua idea degli articoli che scriverà, cioè di abile ma incognito osservatore:

“Ma … voi non sapete chi sono, voi non conoscete “Dick” perché nessuno s’è preso la briga di presentarvi un povero diavolo come sono io! Ebbene mi presenterò da me a voi.

“Donne che avete intelletto d’amore e donne crudeli e belle e brutte, a voi tutti lettori miei e men miei; ma la presentazione è un po’ difficile perché … perché … chi è Dick? Dick è uno spiritello che non si lascia acchiappare tanto facilmente e molto meno poi prendere dall’occhio discreto di un obiettivo fotografico … Così voi non saprete mai se io sia bello o brutto, ricco o povero, nobile o borghese, giovane o vecchio, vi dirò soltanto che sono Dick …”

Così “Dick” disse che esisteva ma fisicamente non si svelò. Detto ciò, ci accorgiamo che abbiamo lasciato in sospeso chi fosse stato quel prof. Nello Martinelli, cui è dedicato l’articolo. Di lui possiamo dire ben poco, comunque, era un professore universitario a Pisa, e sul giornale lo troviamo censito tra i villeggianti che tra il luglio e il settembre di questo 1919 avevano scelto come meta turistica Barga. La sua dimora fu stabilita a “Villa Libano” e questo lo apprendiamo da un articolo de La Corsonna, n. 17 del settembre 1919, dal titolo “Vita Estiva”, dove si fa l’elenco dei villeggianti di Barga.

Quest’articolo inizia con un inciso che ci fa capire quanto fosse ambita in quel tempo una permanenza a Barga:

“Barga è ancora il luogo preferito della villeggiatura estiva. Ha un’attrattiva sempre nuova, quasi che ogni anno le ombre verdi di Catagnana si facessero più intense e il cielo più turchino. Le vette Apuane dentellano l’orizzonte e dagli Appennini spirano i venti che mitigano la calura nei mesi infuocati. Qui si vive di luce e d’aria e lo spirito riposa nella contemplazione del paesaggio grandioso che è un inno sempre nuovo alla bellezza incomparabile della natura.”

A seguire apprendiamo che gli ospiti di Barga affollavano oltre che “Villa Libano”, “L’Albergo Il Libano” e “Casciani”, oltre alla Pensione Castelvecchi, molti altri erano in case private. Tra questi il senatore Adolfo Zerboglio, che di Barga diverrà abitudinario, lasciando anche un libro dal titolo “Barga: memorie e note vagabonde” del 1929, quindi di queste contrade un concittadino, tanto da lasciare al Senato due indirizzi, Pisa e Barga, e sino al punto di scegliere come sepoltura il cimitero di Barga, questo per lui come prima per la moglie.

Venendo alle ultime idee circa l’articolo di “Dick” che sotto pubblichiamo e possiamo leggere, dobbiamo dire che senz’altro questo “Ignoto Autore” aveva conosciuto in Barga il prof. Nello Martinelli e con lui stretta amicizia. Da questo rapporto è probabile che, ascoltando il Professore raccontare come conobbe Barga sino allora sconosciuta, in “Dick” si fosse fatto largo il desiderio di ripeterla in un suo elaborato, cui mise nome “Barga”. Quanto detto, la supposizione, è suggerito proprio dalla dedica posta a inizio articolo, ma ora è tempo di inoltrarsi in questa Barga di cento anni fa. Un tuffo all’indietro che ha dell’emozionante.

“BARGA (Al prof. Nello Martinelli)

Quando, molti anni fa, una gentile amica mi scriveva di “sul Bastione” e mi parlava di un meraviglioso cedro del Libano, che nelle notti di luna si avvolgeva di luci e di ombre da cui si sprigionano le note armoniose dell’usignolo e talvolta lo stridere lugubre, pauroso della civetta, credevo si trattasse di una poetica immaginazione della mia piccola amica e, io, volendo continuare il gioco, le scrivevo:

“Biancofiore, principessa di Torrebruna, e parlavamo di castelli, di torri, di fossi, di giostre e tornei come due personaggi del buon Tommaso Grossi in pieno Marco Visconti (1).

Ma arrivato che fui quassù la prima volta, io che non conoscevo Barga che attraverso la poesia pascoliana, e per lontane reminescenze d’università, avendo letto le opere latine del Bargeo, ossia Pietro Angelio (2), e una poesia del Guadagnoli (3),in cui si parla di un “San Cristofano (4) sgambato dai Canonici del Duomo” e della gentilezza e ospitalità dei barghigiani; nonché dalle lettere della mia gentile amica, trovai dunque che Ella aveva ragione e che c’era veramente il “bastione”, lo splendido cedro, le mura, il fosso, l’arringo. Ci pensai come sarebbe stato più in carattere il mio arrivo, anziché sull’assordante automobile, s’io fossi stato a cavallo di un magnifico puro sangue nero, vestito di velluto con tanto di cappello piumato!

Imboccando la stretta via XX Settembre fiancheggiata dai bei palazzi Mordini, Bertacchi, Marchini-Salvi, dal palazzo Micheluccini (5), sulla cui facciata oltre a graziose finestre gotiche, si nota ancora la traccia di proiettili belligeri; e il palazzo Comunale e quello Nardi sormontato dallo stemma dei Medici, e via via erte salite, quelle discese ripide, quegli archi, quelle volte oscure, par di rivivere in pieno medioevo.

Così pure guardando il paese dal di fuori, con quella sua scalata di case antiche e nere, il campanile lombardo in cima, e giù che si affaccia sulle selve di castagni, a contemplare il magnifico panorama dei monti e dei villaggi intorno, il palazzo Nardi, nella sua costruzione tetra e massiccia fa pensare a si quali congiure ordite tra le sue mura a quali delitti sepolti nel secreto dei suoi sotterranei …

E la sera, quando nel silenzio della mia camera, che stanco del viaggio mi ero ritirato presto, sentii echeggiare i tocchi della campana del coprifuoco, mi tornarono alla mente le storie e le leggende con le quali i miei cortesi amici nel condurmi a visitarla, mi avevano illustrato Barga.

Via via che la campana suonava, rivivevano nella mia fantasia quelle storie d’armi, di foschi delitti e di passioni che la leggenda ci ha tramandato attraverso i secoli, nonché gentili episodi d’amore, di fanciulle bionde, finché tutto si confuse nella mia mente stanca e assonnata e mi addormentai sognando di castellane, di paggi, di scale di seta …

L’indomani mattina di buon’ora spalancai le finestre alle glorie dell’alba e bevvi avidamente con ebbrezza l’aria fresca, odorosa di buono, di sano, di puro, e abbracciai con lo sguardo quell’insieme di colori, di luci, di linee; i fantasmi della notte erano fuggiti e mi trovavo in adorazione della meravigliosa natura, la mente libera d’ombra e piena di luce e di gioia.

Il paese si svegliava, le finestre si aprivano, cinguettavano migliaia di rondini appese in gruppi serrati ai fili elettrici; nella strada alcuni villeggianti si riunivano. Formando a poco a poco liete comitive per le gite nei dintorni, e tutto andava animandosi, il chiasso cresceva, era un chiamarsi, un rispondersi, dei nomi echeggiavano nell’aria limpida; uno con più insistenza degli altri aveva ripetutamente colpito il mio orecchio: Bru …na! Bru …u …u …na …a!

Lo sentii poi tutte le sante mattine e scoprii che apparteneva a una giovinetta vispa e ricciuta che il sonno cullava così dolcemente da non farle sentire i richiami delle compagne. Mi risuonavano sempre allora nella memoria i bei versi del Carducci:

“Batte alla tua finestra e dice il sole svegliati o bella ch’è tempo d’amore”

E gli altri:

“Tu dormi alle mia grida disperate. E il gallo canta e non ti vuoi svegliare”.

Uscì fuori anch’io: le vie strette, le vie medievali, si affollavano di graziose figurine moderne, e splendeva tra le vecchie mura la loro ridente freschezza, “Dulce ridentem –Dulce loquentem”. Mentre i leggeri abiti estivi dalle tinte svariate parevano animare di una mobile fioritura quelle pietre grigie.

Sul a bastione, il cedro del Libano stendeva i suoi rami odorosi a ombreggiare gruppi di villeggianti raccolti lì, sul bel prato verde, in comode seggiole formando un cerchio tranquillo e cordiale, mentre lontano i piccoli giocavano e i grandicelli chiacchieravano e ridevano.

Gli uomini discutevano, le giovani mamme, le zie, le nonne lavoravano: le grosse calze di lana, i guanti, le maglie che uscite da quelle mani delicate nel fervore del lavoro patriottico, erano andati a rallegrare col loro dolce tepore i nostri gloriosi soldati, avevano ceduto il posto ai ricami, leggeri trasparenti, piccole cose che portano tanta freschezza e gentilezza nella nostra dolce casa.

Una signora non più giovane d’anni, ma giovane per lo spirito, per il cuore e la mente oltre all’agilità della persona sempre ravviata e linda, terminava un antico lavoro in seta su canovaccio; cara occupazione delle nostre signore del tempo passato, e lo faceva con una sveltezza e un’armonia di tinte ammirevoli, alzando ogni tanto gli occhi per accogliere con un bel sorriso e una parola di cortese saluto i nuovi venuti, o per abbellire la conversazione con una frase giusta e arguta come, proverbi di Salomone.

Intanto, mentre le dita industriose delle signore intessono fili di refe e seta, più lontano nel gruppo dei figlioli non più bambini s’intessono con fili d’oro trame leggiadre … leggiadri ricami destinati la maggior parte a svanire nelle nebbie della lontananza, coi geli invernali, e pure cari ricordarli talvolta nei giorni che verranno.

Ora, con le prime piogge e i primi freddi che le alpi ci hanno mandato, i villeggianti sono fuggiti. Addio fiori e sorrisi, creature di sole e di gioia! Addio passeggiate, addio dolci richiami al mattino e saluti alla sera.

Addio lieti conversari; serenate: tentativi di Two Step e Fox Trott tra le mura che hanno conosciuto il minuetto, la “contraddanza” e vedute le movenze dignitose e leggiadre delle dame incipriate e dei cavalieri del ‘700!

Sono partiti e partono ancora i nostri amici a gruppi, a gruppi con gran pulsare di automobili, portandosi via fasci d’erica, di ciclamini, di felci, di fiori d’alpe, i quali nei loro salottini di città parleranno nelle fredde tristi giornate invernali, delle nostre montagne, delle belle gite in comitive allegre e chiassose a Castelvecchio, a Coreglia, a S. Pellegrino.

Barga si fa deserta; Barga che vide accampati alle sue porte soldati dagli elmi piumati, con lancia e scudo, e passare cavalcate pittoresche di cavalieri e dame, sembra guardi sdegnosa dalle sua mura alle ville comode e civettuole che come per incanto pare le sorgano attorno, frutto dell’operosità dei suoi figli; alle nuove macchine del progresso che riempie la valle di rumore, e si richiude in se stessa, grigia e fredda, come una vecchia gentildonna, superstite di antica e nobile schiatta.

Anche l’Uomo Morto pare sorrida sdegnoso nel suo sonno eterno, di tanta febbre umana, solo il cedro coi suoi rami stesi pare felice d’esser vissuto tanto da poter vedere questo progresso perché anche lui ama, l’aria, la luce, lo spazio, la libertà!

Dick”

(1) Marco Visconti”, 1834, romanzo storico di ambientazione trecentesca di Tommaso Grossi (Bellano 23 gennaio 1790Milano 10 dicembre 1853) scrittore e poeta italiano.

(2) Pietro Angeli, altri nomi Piero, Petrus Angelius Bargeus, Pier Angelio Bargeo, nacque a Barga il 22 aprile 1517 e morì a Pisa il 29 febbraio 1596 e fu uno dei massimi umanisti italiani del secolo XVI.

(3) Antonio Guagagnoli, nacque ad Arezzo il 15 dic. 1798 da Pietro e Agnese Albergotti e morì a Cortona il 14 febbraio 1858, fu un poeta e letterato italiano.

Ebbe rapporti con Barga, e qui vi soggiornò nel 1825 ospite di casa Mordini. Di questo soggiorno ci ha lasciato una poesia, poi inserita nel suo libro “Poesie Giocose”, edizione del 1873 curata a Milano dal tipografo e editore Francesco Pagnoni, che qui pubblichiamo:


L’ADDIO A BARGA (1825)

Giacché vuol la sorte ria

Ch’io domani vada via

Agli amici, e alla natale

Del Bargeo terra ospitale (1)

Prima almeno del partir mio

Voglio dare l’ultimo addio;

E benché dubbio non nasca,

Che il buon vino non vuol la frasca

Pure in versi dir ne vo’

Tutto il bene che posso e so.

Che? Non merita forse Barga

Che si scriva, che si sparga

Tanto in prosa quanto in rima

Che di un colle siede in cima

E che in cerchio la vagheggiano

Qual d’olivi, qual di viti

Qual degli alberi graditi

Che producono quel frutto

Che dà gusto da per tutto

Tanto è amabile e squisito

Tanto è dolce e saporito?

Piace ai giovani ed ai vecchi

Piace a grassi e piace ai secchi

Ai cristiani ed agli ebrei

Piace ai frati, piace ai preti

Ai filosofi, ai poeti

Piace ai sudditi ed al Re

Piace a voi e piace a me;

La castagna a chi non piace?

Piace fino alle persone

A cui fece indigestione.

Deh vi sieno i Numi amici

O di Barga alme pendici

Ove sette dì io passai

Obliando tutti i guai

Tra la gioia e letizia

E il piacer dell’amicizia!

Dopo questa digressione

Mi sia lecito e permesso

Favellar delle persone

Principiando dal bel sesso.

Benedette! Qui le donne

Non si fan gonfiar le gonne

Dalla salda: voglio dire

Che non pongon nel vestire

Quella tattica che ha

Una donna di città.

Qui non scorgesi impostura

Quel che c’è, tutto è natura!

(E a dir vero non è poco)

Mostran anche un certo foco

Ed è un brio che al forestiere

Dà moltissimo piacere.

Anche i maschi sono affabili

Son gentili, sono amabili

Nemicissimi dell’ozio

Ed ognun bada al suo negozio

Hanno ingegno, hanno talento

Chi a suonar uno strumento

Chi ad ambir sugli altri il vanto

Nella dolce arte del canto

Chi a far versi, chi a far prose …

O son bravi a tante cose!

Io non trovo in essi che

Una pecca sola, ed è

Di lasciare invendicato

San Cristoforo sgambato

Dai Canonici del Duomo (2)

Pover uomo! Pover uomo!

Dunque voi Bargee pendici

Dunque voi diletti amici

Ricevete ora il tributo

Di quest’ultimo saluto

Giacché volle la sorte ria

Ch’io domani vada via.

Chi può dir quanto m’affanna

Il lasciarti o Marianna (3)

Che di cor, senza etichetta

Come l’animo ti detta

A chi vienti ritrovare

Offri alloggio e da mangiare?

Ne a’ tuoi ospiti dai tu

Questo sol; ma dai di più:

Perché dai musica e ballo

Scampagnate a piè e a cavallo

E vediamo in dolce unione

Ogni sera più persone

Far piacevole corona

Della casa alla padrona.

Or si canta un’arietta

Or si suona la spinetta

Or il corno (4); ma tu l’odi

Fare in si soavi modi

Che riescono graditi

E alle mogli ed ai mariti.

Ed io dunque da quel loco

Dove regna l’allegria

Dove tutto è festa e gioco

Io doman dovrò andare via?

E ciò che più affanna

Lasciar la Marianna?

Deh almen voi, Bargee pendici

Deh almen voi, diletti amici

Giacché vuol la sorte ria

Accogliete il tributo

Di quest’ultimo saluto!

Note della poesia:

1) Pietro de Angelis, detto il Bargeo, celebre poeta del secolo decimo quinto.

2) Non entrando l’antica statua di questo Santo in una nuova nicchia dietro l’altare maggiore le si tagliarono le gambe.

(3) La signora Marianna Mordini, nata Bergamini, che qui rammento con ricordanza, ebbe la gentilezza, nell’ottobre 1825, d’accogliermi ospite in sua casa in compagnia della signora Sofia Vacca e disuoi figli.

(4) Il Signor Equi di Barga è valentissimo suonatore di corno, e di lui qui vuolsi parlare.

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4) San Cristoforo, anche detto a Barga e sin dall’antico il San Cristofano da Barga, è il Santo patrono di Barga, dal secolo XVI condividendo il suddetto patronato con la Madonna del Molino.

Nel Duomo possiamo vedere la sua immagine nella ieratica statua lignea di fine sec. XII, posta in una nicchia dietro all’altare maggiore. Narra una leggenda, così come si dice nell’articolo citando la poesia del Guadagnoli che abbiamo pubblicato sopra, che costruita una nicchia per collocarvi la statua, prima appesa al soffitto del Duomo di Barga, al Santo furono tagliate le gambe ma come ognuno ha già capito trattasi di una favola. Questo solo pensando al fatto che il Santo è raffigurato nell’acqua, nel momento in cui, secondo la sua agiografia, sta portando sull’altra riva di un fiume il Bambino che ha posto sulla spalla, quindi le gambe, almeno le caviglie, ovviamente andavano e furono raffigurate immerse.

5) Il Palazzo Micheluccini, in stile gotico, oggi non è più esistente a Barga, faceva bella mostra di se di fronte al Teatro Differenti di Barga. Si presume fosse stato costruito nel sec. XIII. Fu drammaticamente colpito, con numerose case dell’abitato di Barga, nei giorni 27-28 dicembre 1944 dagli aerei americani durante la Seconda Guerra Mondiale, quando ci fu la rottura della Linea Gotica di Lama, luogo montano di Barga sopra Sommocolonia (Battaglia di Natale), e le Forze dell’Asse ridiscesero occupando nuovamente il Comune di Barga.

Sventrato dai suddetti bombardamenti aerei, nonostante che almeno in parte potesse essere recuperato, fu invece demolito dal Comune di Barga l’anno 1951; cosicché, Barga, perse per sempre un documento d’inestimabile valore storico.

Per conoscere la storia del Palazzo Micheluccini, esiste un solo studio: “Una ricerca per servire la storia di Barga di Pier Giuliano Cecchi –I Micheluccini di Barga, una famiglia oriunda da Castiglione Lucchese agli inizi del sec. XIX –La storia del Palazzo”, Barga, 2006. Questo lavoro è disponibile presso la Biblioteca Comunale di Barga.

Pier Giuliano Cecchi

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