La famiglia di Bruno Sereni era originaria di Livorno, di antico ceppo ebraico, ma giunse a Barga dal Veneto verso la fine del 1917, in fuga dalla tragica rotta di Caporetto. I Sereni avevano abitato anche a Milano, dove Bruno era nato il 4 luglio 1905. Scelsero Barga poiché la mamma Palmira vi conosceva la signora Zaira Nardini, che fornì ai “profughi” i primi aiuti.
A Barga Bruno terminò le scuole elementari e poi per alleviare il notevole disagio materiale della famiglia a poco più di 12 anni andò a lavorare ai reparti munizioni della “Metallurgica” di Fornaci.
Terminata la prima guerra mondiale, dopo aver fatto il garzone presso l’Albergo Libano a Barga, partì per la Scozia, assunto per lavorare in una friggitoria di pesce e patate. Non aveva ancora 15 anni. In scozia rimase per circa 3 anni, tornò quindi in Italia per prestare il servizio militare nella Regia Marina. Congedato rientrò a Barga ed ebbe subito scontri con i fascisti locali che non sopportavano il suo spirito indipendente.
La famiglia Sereni era infatti di tradizione socialiste: il padre Umberto era stato tra i fondatori della sezione del PSI di Barga che aveva nel professor Cesare Biondi la figura più rappresentativa. In quei mesi del 1923 e del 1924 il giovane Bruno sperimentò l’ostilità dell’ambiente e rischiò anche di subire le violenze di un gruppo di scalmanati. Solo l’intervento del capo del fascismo locale Morando Stefani gli evitò la punizione che gli era stata preparata per aver mancato di rispetto ai simboli del nuovo potere.
Fuga in America
Per sfuggire a questa inesorabile situazione Sereni decise di espatriare e dopo essersi fatto assumere dalla Navigazione Generale, al secondo viaggio in America disertò ed entrò clandestino negli USA. A New York trovò presto impiego in uno speak easy, un tipico locale dell’età del proibizionismo, ed entrò in contatto con esponenti del fuoruscitismo democratico.
L’incontro che, come ebbe a scrivere su “Il Mondo”, decise la sua vita lo ebbe con Gaetano Salvemini, simbolo della volontà di “non mollare” al fascismo. Accogliendo la sollecitazione di Salvemini Sereni si impegnò a raccogliere fondi per “Giustizia e Libertà” e iniziò le prime esperienze giornalistiche con la collaborazione a “Il Martello”, il giornale del sindacalista Carlo Tresca.
Fu proprio Carlo Tresca ad organizzare il boicottaggio alla visita che il ministro degli esteri italiano Dino Grandi compiva negli USA: tra i boicottatori c’era anche Bruno Sereni e per questo venne arrestato assieme al siciliano Giuseppe Lupis, che nel secondo dopoguerra è stato più volte ministro. Dall’America passò in Spagna, che allora viveva la fase convulsa che precedette l’inizio della Guerra Civile.
A Barcellona divenne segretario della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo e prese parte all’insurrezione armata del 6 ottobre 1934. Per sfuggire alle ricerche della polizia riparò nell’Alta Catalogna e per vivere si mise a fare il venditore ambulante nei mercati.
Sul fronte di Aragona
Quando nel luglio del 1936 scoppiò la sedizione franchista Sereni si arruolò subito in difesa della Repubblica Spagnola e si portò a combattere sul fronte di Aragona, dove il 1 agosto cadde ferito mentre guidava l’assalto al villaggio di Sietamo. Ricoverato all’Ospedale fece la conoscenza trasformatasi poi in una stupenda amicizia con il medico napoletano Dino Fienga che per conto del POUM, un gruppo di comunisti dissidenti, aveva riorganizzato i servizi sanitari della caserma Lenin.
Fu lì che una sera giunse , febbricitante in cerca di medicine, George Orwell. Dalla Spagna Sereni inviava corrispondenze ai giornali “Nuovo Avanti” di Parigi, “La Libera Stampa” di Lugano (in un recente volume dedicato alla storia di questo periodico un capitolo è stato riservato agli articoli che Bruno Sereni inviò dalla Spagna), “La Stampa Libera” di New York e “l’Italia del Popolo” di Buenos Aires. Strinse contatti con esponenti del movimento anarchico e soprattutto con Carlo Rosselli, l’animatore di Giustizia e Libertà, ma strinse anche un forte rapporto con Camillo Berneri, l’anarchico che venne ucciso dai sicari staliniani nella sanguinosa mattanza della settimana di sangue a Barcellona.
Alla sua partecipazione alla guerra di Spagna ha dedicato in questi anni una speciale attenzione Rai Storia nella puntata “Mario Carletti , la spia che tradì Nenni” nella quale si parla a lungo della sua attività che era costantemente seguita dalla polizia fascista.
Nell’inferno di Marsiglia
Agli inizi del 1938, ormai convinto dell’impossibilità di resistere alla sedizione franchista appoggiata da Mussolini e Hitler, dalla Spagna, in rotta, Sereni passò in Francia, a Marsiglia.
Per sopravvivere, si adattò a fare lo scaricatore di porto. Ma, molto spesso, non riusciva a trovare lavoro e conobbe la disperazione della fame, mentre le nubi più fosche oscuravano il cielo d’Europa. Il periodo di Marsiglia è, forse, quello più tragico della vita di Bruno Sereni: era continuamente sottoposto alle mortificazioni delle autorità francesi che adesso, alla ricerca di un accordo con l’Italia fascista, mal sopportavano la presenza di fuoriusciti.
Da qui, dopo aver dato fondo a tutte le risorse, tentò di raggiungere il Brasile imbarcandosi clandestino. Scoperto, venne arrestato e processato a Dakar e quindi costretto a tornare in Spagna. Da qui riparò nuovamente a Marsiglia dove si convinse dunque che gli rimanevano poche possibilità di scampo e chiese di rientrare in Italia. A Barga visse la vita del confinato politico: emarginato, segnato a dito, evitato. Al punto che le mamme per calmare i figli bizzosi li impaurivano dicendo: “Attenti che arriva il Sereni”. Fu preso a lavorare al caseificio di Castelnuovo dall’amico Vittorio Baiocchi ma, dopo un mese venne espulso da quel paese. Ritornato a Barga fece i lavori più diversi finché nel 1942, con un gesto di grande coraggio per il quale Bruno mostrò sempre riconoscenza, venne assunto come contabile dalla ditta di prodotti Boschivi di Carlo Orsi.
In carcere a Lucca e Piacenza
Alla caduta del fascismo nel luglio 1943 Bruno Sereni riprese l’attività politica ed il 13 agosto pubblicò una coraggiosa lettera sul giornale livornese “Il Telegrafo”, rivendicando all’antifascismo il merito di aver salvato l’onore dell’Italia. Alla vigilia del Natale 1943 – Barga era nel territorio della Repubblica Sociale – venne arrestato e per circa 10 mesi rimase prima nelle carceri di Lucca e poi in quelle di Piacenza.
Questa drammatica esperienza Bruno Sereni la rievocò nel libro “Carcere” pubblicato pochi mesi dopo la fine della guerra. Il libro ebbe un notevole successo e poco dopo fu seguito da un altro volume, “Paese come tanti”, che ricostruiva le vicende barghigiane dalla guerra alla liberazione, alla Repubblica. Con quelle opere Sereni veniva a portare un grande contributo all’azione di pacificazione del paese, nella quale si era gettato sin dal suo ritorno dal carcere.
Il tempo della ricostruzione
Fondò a Barga la sezione del Partito Liberale credendo che la ricostruzione del paese dovesse essere legata alla ripresa industriale ed all’iniziativa dei privati, come illustrò nell’opuscolo “Rivoluzione o lavoro”. Quella del partito Liberale fu l’ultima sua occasione di impegno in una formazione politica.
Successivamente le sue preferenze si sarebbero indirizzate verso poli diversi ma sempre sotto la guida dello stesso principio: scegliere quelle formazioni e quegli uomini che potevano aiutare Barga e i barghigiani.
L’avvenire di Barga e lo sviluppo del comune erano così diventati i motivi fondamentali della sua iniziativa, che intanto aveva preso a dispiegarsi nel campo giornalistico. Proprio la lunga vita all’estero gli aveva fatto capire l’importanza di un giornale che tenesse uniti i barghigiani sparsi per il mondo e, insieme, tutte le sue esperienze gli confermavano il valore della stampa come strumento di formazione di una coscienza civica più alta.
Il Giornale di Barga
Fu così che nel maggio 1949 fece uscire il primo numero de “Il Giornale di Barga” tramite il quale si prefiggeva due scopi: stimolare il paese nella sua ripresa e abbracciare tutti i suoi figli lontani. Da allora il “Giornale” è stato l’impegno al quale Bruno ha dedicato le energie migliori. L’uscita del “Giornale” servì da stimolo anche per altri periodici che sulla sua scia presero ad essere pubblicati nei vari centri di provincia, rinverdendo una nobile tradizione.
“Una lettera da casa”, così Bruno Sereni considerava il suo giornale che ogni mese sotto la sua direzione per ben 436 numeri in quasi 40 anni è partito da Barga per andare a portare ai barghigiani le notizie del loro paese. Ma Bruno non si limitava a scrivere la storia della sua comunità: a modo suo la faceva anche, intervenendo su tutte le questioni che interessavano la cittadina. Non vi è stata iniziativa valida per il progresso della nostra gente che non l’abbia visto animatore instancabile; non vi è stato momento di vita collettiva che non l’abbia visto partecipe.
Nella storia dei generosi
A Barga e ai barghigiani Bruno ha dedicato la parte più matura della sua vita generosa. E la nostra cittadina che lo aveva accolto “profugo” nell’ormai lontanissimo 1917 lo ha pianto come uno dei suoi figli migliori.
Il funerale di Bruno Sereni fu memorabile e partecipato da semplici cittadini, amici di sempre, amministratori pubblici, collaboratori. Fu laico e la camera ardente fu allestita presso la redazione del Giornale di Barga, mentre in Largo Biondi, a due passi dal suo ufficio, si tenne l’orazione funebre del sindaco del tempo. Barga accompagnò con grande commozione Bruno Sereni nel suo ultimo viaggio, collocandolo nel solco della storia dei “generosi” che hanno contribuito alla crescita del nostro paese.
(nella foto, proveniente dall’Archivio Pietro Rigali, Bruno Sereni, Antonio Corsi, don Mario Consani)
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