(Da Harper’s Monthly – ottobre 1909. Articolo: Barga” di Mary Heaton Vorse – incisioni di B.J.O. Nordfeldt – traduzione di Mario Moscardini)
Eppure, per quanto forte il richiamo della nuova terra, piacevoli alle loro orecchie i suoi suoni e grandi le sue opportunità, c’era qualcosa di ancora più forte che li dispensava perfino dal mettere a confronto i vantaggi del Nuovo Mondo col richiamo di una vecchia piccola e curva che li aspettava in una lontana montagna in Italia.
Quella notte ci accompagnarono a casa il nostro amico oste di Chicago e il maestro di disegno. Il primo intrattenendoci allegramente con aneddoti degli anni trascorsi nel saloon di State Street e chiedendoci dei progressi dalla “sua” città. Il secondo illustrandoci la storia di Barga: questo palazzo qui lo avevano fatto costruire i Medici quando s’impossessarono della cittadina. Quest’altro, da questa parte della strada, era uno dei più vecchi; di padre in figlio era sempre appartenuto alle stessa famiglia, fino ai giorni nostri (i giovani Conti attualmente abitavano a Lucca). Era lì che si trovavano i Della Robbia.
I cimeli di famiglia
Sai com’è nei paesi latini per noi stranieri. Ci andiamo e prendiamo quello che si può. Se siamo abbastanza ricchi compriamo i dipinti appesi ai muri, i mobili delle case. Approfittiamo della povertà della gente per togliergli i cimeli di famiglia. In seguito, la nostra ignoranza li incoraggia a venderci cimeli che non hanno.
I più poveri fra noi giocano un ruolo più benevolo. Si guardano intorno e godono il lato pittoresco delle cose.
E loro che cosa ottengono da noi? Tutto considerato, ben poco. Per la maggior parte, i nostri rapporti consistono in una divertente schermaglia di arguzie che degenera ogni tanto in una vera e propria battaglia.
Nella migliore delle ipotesi la comunicazione avviene attraverso una serie di malintesi e di sospetti reciproci. In questo paesino la “guerra” era cessata; dalla condizione di stranieri c’eravamo ritrovati in quella più piacevole di ospiti. Non eravamo più delle persone dalle quali si doveva cercare di ottenere tutto il possibile, ma gente che doveva riportare al proprio paese una buona impressione della cittadina i cui figli erano vissuti tra noi o si erano sposati con i nostri. Come ci disse il nostro vecchio amico “Molte donne americane hanno sposato uomini di Barga”.
Da stranieri a ospiti
Ci saranno sicuramente delle famiglie a Barga che non hanno avuto rapporti con l’estero, ma a noi non è capitato di incontrarle. Andando in giro e fermandoci di tanto in tanto in un caffè, in qualche bottega o in una minuscola locanda, e rispondendo alle domande che ci facevano in maniera così franca, ci rendemmo sempre di più conto che il fatto di essere americani ci procurava saluti e sorrisi, fino ad avere in tasca, per così dire, le chiavi della città. C’era sempre qualcosa da riferire sul conto di qualche fratello, o cugino, che si trovava in America; c’era sempre una ragazza o un ragazzo, come il nostro amico di Sommocolonia, che era nato negli Stati Uniti e moriva dalla voglia di rivedere qualcuno di laggiù.
Quando ci addentrammo nei monti ci fermammo a un casolare per bere un sorso d’acqua, gli occupanti mandarono subito a chiamare Pietro nei campi perché la moglie orgogliosa potesse sentirlo conversare in inglese. E dopo esserci fermati a riposare in un altro posto, ancora più lontano, dopo una faticosa salita fra i castagni, fummo accompagnati nel viaggio di ritorno da una ragazza di nome Onelia, che doveva consegnare della ricotta che portava avvolta in una pezzuola. Con lei attraversammo un piccolo pianoro su una collina. “Questi terreni appartengono a mio padre e a mio zio. Sono nostri, noi non lavoriamo per un padrone. Io sono nata in America, e quando siamo tornati i miei hanno comprato la terra”. Strada facendo ci pregò di fermarci per presentarci, noi americani, alla nonna.
Effettivamente l’America ne ha assorbiti tanti di quei lavoratori di Barga, o li ha restituiti abbastanza ricchi, da non dover più lavorare per un padrone.
Come ci spiegò l’amico di Chicago: “Qui non ci sono più uomini per lavorare i nostri campi. Vengono giù dal nord – con un gesto della mano indicò le montagne – magri come topi, e noi li rimandiamo indietro grassi dei nostri soldi”.
Ci trovavamo in casa sua, dove eravamo andati a salutare la vecchia madre che lo aveva distolto dalle glorie del saloon di State Street. Nel salotto c’era una veduta panoramica gialla della Chicago degli anni Ottanta e accanto un ritratto del Re e della Regina d’Italia. Sotto le finestre di questa piccola abitazione il terreno scendeva ripido. In basso si scorgevano le cime degli ulivi. “Venite giù a vedere i miei fiori. Ho delle viole per voi”.
Dalla cantina raggiungemmo un piccolo giardino. “Quello è il mio vino – disse indicando alcuni barili – lo faccio io. Se avessi un vino così, allo stesso prezzo, per il mio saloon a Chicago, oggi sarei molto ricco”.
Il Vecchio e il Nuovo Mondo
Stava cogliendo i fiori in un grande vaso quando arrivò una donna. “Giuseppe – lo redarguì – stai prendendo i fiori che servono per il Santo Sepolcro la settimana prossima!”. “Ma cara – le rispose – non credo che saranno meno graditi a Nostro Signore solo perché ne ho dati alcuni a un ospite. Se avessi avuto un po’ di questo vino a Chicago…” – sospirò in inglese. A Barga il Vecchio e il Nuovo Mondo camminano di pari passo!
Le chiavi di Barga
È molto bello avere le “chiavi” di Barga. Significa che potete vedere tutti i Della Robbia che volete. Significa che il Capretz, il proprietario del caffè (quello grande), vi porta a visitare l’Ospedale – di cui è segretario — che si trova in un vecchio convento francescano e ha ventidue letti; il Capretz va giustamente fiero della Sala Operatoria, dal pavimento e dai muri rivestiti in vetro. Significa che vi accompagnano a vedere la processione delle fanciulle di Barga – le giovani ragazze col vestito della prima comunione e le bambine più piccole vestite di bianco, rosa o celeste. Significa che il Giovedì Santo nel Duomo, quando vengono lavati i piedi a dodici poveri, avete un buon posto dal quale osservare la cerimonia. Significa anche che vi accolgono bene da Ferruccio, alla Locanda della Luna; che Silvio fa cantare per voi la gente, e mentre cantano si sparge la voce che siete lì e poco alla volta arrivano i vostri amici americani e il posto diventa affollato e Annie – versione londinese di Antonina – la sorella di Silvio, borbotta con disapprovazione: “Qui ci sono troppi uomini”. Significa che più tardi vi riaccompagnano in albergo, sempre cantando.
Penso però che a farmi capire veramente perché questa gente è così avventurosa e girovaga, cos’è che spinge ogni uomo di Barga che non abbia impedimenti, quando giunge la sua ora, ad andarsene in giro per il mondo a cercar fortuna, siano stati tre giovanotti. In una serata eravamo seduti nella Locanda della Stella, a Porta Macchiala, ad asciugarsi i piedi sulle ceneri di un grande scaldino di pietra. Di fronte a noi era seduta la padrona attenta ad ascoltare il marito che raccontava le sue avventure in terre straniere dove era andato a vendere statuine e raccontando ella stessa del figlio che si trovava in America e poco tempo prima era tornato per fare il servizio militare. Zeffìra stava cucendo in un angolo e osservava timidamente; due bambini piccoli stavano dormendo su una panca di legno accanto al muro. A un certo punto si unirono tre ragazzi, sui quindici anni, e Zeffira si alzò e gli portò del pane e del latte. Questi ragazzi, ci disse il padrone, erano venuti alla scuola serale di disegno da Loppia. La frequentavano tre volte alla settimana. Loppia, come sapevamo, si trova a un’ora di cammino da Barga, un percorso senza strada e accidentato. La notte era molto buia. “Sono molti – ci disse – quelli che vengono alle nostre scuole serali dai paesi vicini”.
Come vedete, se si considera normale fare un viaggio di un paio d’ore a piedi, al buio, dopo una giornata di lavoro, per prendere lezioni di musica e disegno, non deve sembrare poi tanto faticoso andarsene un giorno lontano per il mondo in cerca di fortuna – e magari ritrovare la strada per tornare non appena la mamma chiama -.
Dopo tutto, come dice il nostro amico di Chicago: “Ci sono tante cose a Barga che Chicago non ha”. Ma suppongo che il desiderio dei giovani sia lo stesso che animava la bambina di dieci anni arrivata dalla Virginia. “Vorresti tornare in America?” – le chiesi. Mi guardò con i suoi grandi occhi castani e rispose: “Io voglio tornare a casa”.
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