Barga e i possedimenti nel modenese: il Lodo di Pierino Belli del 1568

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I “lombardi”, termine con cui si è soliti indicare bonariamente i nostri vicini di Sant’Anna e Pievepelago, non si sono mai rassegnati a riconoscere l’antica estensione del territorio storico di Barga nel versante emiliano in corrispondenza di parte della Selva romanesca. La storia delle inevitabili contestazioni tra le due comunità è densa di avvenimenti. Riportiamo alcuni dei fatti documentati più rilevanti:

1374: La sentenza relativa al processo tra Obizzo da Montegarullo e Barga, conferma la proprietà di quest’ultima nella Selva Romanesca;

1411: controversia tra i comuni di Barga e Pieve per i confini: dal deposto dei testimoni resta provato che il comune e l’università di Barga possedeva di là dalle alpi, verso la Rocca a Pelago delle terre boscate in luogo detto Selva romanesca…che il suo possesso era ad immemorabili…

1420:
il comune di Siena viene chiamato ad arbitrare la vertenza. In sostanza si conferma la proprietà di Barga e si precisano alcuni termini di confine;

1454: altro strumento di concordia rogato dal notaio fiorentino Benedetto Pagnini. Si conferma in sostanza il lodo del comune di Siena;

1457: conferma dei termini di confine concordata nella rocca di Rubiera, dal fiorentino Girolamo Macchiavelli e da Francesco Forzato per il Duca d’Este;

1567: dal diario del pievano Jacopo Manni: è partita la banda (11 giugno) per ordine di Sua Ex.tia Ill.ma, sono iti alle seghe di là dall’alpe et hanno abrugiato una sega et un casone che illombardi l’havevano fatte in sul nostro…

La controversia “pro finibus” tra le comunità di Rocca e Pievepelago da un lato e di Barga dall’altro non accenna a ricomporsi; anzi nel 1565, assume le dimensioni di un vero e proprio affare di Stato con tanto di coinvolgimenti internazionali. I due Governi centrali assunsero il diretto controllo del confronto; il Duca di Ferrara Alfonso II d’Este e Cosimo I de’ Medici in quella data si accordarono per nominare quale arbitro della contesa un personaggio di rilievo e prestigio europeo, Emanuele Filiberto di Savoia.

Il Duca di Savoia, a sua volta, il 28 luglio 1567 affidò l’esame della spinosa vicenda al celebre giureconsulto e suo consigliere di Stato Pierino Bello. Questi, ricevuto l’incarico, ai primi di agosto si recò a Pievepelago dove ispezionò i luoghi, esaminò le prove addotte, ascoltò i testimoni. Il 18 dello stesso mese si trasferì a Barga.
Le posizioni che il Bello si trovò a valutare erano le seguenti.

I modenesi invocavano il riconoscimento del diritto giurisdizionale sulla zona contestata dal momento che vi avevano utilizzato gli alberi, che erano soliti riscuotere dai pastori a titolo di regalie due forme di cacio (6-8 libbre) per ogni gregge e alcune gabelle dai boscaioli toscani che utilizzavano le loro seghe; infine per il diritto di vendere il sale ai pastori che frequentavano la zona, per la preparazione dei formaggi.

I toscani chiedevano fondamentalmente il rispetto degli accordi del 1457.

In un primo momento Pierino Bello nutrì dubbi circa la validità di tali accordi per il fatto che erano stati rogati da notai di parte. Al tempo stesso ebbe a considerare come la resa economica dei titoli avanzati dai modenesi fosse talmente modesta da non permettere al Duca d’Este neppure di comprare “un buono paro di calze“.

Dalla comparsa della parte fiorentina, documento con il quale i Toscani esponevano le loro ragioni in modo assai articolato e con scrupolosa chiarezza, il Bello trasse forse il convincimento circa la completa attendibilità delle precedenti transazioni, mentre non ricevette dai modenesi alcun concreto sostegno alle loro pretese.

Emanuele Filiberto auspicava una soluzione di “onesta concordia” per non contrariare le parti ed evitare che fosse messo in discussione il prestigio dello Stato Sabaudo. Tuttavia la possibilità di una composizione negoziata svanì a causa della sostanziale rigidezza di Alfonso d’Este e ciò indusse il giurista ad addivenire ad una sentenza entro il termine prefissato del 20 febbraio 1568.

Il giorno 14 febbraio 1568 i rappresentanti delle parti furono convocati in Torino per assistere alla pronuncia delle sentenza arbitrale. Erano presenti i delegati Giulio del Caccia in rappresentanza di Cosimo I de’ Medici e Benedetto Reynaldo per la parte estense.

Queste le determinazioni del verdetto:
Innanzitutto le comunità contendenti vengono assolte da pene e condanne che potessero essere derivate dai precedenti usi irregolari dei pascoli o del taglio dei boschi.

Si dichiarano autentici e validi gli atti prodotti dal Principe de’ Medici, l’uno datato 2 luglio 1457 e l’altro 10 luglio dello stesso anno.

Il territorio di Barga si estende oltre il giogo degli Appennini fino ai termini stabiliti nei riferiti strumenti del 1457 e tutto ciò che vi è compreso appartiene in pieno diritto alla Comunità di Barga salvo quanto di seguito specificato:
– l’uso dei pascoli nella Serra di Montalto (compresi nel territorio di Barga) spetta alla gente di Rocca e Pievepelago;
– i pascoli delle Fontanacce spettano “comune iure” a Barga e Pievepelago;
– si vieta alla gente di Pievepelago e Roccapelago di tagliare alberi entro il confine del territorio riconosciuto a Barga;
– la giurisdizione entro il territorio in questione spetta al Granduca di Toscana che la esercita mediante il Pretore di Barga;
– il Duca di Ferrara può comunque esigere, tramite i suoi ufficiali, due forme di cacio a titolo di regalia per ogni singolo gregge portato a pascolare nella Serra di Montalto, nelle Fontanacce, nella Verrucola;
– i pastori che producono il formaggio nella zona considerata devono usare il sale venduto dai Modenesi o andare a salare il loro prodotto oltre il giogo verso Barga.

Si precisa infine l’ubicazione dei termini che dovranno essere apposti da un delegato incaricato dalle parti. Alcuni di essi sono:
– il termine della Verrucola [D], confermato come riferimento fondamentale, che dovrà essere posto fra la nuda ed il bosco a 740 pertiche dal giogo (il crinale appenninico);
– il secondo termine [H] è confermato presso la confluenza del fosso del Lago Santo con il rio delle Tagliole;
– il terzo termine [F] dovrà essere collocato presso l’acqua delle Fontanacce nel punto che si determina procedendo dal primo termine verso la Serra di Montalto. Anche il terzo termine deve distare 740 pertiche dal giogo misurate in linea retta;
– il quarto termine [C] presso la cima del monte Figurato o Balzone o Cima di Montalto;

La successiva scelta della persona delegata all’apposizione dei termini cadde sul figlio di Pierino Bello, Francesco, che aveva già accompagnato il padre nei precedenti sopralluoghi. Il giurista consegnò al figlio dettagliate istruzioni topografiche circa le operazioni da compiersi, raccomandò che fossero avvisati tutti i funzionari interessati e sollecitò il risarcimento a tale Giannino Badarelli pievarolo che aveva avuto la sega ad acqua bruciata ed era stato ridotto sul lastrico.

La sentenza certamente non piacque ad Alfonso d’Este che non mancò di far pervenire al Duca di Savoia una lettera di protesta a firma del Commissario del Frignano Paolo Carandini nella quale si elencavano punto per punto i presunti difetti.

Fu contestato anche l’operato di Francesco. I Bello furono inoltre oggetto di querela in quanto accusati di aver favorito e accettato favori dal Principe di Firenze. Per questo motivo furono sospesi dai loro incarichi presso i Savoia.

Pierino Bello reagì energicamente, convocò il Segretario del Duca di Savoia, Calusio e, alla presenza dell’Ambasciatore di Ferrara, esibì la sentenza, i modelli topografici, il verbale di sistemazione dei termini di confine redatto dal figlio Francesco. Presa visione degli atti l’ambasciatore Estense ammutolì, si scusò di aver sporto querela e si impegnò ad informare il suo Signore.

Emanuele Filiberto di Savoia revocò i provvedimenti adottati nei confronti dei Bello e l’8 luglio 1569 approvò la sentenza arbitrale.
Si chiuse così l’incidente diplomatico, ma gli attriti tra Pievepelago e Barga tornarono presto a manifestarsi.

E’ evidente che l’autorevole interessamento di Firenze alla vertenza è stato determinante per la difesa della proprietà di quei luoghi. La motivazione è da ricercarsi nella b che essi offrivano, utile all’allestimento della flotta granducale. Senza quel forte sostegno il territorio al di là dell’alpe sarebbe inesorabilmente finito nella piena disponibilità dei modenesi così come è avvenuto per i pascoli posseduti da Coreglia presso il lago Baccio.

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