Con la conclusione della terza e ultima esperienza repubblicana di Firenze (1527-1530) concomitante con la sconfitta a Gavinana di Francesco Ferrucci mentre con il suo esercito stava recandosi alla strenua difesa della Città assediata dagli imperiali, che vittoriosi, nei successivi trattati rimisero al potere la signoria dei Medici, di fatto si assiste in tutto il territorio fiorentino alla fuoriuscita o cacciata dei parteggianti repubblicani guidati dai banchieri Strozzi. Questi trovarono rifugio in terre amiche alle loro idee e lì iniziarono a pensare a una rivincita che li riportasse al potere a Firenze. Tale occasione si presentò nel 1537 a Montemurlo, ma furono sconfitti, così a Siena nel 1554, dove sotto quelle mura si spegnerà per sempre il sogno di una Firenze repubblicana.
Giannettino Doria
A Montemurlo si difesero i Repubblicani al comando di Filippo Strozzi e Baccio Valori contro Cosimo I dei Medici. Qui c’erano anche dei repubblicani fuoriusciti o banditi dalla Podesteria di Barga nel ricordato anno 1530, come Matteo di Pieruccio Bartoli, alias capitan Galletto e suo figlio, anch’egli capitano, di nome Pierino o Pieruccio.
Dalla “Cronaca di Firenze 1501-1569” di Fra Giuliano Ughi, edita nel sec. XIX da Francesco Frediani, si può leggere: “i fuoriusciti di Firenze furono sconfitti a Montemurlo il 2 agosto 1537 e menati a Firenze al Bargello” … Fu fatto un palchetto in piazza dei “Signori” e furono decapitati 10 o 12 uomini fiorentini e del contado, in fra i quali (n.d.r. 3 agosto) fu il capitano Pierino, figliolo del capitano Galletto da Barga, uomo valente e stimato”. “Il palchetto rimase lì per giorni dove ogni mattina si tagliavano 4 teste, tra i quali: Bartolomeo (Baccio) Valori, suo figlio Filippo con il nipote e Anton Francesco Albizzi”.
Dalla “retata” degli sconfitti si salvò Piero Strozzi (1510-1558), come il celebre Matteo di Pieruccio Bartoli, il Galletto da Barga, che però, come visto, dovette assaggiare viepiù la sconfitta per la terribile morte offerta al figlio Pierino o Pieruccio, impiccato in piazza della Signoria a Firenze il 3 agosto 1537. Filippo Strozzi fu salvato dalla decapitazione in piazza ma fatto prigioniero nella Fortezza di S. Giovanni (oggi da Basso), morì in circostanze poco chiare il 18 dicembre 1538. (Da “Cronica di Firenze 1501-69” di Fra Giuliano Ughi Min. Oss., in Arch.Stor. Ita., vol 7, 1849)
Con quanto diremo ora inizieremo a capire chi fosse e com’era schierato politicamente il nostro Agostino di Bigello o di Menghesse, che a Genova fu ribattezzato Agostino di Bigelotti.
Infatti, vediamo che la rinnovata e tragica stagione repubblicana di Firenze del 1537 – che aveva vissuto gli splendori nel triennio 1527-30 con la direzione della Città – dopo Montemurlo ebbe i suoi dolori anche a Barga, perché il 10 aprile del 1538 il Podestà Pitti dichiarò ribelli dello Stato Mediceo (con confisca dei beni) diversi abitanti della podesteria.
Per Barga: Cristofano di Giovanni Galletti, Marco di Cristofano del Conte Giannone, Agostino di Jacopo Mazzanga (fratello del capitano Luca Mazzanga), Agostino detto Gosto di Mencone del Frate, Agostino di Bigello o di Menghesse, Giovanni di Luca Bandini, Cristofano Bartolomeo Bargiacca.
Mentre per Sommocolonia, castello affidato a vita al capitan Galletto, in cui si era difeso nel 1530 al tempo della caduta dei repubblicani, Ceccotto della Bertola, Antonio di Francesco Cerragna, Alessandro del Fabbiano, Cristofano del Bechella, Jacopo detto Tasso, Francesco del Frate.
L’accusa per tutti fu quella di aver tenuto parlamenti a Tiglio con il repubblicano Matteo di Pieruccio Bartoli, il Galletto da Barga, tesi alla ribellione della terra ai Medici. Come già detto, nel 1530, con il ritorno dei Medici a Firenze, il Galletto e la sua famiglia erano stati banditi da Barga e da tutto il territorio fiorentino.
Dei ribelli banditi dalla podesteria di Barga nell’anno 1538, l’8 aprile fu impiccato Agostino detto Gosto di Mencone del Frate di Barga, tra l’altro accusato anche di omicidio. Mentre il 6 marzo del 1539 fu la volta di Jacopo detto Tasso di Sommocolonia. Gli altri, dopo la notizia della sconfitta di Montemurlo, erano riusciti a fuggire.
Nonostante la condanna i fuggiaschi, sempre in quel 1538, di nascosto tornavano nella loro terra e allora gli Otto di Pratica di Firenze scrivono nel giugno di quell’anno al podestà di Barga Pitti affinché desse attuazione alla cattura delle mogli che li accoglievano e che fossero condotte a Firenze. (F. Salvi: “Il Galletto e la guerra di Sommocolonia”, 1908).
Probabilmente gli esuli repubblicani del barghigiano trovarono rifugio nella città di Mirandola che in quei tempi, si parla però del 1548, era divenuta il rifugio di tutti i “liberali” d’Italia, tra cui i fuoriusciti di Firenze: “La Mirandola era divenuta il quartiere generale di tutti i malcontenti d’Italia, quivi ribelli di Genova, Firenze, Napoli e Siena tenevano le loro assemblee per congiurare contro la vita dei Principi e dei Ministri e per sorprendere dei forti importanti da fortificarsi e suscitare ribellioni”. Contro questi complotti repubblicani esistevano particolari centri investigativi a Venezia, città aperta a tutti i ministri dei vari stati. (Jacopo Riguccio Galluzzi: “Storia del Granducato di Toscana”, 1822).
La citazione di Mirandola, sia pur riferita al 1548, è da presupporsi valida anche per il 1538, nel senso che non è pensabile si fosse trovata all’improvviso in quella particolare situazione politica. Comunque i banditi e ribelli repubblicani di Barga trovarono accoglienza anche in altre città o contadi, tra cui la zona lucchese, protetti dalla politica di Francesco Burlamacchi, il quale stava iniziando a comporre una congiura contro Cosimo de Medici, segretamente alleandosi con i figli del repubblicano Filippo Strozzi: Leone e Piero, specialmente al tempo che il Burlamacchi fu Gonfaloniere della Città, 1533 e 1546. La congiura però, durante l’ultimo gonfalonierato, fu scoperta e Cosimo procurò il suo arresto tramite gli Anziani di Lucca. Poi lo volle a firenze ma Lucca lo consegnò a Milano nelle mani all’imperatore Carlo V. Questi il 14 febbraio 1548 lo fece decapitare.
Dal citato libro di Jacopo Galluzzi si apprende che in quel 1548, da parte dei repubblicani fuoriusciti da ogni città d’Italia e accolti a Mirandola, si preparavano azioni di ribellione in vari stati e “In Toscana si doveva sorprendere Barga e di qui spargere la ribellione alle altre terre del Duca; Ceccotto e Agostino da Barga, già seguaci del Fiesco, dovevano essere gli esecutori. Il primo pervenne nelle forze del Duca”, ma non si aggiunge altro.
I fuoriusciti repubblicani di Firenze, riuniti con gli altri per queste azioni di contrasto (in cui capitan Galletto aveva la sua importanza per antica filiazione alla causa), oltre che sulle proprie forze che avevano delle precise direttive, contavano anche sulle alleanze nei luoghi da sollevare e così si pensava per la medicea Barga: “Sarianno per i fuorusciti quella parte parenti e amici di Camillo Gratiani di Barga, gl’amici et parenti di Galletto”. (Paolo Simoncelli: “Fuoriuscitismo repubblicano fiorentino, 1530-54”, vol. 1, 2006).
Nel rammentato libro di Jacopo Galluzzi si dice che il compagno di Agostino, cioè Ceccotto, il “Ceccotto della Bertola” esule da Sommocolonia sin dal 1537- in questi 1548 cadde nelle mani di Cosimo de Medici. Questo è vero e nei libri del Comune di Barga vediamo che gli toccò l’impiccagione a Barga quale ribelle e bandito dallo stato del Duca di Firenze. L’altro, Agostino, certamente era il bandito da Barga, sempre nel 1537, “Agostino di Bigello o di Menghesse”.
La conferma all’assunto circa l’identità di Ceccotto e Agostino nelle due persone bandite dalla podesteria di Barga nel 1537, sta proprio in quel “seguaci del Fiesco”, chi a capo dei repubblicani “filofrancesi” di Genova tentò nel 1547 di togliere il potere ai repubblicani “filospagnoli” capeggiati dai Doria. Infatti, nelle memorie genovesi di quell’anno si ricorda un “Agostino di Bigelotti da Barga” quale seguace del Fiesco. Il Bigello esule da Barga nel 1537 a Genova era divenuto Bigelotti, con il successivo di Barga che, nonostante la variata scrittura dell’ascendente, conferma la sua identità.
Agostino Bigelotti di Barga e la Congiura dei Fieschi
Agostino di Bigello, ora Bigelotti, ebbe un ruolo di primo piano nella sfortunata sollevazione dei repubblicani “filofrancesi” di Genova, infatti, fu chi tolse la vita al violento e volgare Giannettino Doria, figlio di Tommaso cugino dell’ammiraglio Andrea Doria che dirigeva nell’ideale “filospagnolo” le signorie che governavano quella repubblica in diniego delle sue libertà.
Per la causa dei repubblicani “filofrancesi” la morte di Giannettino fu un atto molto importante, perché, di fatto, era lui che in quel momento guidava la città col consenso di Andrea Doria che senza prole lo aveva adottato e ora, vecchio e malato, gli aveva delegato le sue funzioni. (Carlo Varese: “Storia della repubblica di Genova, ecc”, vol 5, 1836).
Una morte che aprì la strada alla vittoria dei repubblicani “filofrancesi”, sennonché accadde che il Fieschi mentre era intento ad abbordare le navi di Andrea Doria cadde in mare da una passerella e per il peso dell’armatura morì annegato, con il conseguente variarsi delle sorti.
L’atto omicida di Agostino di Bigelotti da Barga – alfiere e probabile tenente alle Porte della guardia repubblicana di Genova – però non è da ascriversi a un attentato, bensì a un’azione di quella che si rivelò una guerra civile o colpo di stato. Infatti, Giannettino Doria, accortosi della sollevazione in città, uscì dalla sua casa per raggiungere la parte fortificata e pensando che dentro ci fossero i suoi ordinò violentemente che gli si aprisse la porta di S. Tommaso; immediatamente fu eseguito l’ordine, ma dentro c’erano i “filofrancesi”, e nel momento che stava entrando, gli si disputò incontro il Bigelotti che con un’archibugiata a bruciapelo lo fece morto.
C’è chi dice che fu ucciso da più e diverse pugnalate, di cui la prima fu del Bigelotti. Queste gesta rivivono nella tragedia in 5 atti di Friedrich Schiller (1759-1805): “Fiesco o la congiura di Fiesco a Genova” del 1783, come in altre opere, tra cui “I Fieschi e i Doria –Tragedia Istorica” dell’anno 1829, scritta da Carlo Tedaldi-Fores, che ad Agostino Bigelotti ritaglia un suo preciso ruolo tra i congiurati che attendono agli eventi.
Al quinto atto della tragedia, quando siamo al momento scenico della morte di Giannettino Doria, il fratello del capo congiura Gian Luigi Fieschi Conte di Lavagna, cioè Girolamo Fieschi, chiede al Bigelotti, nel ruolo scenico nominato Barga: Che fai tu? E Barga risponde: Preparo un convito alla morte. L’azione si sta svolgendo alla porta genovese di S. Tommaso e Giannettino Doria da fuori, pensando che all’interno vi fossero i “filospagnoli”, urla alle guardie alla porta un perentorio comando: Aprite! Or son tutti nel sonno sepolti? Prontamente si apre il portello e quando con un suo paggio Giannettino è entrato, esordisce dicendo: Un fragor cupo dalla Darsena intesi … ti avrien spezzate le catene? … O forse fra i miei soldati è rissa e quei del Conte? Nessuno è qui? Per Dio! … Così obbedito di Genova è il Signor? In quel mentre il canovaccio della tragedia prevede un colpo di archibugio che raggiunge alla fronte Giannettino, il quale stramazza a terra, mentre il paggio si volge alla fuga.
La breve azione scenica prevede che Cangialancia con la sua alabarda apra il cuore a Giannettino dicendo: Un altro colpo … E un altro, e questo ancor, mostro! … Va, narra alla mia sposa ch’io t’apersi il core, e che l’ho vendicata. Girolamo Fieschi rivolgendosi a Barga gli dice: Invidio, o Barga, si egregio fatto alla tua man! … Vedete! Come squarciata è la sua fronte, a terra s’inchina!
Quanto riferito per far capire che il gesto di Agostino Bigelotti di Barga era ancora ben conosciuto nel sec. XIX, epoca della tragedia di Carlo Tedaldi Fores.
Tornando indietro nei secoli sappiamo che i Doria ressero alla congiura e dopo averla sedata, si dettero alle ritorsioni nei confronti dei ribelli con la mala uccisione di parte di loro e la distruzione, dopo assedio, del Castello di Montoggio della famiglia Fieschi, in cui si era rifugiato Girolamo in fuga dal tentato colpo di stato genovese.
Che fine facesse il nostro Agostino Bigelotti non lo sappiamo, ma essendo politicamente attivo nel 1548, così come narra Jacopo Riguccio Galluzzi nel già citato libro “Storia del Granducato di Toscana”, certamente riuscì a fuggire alla ritorsione dei Doria, rimanendo legato ai destini dei fuoriusciti repubblicani fiorentini d’ispirazione “filofrancese” e seguendone le sorti sino alla definitiva disfatta di Siena.
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