Con Barga nel cuore. In memoria di Doli Marchetti

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Doli Ghermati Marchetti se n’è andata stamani, lasciando di se un testamento spirituale fatto di tanti bei ricordi, soprattutto la sua piena disponibilità per la società di Barga, esplicata in tante attivissime partecipazioni ad associazioni di volontariato come il G.V.S., alle iniziative in genere della Parrocchia. Viva e sempre fortemente presente la dove il “prossimo” la chiamava, vivendo ogni cosa da fare e fatta con grande e rara umiltà, con semplicità, solamente felice di aver contribuito al bene della sua gente.

Con queste parole la saluta deferentemente tutta la redazione del Giornale di Barga, commossa alla notizia di una tale perdita per Barga.

Ciò che ci fa piacere e ci conforta è il sapersi che Barga le voleva bene, un sentimento ben riposto per il frutto delle tante belle cose che ci ha regalato. Allora ci piace ricordare quello spontaneo e lungo applauso che pochi giorni orsono, tutti i partecipanti alla presentazione del Progetto Sacro Cuore, le tributarono quando Mirna Magrini fece il suo nome tra le persone meritevoli del Gruppo Volontari della Solidarietà, nel momento in cui s’illustrava la realizzazione nell’area parrocchiale del nuovo laboratorio dello stesso Gruppo.

Lungo sarebbe elencare i meriti della Doli, che partono da tanto lontano per la lunga vita vissuta e allora diamo spazio a un nostro particolare ricordo, questo per far capire quanta e quale fosse lo spessore della sua disponibilità. Si tratta di un’intervista che il sottoscritto le fece nel 1986, quando a Barga si commemorò il proposto mons. Lino Lombardi nel centenario della sua nascita, poi pubblicata su “L’Ora di Barga”, giornale diretto da don Piero Giannini, assieme a tanti altri ricordi da me raccolti sotto il titolo: “Testimonianze su Mons. Lino Lombardi”.

Anticipiamo solo che se mons. Lombardi, poté chiudere gli occhi nella “sua” canonica, così come ardentemente desiderava per non staccarsi dalla sua cara Barga, questo fu possibile grazie alla Doli, che ai medici dell’Ospedale di Barga, dove era ricoverato ormai vecchio e stanco, alla domanda: chi lo guarderà in canonica? Forse è meglio una casa di riposo! Lei rispose: no! A colloquio con il Dott. Lorenzo Verzani direttore dell’Ospedale, alla domanda: se la sente davvero di accudirlo, di fargli da infermiera? Lei rispose: Sì!

È questa una pagina particolare della sua vita da lei stessa raccontata, che ancora oggi ci commuove e allora rileggiamola insieme:

Doli Marchetti.

Fu nel 1950 che la mia conoscenza con Mons. Lombardi divenne un rapporto quasi giornaliero. In quell’anno, infatti, con la mia famiglia ci trasferimmo nella casa dei Podestà, lassù in Duomo.

Ricordo la bella accoglienza che mi fece Monsignore e la sua felicità nel sapere che finalmente qualcuno abitasse quella casa, una costante presenza che, nel frattempo, avrebbe giovato alla custodia del Duomo.

Poco alla volta la nostra conoscenza si rafforzò per divenire, specialmente negli ultimi anni della sua vita, uguale a un rapporto che può esistere tra una figlia e un padre.

Ricordo le notti di Natale, quando dopo la Messa in Duomo passava da casa nostra a prendere il “poncino”. Con lui don Andreotti, il fedele Nicco, il “Rafello di Vignola”, il Gianni Pia. Le sue battute argute, i suoi racconti, le sue dolcezze, le ho sempre qui tutte davanti a me e nel cuore.

Oggi dire di Monsignore non mi è facile, perché tanti sono i ricordi e le vicende che mi hanno legato a lui e dei quali potrei scrivere un libro. Uno però mi è caro di ridire, perché mi colpì profondamente e anche perché fu uno dei passi più duri e tristi della sua presenza a Barga; la tragica scomparsa di don Andreotti.

In Andreotti, Monsignore riponeva una fiducia cieca e il loro vivere assieme li aveva uniti in un saldo rapporto.

Alla notizia del tragico incidente che avvenne la sera della Domenica delle Palme, giù per la dritta via del Piangrande, mentre don Andreotti stava recandosi a Gallicano in sella al suo motorino, a Monsignore fu come se il Mondo intero gli fosse crollato addosso.

Quella sera in Canonica a fargli coraggio e tenergli compagnia andò mio marito Renato, per tutti “Lo Stabile” e il “Rafello di Vignola”.

La mattina seguente in Duomo, cercando Monsignore, lo trovai intento ad accendere le candele dell’altare maggiore per la Messa del lunedì Santo.

Cercai di fargli coraggio, ma al solo pronunziare il nome si trasse indietro dall’altare appoggiando la “canna” e alzò le mani al cielo con gli occhi pieni di pianto. Dovetti accendere io le candele mancanti perché Monsignore non ne fu più capace. Era distrutto dal dolore e da quel giorno non si rimise più e la sua esistenza si trascinò mestamente sino alla fine.

Ricordo del suo grande desiderio di voler morire come Proposto in Canonica e delle sue preoccupazioni perché avrebbero voluto strapparlo dalla sua diletta Barga.

Negli ultimi giorni di vita fu costretto a stare in letto e aveva in ossessione di essere ricoverato all’Ospedale, anche se vi fu portato costretti dal momento; ma egli non voleva morire laggiù e fu allora che il Dr. Lorenzo Verzani, direttore dell’Ospedale di Barga, mi chiamò dicendomi che se io lo avessi vegliato e gli avessi fatto da infermiera per tutte quelle cure necessarie, lo avrebbero mandato in Canonica, a casa.

Monsignore nel suo letto in Canonica sembrava fosse rinato a nuova vita, ma visibilmente il suo stato ogni giorno peggiorava. L’ultimo giorno, a sera, accanto a lui si era in tanti. Intorno al suo letto, se ricordo bene io, la Lisetta Ghiloni, don Francesco, don Danilo, l’operaio del Duomo Ildo Barsanti, Suor Erminia del Conservatorio … tanti altri erano nell’anticamera.

A un certo momento Monsignore alzò la testa dal cuscino e il suo sguardo si vedeva che cercava qualcosa. A stento alzò le mani in segno di benedizione per noi, ma cercava ancora.

Capimmo che qualcuno mancava all’estremo saluto. Ci alzammo in cerca di quel qualcuno e finalmente in una stanza, appartato in un angolo, con lo sguardo assente, stava seduto il suo fedele amico: il “Nicco”.

Arrivato al capezzale Monsignore, se lo strinse al petto, alzò gli occhi al cielo e qui rimase. Ormai la sua vita era finita: erano le 11,35 del 4 novembre 1965.

Ho assistito il Proposto con amore nella sua malattia sino alla fine, come poteva fare una figlia a un padre e lui me lo ricordava spesso, dicendomi: “Quanto tu stai facendo a me io lo feci a mia madre”.

Non scorderò mai le sue parole e i suoi esempi, che tuttora, nei momenti difficili, mi sono di conforto.

Pier Giuliano Cecchi

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