(nella foto le fornaci Verzani) –
Iniziamo con oggi una collaborazione che ci sta molto a cuore. Giornaledibarga.it ospiterà d’ora in poi anche i preziosi contributi storici e non solo storici dell’amico Ivano Stefani, macommerciante di Fornaci e soprattutto grande cultore della storia e della tradizione locale.
Le sue testimonianze del passato ma anche del presente, spesso ritrovate anche sulle pagine di Facebook, sono sempre puntuali e preziose e di lui ricordiamo con piacere la pubblicazione nel 2011 del libro “Omaggio a Fornaci di Barga” che è un grande tributo alla storia di Fornaci.
Ringraziando Ivano per averci concesso il valore della sua penna, cominciamo proprio da quel libro e dalla storia di Fornaci raccolta da Stefani. Ivano, rifacendosi al suo libro, ci parla oggi della storia delle fornaci.
Alcuni milioni di anni fa la Media Valle del Serchio era sommersa dall’argilla, un sedimento del Pliocenio che, nei periodi interglaciali, fu ricoperto da depositi alluvionali. Con il passare dei secoli, dalla Loppora e dal Serchio, fu riportata alla luce e quell’argilla si rivelò molto adatta per produrre mattoni, tegole ed embrici. Il decollo dell’attività fu possibile anche per la presenza in loco di abbondante acqua, essenziale per la sua manipolazione.
Pietro Magri, in “Il territorio di Barga”, dà una descrizione di come avveniva la produzione di manufatti in argilla. Nella stessa opera segnala gli opifici presenti nel barghigiano. Ecco un breve riassunto-adattamento tratto dal mio “Omaggio… a Fornaci di Barga”. <
Prima di cuocere i manufatti, il prodotto era fatto seccare al sole. Nel frattempo, all’interno della fornace, veniva realizzata una volta di pietra viva, un materiale che era abbondante nei torrenti della Loppora e dell’Ania. Preparata la volta, in file orizzontali e fino al raggiungimento della cima della fornace, vi si disponevano sopra i mattoni. La loro cottura, con un fuoco di frequente controllato ed alimentato, durava otto giorni e altrettante notti.
Nell’estimo dei beni della Comunità di Barga del 1477, sul suo territorio esistevano quattro fornaci. Solo una, quella di Antonio Nutini, era indicata come produttrice di mattoni. Sull’estimo non era segnalata la località, ma doveva essere posizionata nelle vicinanze delle cave di argilla presenti tra Catarozzo e Ponte all’Ania. Nel quadro statistico delle fornaci redatto circa 400 anni dopo, era il 1862, nella Comunità barghigiana gli opifici che cuocevano calce, mattonacci, mezzane, tegole e zoccoletti avevano raggiunto il numero di sedici (3 di laterizi, 5 a produzione mista di laterizi e calce, 8 di sola calce). Non tutte queste fornaci, però, producevano a pieno ritmo. In modo particolare quelle che facevano solo calce, le quali non avevano lavoro per tutto l’anno e tantomeno tutti gli anni. Le altre, generalmente, sospendevano il lavoro di cottura durante il periodo autunnale ed invernale, quando, la maggior parte, preparavano la malta di argilla per le produzioni future. I proprietari di quelle fornaci erano Pasquale Verzani (2 opifici); Livia Bertacchi nei Curinci; Olinto Giannotti (2 opifici); Antonio Carrara Cardosi (2 opifici); Eugenio Nardi; Antonio Agostini; Domenico Chiappa; gli eredi del fu prof. Luigi Cecchini; gli eredi del fu Jacopo Bertagna; i fratelli Tallinucci; gli eredi Pieraccini; Celestino D. Corrieri; Giuseppe Baldacci. Sulla riva del Serchio, in località Catarozzo, di proprietà di Giuseppe Mazzoni, esisteva anche una fabbriche di polvere (nel torrente Ania ne erano attive addirittura sei: 2 di Antonio Cardosi Carrara, una di Giuseppe Dominici, una di Pietro Verzani, 2 di Raffaello Dalli).
Con l’arrivo dell’energia elettrica – nel 1902 tutto il territorio barghigiano-coreglino era munito di questo servizio (in Bruno Sereni “La storia dei barghigiani tra Ottocento e Novecento” ndr) – la fornace Verzani in località La Quercia, detta del “Giano”, come visto operante almeno dal 1862, fu ingrandita e ristrutturata con impastatrici e mattoniere motorizzate. La produzione aumentò a tal punto che il numero degli operai accrebbe sensibilmente.
Arrighi, era stata aperta un’altra grande fornace di laterizi che, in certi periodi, impiegò almeno 100 operai. I mattoni e le tegole di quell’opificio servirono per costruire anche i primi capannoni della SMI e, dopo la Seconda guerra mondiale, per restaurare tetti e strutture dei reparti dello stabilimento distrutti, soprattutto, dai bombardamenti anglo-americani. In quel secondo dopoguerra, i laterizi prodotti in quella fabbrica furono utilizzati in quasi tutta la valle.
Delle fornaci presenti – l’ultima chiuse poco dopo la seconda metà degli Anni ’50 del secolo scorso – solo una è in parte sopravvissuta fino ai giorni nostri: la sua ciminiera e pochi resti in più, convivono [hanno convissuto ndr] con la sede del centro commerciale “Brico Io” del gruppo Potenti aperto nel 1992 [purtroppo andato a fuoco nel febbraio 2013 ndr].
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