Sognando a mezza estate con il poeta Mario Mazzoni (1898-1940): “Sinfonia floreale”

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Il 2 maggio si è offerta l’occasione di vedere e capire come nacque in Mario Mazzoni la poesia “Vecchia Barga”, il canto nostalgico di tutti i barghigiani innamorati della Bella Signora Senza Tempo, precisamente nell’articolo:

Come nacque la poesia Vecchia Barga di Mario Mazzoni (1898-1940)

Oggi, vedremo invece quale e quanto fosse puro il sentimento che si cullava nel suo cuore a solo ventuno anni, quando, era il 1919, inviò all’allora giornale di Barga La Corsonna un articolo in cui parlava di un suo sogno di mezza estate fatto a occhi aperti: “Sinfonia Floreale”, pubblicato nel n. 14, 27 luglio 1919. Qui immagina un giardino con i fiori intenti a dialogare con le volanti bestiole che si recano a visitarli, racconto che inizia al mattino, quando le magnolie all’alba sbiancano i petali, per finirsi a sera con le lucciole e l’ultimo canto dell’usignolo e nell’ora la luna che cola sul tutto la sua bianca favola. Un sogno di un bambino ormai fattosi uomo, che ci conduce a riflettere innanzi tutto sulla grande forza delle piccole cose e dei sogni e dei veri che in esse si racchiude, come dire, in un’estasi “pascoliana”.

È l’epoca vissuta da Mario Mazzoni, un periodo di Barga in cui ancora era fortissimo il messaggio poetico lasciatoci da Giovanni Pascoli, nei suoi componimenti illustrando e valorizzando tutto un vissuto dei cittadini che volutamente e scientemente scelse a conterranei, facendo vivere nella sua grande poesia il loro inconscio messaggio poetico. Per definire quel tempo e quanto, molto più di oggi, fosse impregnato della poesia pascoliana basta ricorrere agli scritti del prof. Cesare Biondi (1867-1936), dove chiaramente possiamo farcene un’idea, quando ci dice che ogni scroscio dei nostri torrenti o fronda di castagno ci parla di Lui, in altre parole tutto é benignamente impregnato della Sua Poesia.

Mazzoni nello scritto che ripubblichiamo a seguire, senza sforzo alcuno si fa “fanciullino” e vede nel suo fantastico giardino tutto un mulinare d’incantevoli visioni, giocando anche ad assegnare ai fiori nomi propri. Infatti, il fiore cardenia, prima scritta in minuscolo, nel momento in cui dialoga si personifica con la prima lettera maiuscola, quasi che l’autore voglia alludere a delle situazioni, forse affettive ma non dichiarate, che lo legano viepiù al racconto e alla terra di Barga.

Per dire ancora un poco di Mazzoni ricorriamo all’opuscolo “In memoria di Mario Mazzoni a cento anni dalla nascita”, edito nel 1999 dal Comune di Barga e Circolo Cesare Biondi, dove possiamo leggere:

“Mario Mazzoni è il poeta cantore dell’eterna anima barghigiana; una candida presenza nel turbinare del secolo; un dolce cuore innamorato della Vecchia Signora Senza Tempo che dolcemente si distende sul colle aprico; innamorato perdutamente di tutto quanto era e intorno a lei ancora ci incanta nel trascorrere eterno delle stagioni.

Mario Mazzoni non poteva essere dimenticato.

Sul finire di questo secolo, nel momento in cui tutti siamo portati a farne il consuntivo, ognuno secondo il proprio sentire, non potevamo tacere o tralasciare Mario Mazzoni, la cui poesia in tutti, sia vicini, ma specialmente chi lontano dalla sua tetta, ha cantato il sogno malinconico di primavere andate e la speranza del ritorno “a riveder il sol con due tramonti”.

Mario Mazzoni è destinato a parlarci ancora a lungo.”

Altro ricordo del nostro Mazzoni lo ripeschiamo da La Corsonna del 21 gennaio 1940, in un articolo redatto quando a Barga giunse la notizia della sua prematura morte, a soli quarantadue anni, avvenuta alla città di Guatemala, dove insegnava Lettere Italiane presso l’Accademia di Varones. Lo scrisse l’amico barghigiano Angelo Duilio Arrighi, anch’egli insegnante di Lettere ma in Italia e cresciuto culturalmente, come Mazzoni, all’ombra della grande anima ispiratrice la vita di Barga, Alfredo Stefani, direttore dello stesso giornale, in questo 1940, morto anch’egli da circa undici anni, ma che Arrighi ora ricorda come nume tutelare e loro ispiratore:

“Caro e gentile compagno di paziente lavoro, così tu sei dileguato nell’ombra, silenziosamente, lontano dai tuoi monti, dal cielo, dal mare che amasti con la passione fresca e ingenua del fanciullo, che dischiude gli occhi novelli alle sue meraviglie nuove ed eterne a ogni alba.

I casi della vita ci tennero quasi sempre lontano, che per diverse vie facemmo il nostro cammino, per ritrovarci in una passione: la scuola e la giovinezza che cresce fidata alle solerti cure dell’insegnamento; ma il cuore s’intendeva si bene e si completamente, nelle brevi soste che ci stringevano appresso ad un dolce scomparso troppo presto … Era con noi Alfredo Stefani; ci fece amare per la comune passione dell’arte della parola scritta …

I barghigiani lo ricordano lui giovane studioso e insegnante, che fra noi visse la sua fervida gioventù, un po’ schivo, pensoso e gaio insieme, ardendo di appassionato amore per questa terra, che cantò con delicato e accorato senso di nostalgia.”

Ora è tempo di andare a leggere l’annunciata “Sinfonia Floreale” di Mario Mazzoni, scritta quando era a Bologna per i ripresi studi universitari dopo la sua partecipazione al Primo Conflitto Mondiale. È un racconto delicato, morbido e suadente al tempo stesso, fantastico e soprattutto … poetico:

SINFONIA FLOREALE

“Quando le magnolie sbiancarono di piacere, alla prima carezza dell’alba, tutto il giardino si vestì a festa.

Le campanule si velarono le testoline graziose di un velo tenue di rugiada vaporata e i papaveri in amore dondolarono di compiacenza i loro turbanti pomposi; le rose drizzarono le corolle superbe e allargarono la loro ombra, con un’aria d’indifferenza protettrice su le piccole margherite, che sotto aprivano le belle iridi estasiate in ammirazione.

Le mammolette pudiche osarono anch’esse far capolino timidamente fra le erbe, a vagheggiare i mughetti esili ed eleganti, che facevano gli zerbinotti con le gardenie incipriate e profumate.

Le camelie si pavoneggiavano orgogliose, civettando con tutti, e si facevano rossette, per decenza, alle dichiarazioni dei tulipani intraprendenti.

I garofani si vestirono dei colori più chiassosi e si profumarono delle essenze più acute, per inebriare le violacciocche, che facevano gli occhi languidi.

E gli eliotropi volsero i loro begli occhi fiammanti, a ubriacarsi del loro bel sole.

Allora il ragno fra gli steli delle rose cominciò a tessersi la sua amaca evanescente, per la sua vita di un giorno; le cetonie si destarono nei talami profumati e ripresero i loro amori; le api clamorose volarono su i calici, a civettare con ogni corolla, per farsi regalare una goccia di miele.

E quando, a sole alto, le cicale cominciarono a cantare, una lucertoletta ancora insonnolita aprì gli occhietti lucidi, guizzò fuori dal suo crepaccio e corse a far l’amore con una margheritina, che occhieggiava beata.

Le farfalle dai bei colori erano già uscite dai loro soffici asili d’ombra ed erano venute a far la visita mattutina a ogni conoscente, raccogliendo i primi pettegolezzi della giornata.

Guardate là quelle camelie, sussurrò la Rosa a una bella Vanessa dalle ali occhiute, che si era affacciata all’orlo del calice, guardate quanto sono esose, si credono di essere chi sa chi, si pavoneggiano come regine e non hanno altro che le loro rotondità carnose. Le api non le accostano mai, perché esse non possono offrire al loro gusto squisito il miele delizioso e l’aroma delicato, che io serbo nel mio talamo. Vogliono dare ad intendere di far cascare le loro grazie dall’alto, ma è una finzione perché nessuno le cerca.

Avete ragione, rispose la Vanessa, e si piegò a suggere una goccia di miele; ma cosa volete, ognuno a questo mondo ha le sue illusioni, e volò via, per andarsi a posare sulla camelia.

Vi ha sparlato di me quella Rosa pettegola, non è vero? Domandò subito la Camelia.

Lasciate fare, insinuò la Vanessa che era una dama molto accomodante e cercava sempre di comporre i dissensi tra gli amici: voi siete molto bella, che non potete preoccuparvi delle malelingue.

Oh, lo so, lo so; si ringalluzzì tutta la Camelia, è l’invidia che la rode. Guardate un po’: adesso che il sole comincia farsi sentire essa è già morta, ripiega la testa appassita e perde il suo colore come una ballerina accaldata, che cola il belletto. Tutto fumo e niente arrosto. Guardate invece come io conservo i miei petali e il mio bel colore carnicino: non per niente tutti i tulipani mi fanno i cascamorti; guardate.

Lo vedo, lo vedo, fece la Vanessa condiscendente: voi siete tanto formosa che ogni fiore sta in adorazione d’innanzi alla vostra bellezza e volò via, portandosi un po’ di polline nelle zampette dorate.

E siccome era una dama seria che non amava le chiacchiere e faceva di buona voglia dei piaceri agli amici passando a canto al Tulipano, gli mormorò:

non vedete come languiscono d’amore per voi le Camelie? E il Tulipano gongolò di piacere, si fece più tronfio e pettoruto e raccontò al crocchio dei vicini che le camelie golose si erano uccise per amor di lui; e tutti dovettero credere, perché sulla pianta non c’era più una camelia: (il giardiniere le aveva decimate).

La Viola del pensiero, che era una monella un po’ chiacchierina e spregiudicata, a un tratto, così senza ragione, mandò su un trillo:

io quando penso una cosa la dico e non faccio la timida come le mie cuginette, che di nascosto fan gli occhi di triglia al Mughetto, e non hanno il coraggio di dirlo (le mammolette pudibonde diventarono ancor più violette per la vergogna e si fecero piccine piccine sotto le erbe) e gridò a una farfallina bianca che passava a volo:

bella farfallina va a dire al mio Amorino che lo amo e penso sempre a lui:

per ricompensa ti darò un bel bacio dolce e melato.

Le giorgine si fecero gialle dalla bile e gridarono in coro, come vecchie matrone: che sfacciata, che sfacciata!

I glicini sentimentali avvolgevano sommessi della loro anima profumata, in un abbraccio snervante, le sensitive che si ergevano, irrigidite dal piacere al bacio rovente dell’amante sole.

Le cetonie, ubriache d’amore e di voluttà, dormivano spossate nei talami dei fiori, che, sfatti sotto la calura, avevano ripiegato i petali in un torpore leggero e profumato.

Un aroma indistinto e sonnolento, esalato dal cuore di tutte le corolle assopite, fluttuava sul cielo azzurro carico del giardino e le farfalle facevano brevi voli indolenti, come sogni d’amore.

La lucertoletta cinica e scettica accanto alla piccola Margheritina si crogiolava la pancia lucida e verdolina al sole.

Anche l’Eliotropio dalla bella iride innamorata si era assopito e avvolto dalla carezza calda dell’amante, lo seguiva nel suo giro, come un sonnambulo.

Si svegliò solo all’ultima ora, per sentire l’ultimo bacio, per dargli l’ultimo addio.

E tutti i fiori si ridestarono con lui, per ricambiarsi il saluto serale e le farfalle incrociarono ancora gli ultimi guizzi gioiosi, prima di addormentarsi nei loro soffici asili d’ombra, la lucertoletta riaperse gli occhietti vispi di serpentello innocuo e incantò la Margheritina innamorata con la fissità ipnotica della pupilla lucente.

E fu per il giardino, un tremolio giubiloso, un bisbiglio sottile e confuso di tutte le corolle che si addormentarono sotto la carezza fresca dello zefiro, che scompigliava voluttuoso le chiome profumate.

All’ultimo sguardo semispento del sole, le farfalle scomparvero dal giardino e si affollarono nell’ombra ammassata, la lucertoletta diede un guizzo e rientrò nel suo crepaccio scodinzolando.

Allora le lucciole fiorirono improvvisamente su quel piccolo mondo addormentato, come sogni stellari: filarono, filarono, come un minuscolo firmamento sciante sopra un mondo molecolare e bambino; si posero sul calice di ogni fiore e tutto il giardino fu una magica luminaria, un dondolio fantastico di piccoli lampioncini cinesi, illuminati per il sonno innocente, leggero di creature paradisiache.

E dal cuore buio della magnolia l’usignolo improvviso lanciò la sua prova, come un barbaglio di luce in un cielo notturno di mezza estate, poi cominciò a colare lentamente il suo canto, la luna.

Che strana bestiola, mormorò tra sé la lucertoletta cinica e scettica, canta così bene: peccato che cominci proprio quando tutti vanno a dormire!

E si addormentò anch’essa nel suo crepaccio.

Bologna 5-8 luglio 1919, Mario Mazzoni.

Pier Giuliano Cecchi

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