Nell’ambito delle iniziative “Aspettando S. Rocco”, promosse dall’Associazione per Barga, Comune di Barga, Proloco e S. Rocco, si avrà anche una mostra storica dell’Associazione Polisportiva Valdilago, dal titolo “Le Antiche Porte di Barga”, la quale ripropone gli studi grafici effettuati sulle strutture difensive di Barga, le porte che davano accesso al Castello di Barga, unitamente a immagini delle porte da fotografie degli inizi del sec. XIX.
Inoltre il disegno del Castello di Barga e separatamente dell’intero Territorio, eseguito da ignoto autore l’anno 1539 per dimostrare agli Uffici di Firenze la realtà del suo possedimento in Garfagnana e la sua posizione tra le confinanti Lucca e Ferrara. Tra le altre cose lo spettatore avrà anche l’occasione di valutare un acritico accostamento tra l’antico stemma dei Consoli del Mare di Pisa (sec. XIV) che per certi aspetti ricorda il sigillo usato dalla Comunità di Barga sul finire del sec. XVII, ambedue in evidenza tra le immagini. Una delle curiosità che offre la mostra.
Sull’argomento Porte di Barga, nell’ottobre 2012, la Polisportiva Valdilago aveva edito un suo libro scritto da Pier Giuliano Cecchi e Pier Carlo Marroni, dove compaiono i disegni grafici delle porte di Barga ora in mostra, realizzati sulla scorta di documenti storici conservati presso l’Archivio Storico di Barga. Quel libro si pregia delle introduzioni del sindaco di Barga Marco Bonini, del presidente della Valdilago Florio Biagioni e del saggio introduttivo del prof. Stefano Borsi che offriamo a seguire.
Con grande piacere ho raccolto l’invito a introdurre questo agile contributo di Pier Giuliano Cecchi e Pier Carlo Marroni dedicato a Le antiche porte di Borgo. Il ponte di Borgo e le altre porte di Barga, frutto dell’instancabile lavoro di ricerca e di interpretazione di due autori accomunati dalla grande passione per le memorie storiche di Barga.
Il volume, curato dall’Associazione Polisportiva Valdilago Barga, fa seguito a un precedente saggio dedicato al Duomo cui ho avuto l’onore di partecipare assieme agli autori di questo libro. Dopo l’edificio religioso principale, l’altro cardine della memoria di una città medievale è rappresentato dalle mura. Esse assolvono funzioni molteplici, dalla difesa al controllo daziario, ma tante fonti medievali attribuiscono loro anche valori identitari e d’immagine che talvolta diventano persino predominanti.
La documentazione disponibile per Barga è in larghissima parte successiva alla dedizione della città a Firenze (1341), ed è naturale che il saggio prenda in considerazione la cerchia trecentesca e le sue successive vicende, con puntualità e dovizia di informazioni. Gli scrittori medievali interpretano spesso l’aspetto di una città in termini fisici, antropomorfi o teriomorfi: città a forma di stella, di leone, di aquila, di poligono letto come immagine fortemente simbolica. Le porte di una città rappresentano i cinque sensi, o gli occhi e la bocca, gli organi principali della percezione dell’intorno: è in ogni caso sempre chiaro il rapporto tra una città intra moenia e un circondario aperto e ruralizzato che nella città trova la sua naturale forma di organizzazione territoriale. Barga non fa eccezione: con le sue tre porte antiche disegna un ideale triangolo equilatero rovesciato, simbolo di chiare valenze spirituali, e lo schema ternario presiede anche alla suddivisione interna dell’abitato, diviso in terzieri designati, non a caso, proprio dalle porte.
La presente ricerca ha inteso ripercorrere soprattutto le vicende storiche delle porte, di cui una dolorosamente scomparsa (quella di Borgo), una colpita dal sisma del 1920 e ridotta all’osso (Porta Macchiaia, un tempo assai più importante, così come importante era per Barga, e per la stessa Firenze, l’economia di macchia, il traffico continuo di prodotti dell’alpe) e una, Porta Reale, ancor oggi riconosciuta icona della città toscana ma certo ben lontana dall’assetto e dall’importanza difensiva originari.
Questo studio si segnala in particolare per l’attenta indagine compiuta sulla più sfortunata, la porta di Borgo con troppa leggerezza sacrificata nel XIX secolo, di cui ancora oggi sono identificabili alcuni conci reimpiegati nelle murature a pietra in vista dell’omonima salita. Una di queste, segnata da una croce incisa, vuole forse (?) ricordarci che la porta ospitava un’immagine sacra. Un gesto spontaneo dell’umile devozione di un muratore è ciò che resta di un monumento un tempo assai importante della vecchia Barga, eretto al filo della murazione trecentesca ma raccordato al ponte attraverso un complesso sistema difensivo, un’antiporta e un cancello intermedio per rallentare l’eventuale penetrazione nemica dal versante settentrionale.
Il legame tra la porta e il ponte – oggi Ponte Vecchio – che scavalca il Fontanamaggio in direzione di San Rocco è così serrato che il volume, giustamente, affronta i due argomenti in modo organico. I ponti, compreso quello sul rio Latriani che collega Porta Macchiaia al costone pedemontano della Fornacetta, costituiscono un notevolissimo contributo della Barga medievale: negli statuti del 1360 la contrada compresa tra uno e l’altro è indicata coll’eloquente toponimo Frapponti. L’assenza di notizie documentarie d’età precedente la redazione trecentesca degli statuti di Barga non consente di ricavare molte indicazioni, ma è lecito ipotizzare che i ponti, compreso quello di Catagnana, fossero realizzati dalla comunità attraverso l’organizzazione tecnica dell’Opera di San Cristoforo.
In compenso l’attenta ricognizione di Pier Giuliano Cecchi sui documenti a partire dal tardo XV-XVI secolo fornisce utili indicazioni sull’attenzione (e, dal Seicento, sulla crescente disattenzione) di Firenze per le difese di Barga, con interventi dei massimi esperti di architettura militare del capoluogo mediceo, dal Francione legnaiolo-architetto di fiducia di Lorenzo il Magnifico a Giuliano da Sangallo (che sarà l’architetto della Fortezza Nuova di Pisa) a don Giovanni de’ Medici ingegnere militare del Granducato nella prima metà del Seicento. Concepite per la guerra del Trecento inoltrato, con gli alloggiamenti superiori a sbalzo per il tiro dei balestrieri, le porte diventano troppo vulnerabili per la guerra moderna e subiscono già dallo scorcio del Quattrocento un graduale processo di adeguamento.
Col tempo, e questo saggio lo fa vedere molto bene, gli equilibri tra istanze difensive e viabilità si spostano, e i rivellini esterni, i fossati, i denti avanzati risultano un ostacolo eccessivo che ne determinerà la progressiva eliminazione. Ma anche quando si interviene troppo drasticamente, emerge comunque un’attenzione minuta e amorevole al decoro urbano, alla viabilità fluida d’ogni giorno, alla sicurezza comune, all’oculato reimpiego dei materiali che costituiscono pur sempre una lezione di civiltà. Come una lezione di civiltà è questo lavoro di Pier Giuliano Cecchi, arricchito dalle sapienti restituzioni grafiche di Pier Carlo Marroni, che recuperano una pagina in gran parte dimenticata della storia della città.
Stefano Borsi
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