“La via del Saltello” di Pietro Moscardini

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Quando agli inizi degli anni ’90 del secolo appena trascorso si cominciò a parlare e a voler progettare un’ampia strada asfaltata da Barga al Saltello, questo progetto doveva essere il proseguio dell’ampia carreggiata che da Barga giungeva a Pegnana Alta già nel 1959; opera realizzata con un consistente contributo del Ministero dei Lavori Pubblici dell’epoca. Il tragitto Pegnana Alta – Saltello fu diviso in tre lotti: Pegnana – Renaio, Renaio – Vetricia, Vetricia – Saltello. All’inizio del 1989 era già esistente il progetto Pegnana – Renaio, mentre i rimanenti due erano ancora allo stato larvale. Nello stesso anno partì la realizzazione del tratto Pegnana – Bebbio così come la percorriamo a tutt’oggi. Il resto rimase solo un’idea di progetto.
Quello che a noi interessa è però il fatto che nei dialoghi quotidiani di quel periodo e nelle relazioni scritte troviamo per questa strada il comune termine di “strada del Saltello”. Anche oggi, se pensiamo al collegamento fra Barga ed il Saltello, di primo acchito, nella nostra testa viene in mente un fuoristrada e il lungo tragitto fra la Vetricia e il passo di crinale, per poi proseguire sulla amena strada bianca verso il Santuario di San Pellegrino.
Così però non è stato per tanti secoli addietro. Chi desiderava arrivare a San Pellegrino o per chi aveva da raggiungere il più vicino paese emiliano, Casoni di Rocca (oggi S. Anna a Pelago), di certo non si sarebbe incamminato verso Renaio, ma avrebbe preso ad ascendere verso Sommocolonia, la Dogana delle Prada, il Casone del Birillo (San Bartolomeo del Saltello) per raggiungere poi il passo appenninico che ne era il naturale sbocco verso l’Emilia. Chi avesse scelto la direttrice Renaio – Vetricia – Saltello avrebbe in effetti descritto un semicerchio nell’alta valle della Corsonna, allungando di gran lunga i tempi e il chilometraggio. È giusto quindi distinguere, come rileva Dario Giannini nella sua piccola pubblicazione “Una chiesina lungo la strada” (2004, Comitato paesano di Sommocolonia – Catagnana) distinguere una strada del Saltello moderna, gipponabile, orientale, e una direttrice storica occidentale. Quello che interessa a noi è il tracciato occidentale di questa strada transappenninica.
Nei secoli XII – XIII la viabilità del Saltello aveva ai suoi due estremi topografici due ricoveri per viandanti: l’hospitale del “Pontis populi” in località San Pellegrinetto nei pressi dell’Arsenale (oggi sede di una centrale fotovoltaica) in terra di Toscana, mentre l’altro era situato nei pressi di Roccapelago e si chiamava “ospizio di San Leonardo del Perticara”. È naturale però che ad un certo punto vi fosse una deviazione che avesse raggiunto nel più breve tempo possibile l’urbe di Barga. Con molta probabilità questo raccordo doveva seguire, orientativamente, il moderno sentiero 22 CAI. Dalla località Lama Alta il sentiero discende sulla sponda orografica sinistra del Rio Villese, passando a pochi metri di distanza dal piccolo passo della Madonnina della Stella. Questo piccolo sentiero (oggi ridotto ad una labile traccia) era la via più battuta per andare dalle case di Riboscioli a Sommocolonia e viceversa. Più in basso un’ampia strada sterrata ci conduce al piazzale asfaltato sovrastante il paese di Sommocolonia (Piazza Martiri della Resistenza), da dove si può ammirare il rudere della Torre di Rocca (sec. XI), distrutta nelle vicende belliche del Natale 1944. Anche la strada di attraversamento all’interno del paese prende il nome di Via del Saltello. Sotto il paese il sentiero numero 22 ripercorre la mulattiera lastricata che in circa tre chilometri con due metri di larghezza conduce a Catagnana. Dal 2012 questa mulattiera ha assunto il nome toponomastico “Mulattiera 92^ Divisione Buffalo”, a ricordo della battaglia che questa divisione dell’esercito americano combatté in queste zone nel Natale 1944, lungo la Linea Gotica. Non conosciamo l’esatto periodo di costruzione di questa bella mulattiera ma si presume, osservando la tipologia del basalto, che si tratti di un lavoro del XIX secolo. Il simpatico oratorio di via di San Rocchino porta la data di costruzione del 1904. La chiesetta è servita per lungo tempo come piccola area di sosta e “riposino” per i viandanti che salendo dovevano affrontare gli ultimi 500 metri di erta finale per raggiungere Sommocolonia. Questa mulattiera fu restaurata negli anni ’30 dello scorso secolo, poi con l’impegno del Comune fu riattata nel 1997 rifornendo l’oratorio di via di un nuovo affresco d’altare del pittore Paolo Maiani. Nella ricorrenza del centenario di costruzione della chiesetta gli abitanti di Sommocolonia e Catagnana ripulirono il tratto di strada adiacente. A tutt’oggi (2012) purtroppo il tratto Rampica – Sommocolonia si presenta di nuovo fortemente assalito dalla vegetazione con un forte impantanamento e inurbamento del selciato originale, in particolar modo nelle adiacenze del Fossetto del Canonico. Andiamo però adesso a conoscere più da vicino il tracciato più antico, quello che partiva dal Serchio ed arrivava a Roccapelago. Nelle adiacenze del letto del fiume Serchio esisteva quindi l’”Hospitale del Pontis Populi”. Sul versante emiliano, nei pressi di Roccapelago, si trovava l’ospizio di San Leonardo del Perticara.
L’ospizio del Ponte del Popolo fu edificato attorno al 1190. Nello storico elenco delle chiese e degli ospizi del 1260, redatto per stabilire una tassazione di queste strutture onde racimolare denari per fare le Crociate in Terra Santa, l’edificio del Serchio era tassato di 100 libbre “sotto la pievania di Loppia”. Quindici anni più tardi, sottoposto ad altra tassazione, lo troviamo in dovere di pagare solo “2 libbre”. Una differenza così abissale ne indicherebbe un sintomo di veloce declino. Il 21 gennaio 1292 il “ricovero dell’Arsenale” passa sotto la giurisdizione del santuario di S. Pellegrino in Alpe, continuando però il suo lento e continuo abbandono, dato che in una visita pastorale del 1467 viene dichiarato “ruinatum”, cioè ridotto a rovine. Durante gli studi sull’area di strada della Via Vandelli del 1989, si viene a conoscere che il “rettore – maestro” dell’ospizio sul Serchio nel 1230 accampò diritti sul voler eleggere anche il conduttore dell’ospizio di San Leonardo sul versante emiliano. Osservando una moderna cartina escursionistica 1: 25.000 e comparandola con l’osservazione della bellissima mappa del territorio di Barga del XVI secolo conservata a Firenze e riprodotta sul primo poster – manifesto ufficiale della mostra “Barga Medicea” (1980), possiamo arrivare a capire sul territorio moderno lo sviluppo di questa arteria. La nostra strada fra il Serchio e la Dogana delle Prada Garfagnine assume il nome di Via di Lama, mentre fra questo punto e il crinale prende (su questa mappa) il nome generico di Via Reale. Il tratto a valle è lungo e vicino il confine con le “tre terre lucchesi”, cioè Riana, Treppignana e Lupinaia. Quello a monte è il divisorio con il territorio estense; di quelle selve e degli alpeggi appartenenti all’epoca alle genti del comunello di Ceserana, che si erano affiliati gli Estensi con gli ultimi dieci paesi della Garfagnana e che andarono a comporre l’ultima vicaria estense garfagnina; vale a dire “le terre nuove”. Era il 24 luglio 1451.
La via del Saltello la troviamo disegnata in dorma di puntinatura anche nella splendida mappa degli stati estensi redatta da Domenico Vandelli nel 1746. La strada doveva risalire dal Serchio al piano di Castelvecchio, probabilmente attraverso l’attuale via di Rubiano; proseguendo poi verso il colle di Caprona (attuale via Combattenti). Si innalzava poi verso il colle di San Quirico, lambendo l’antica chiesa di S. Quirico di Castroveteri. In tempi moderni ci troviamo nell’area del centro turistico. Si saliva ancora fin verso l’attuale campo sportivo del centro turistico per inerpicarsi poi lungo il crinaletto secondario divisorio fra il fosso del Confine (destra orografica) e il rio di Valaperta o Malaperta che è un piccolo affluente del Rio Villese (sinistra orografica). La strada raggiungeva un piccolo sperone roccioso da dove l’antico viandante che procedeva da Nord o Sud avvistava di certo il “profondo” luccicare delle acque del Serchio che si allargavano nella media valle. Poco sopra questo punto si arrivava in breve a Lama di Sotto. Appena più in alto si lambiva alla nostra sinistra l’abetaia al cui interno si trovavano e si trovano le sorgive del Fosso del Confine, rimanendo sempre in territorio barghigiano. Si saliva ancora verso Pradoscello, Calabaia Alta e la Dogana delle Prada; luogo dove sulla sinistra terminava il territorio lucchese e cominciava quello estense. Più su si toccavano le Pozzette e si sfioravano le alture di: Colle Deltista, la Piastra e Colle Viola fino a raggiungere il luogo dove quasi con certezza doveva sorgere San Bartolomeo del Saltello e dove oggi non restano che piccoli ed insignificanti accumuli di pietre. Con una successiva breve erta finale si raggiunge oggi la sterrata Vetricia – Saltello e da questo punto, in breve, si arriva al nostro storico punto di valico: il Saltello.
L’ospizio di San Bartolomeo nel 1260 è tassato di 9 libbre e lo troviamo nel plebanato di Pieve Fosciana, ma definito come ecclesia (chiesa) e non come ospizio. Nel 1366 questo edificio è passato sotto il diretto controllo economico della chiesa di San Pellegrino. Nel 1467 anche il piccolo San Basrtolomeo viene dichiarato “non habitatur”. Lo sviluppo della via del Saltello, nel suo intero tracciato rimane quasi sempre interna al territorio di Barga, di conseguenza questa strada rimarrà sempre di maggior servizio per i barghigiani, anche se nei periodi di riapposizione dei cippi confinori non mancarono mai disturbi e liti con la gente di Lupinaia e Ceserana.
Oggi il sentiero ufficiale del CAI che da Lama raggiunge la località Pozzette segna le “anse” di una trattorabile più o meno sconnessa. Indietro nel tempo per aggirare la betta del colle Uccelliera il tracciato si sviluppava sul lato della val di Corsonna dove sono ancora individuabili vecchi muri di sostengno di un ampio sentiero di montagna. Nel 1687 il commissario delle boscaglie di Barga faceva presente che parecchie terminazioni fra Barga – Ceserana – Lupinaia erano mancanti, abbattute o divelte. Nel 1690 i lupinaiesi presero a costruire una fattispecie di torre, però già in territorio estense – ceserano. Da questo fatto nacque una controversia fra i diversi commissari locali per la riapposizione del cippo che rappresentasse il termine fra i tre comuni e i tre stati; nei paraggi di quella località che in quel periodo veniva chiamata Foce di Compito o Foce di Ceserana e che attualmente possiamo ben identificare come Dogana delle Prada garfagnine. Una dettagliata riapposizione dei termini fu eseguita nel 1692 soprattutto fra Barga e Ceserana. Questo sviluppo del confine riprendeva a grandi linee la più antica confinazione del 1411 che dal Monte Romecchio scendeva al Serchio per risalire poi all’antico passo di Monteperpoli e che probabilmente era il divisorio storico della Valle del Serchio fra Sopra Perpoli e Sotto Perpoli che in campo ecclesiastico segnava da tempo il confine fra le due maggiori pievi del Serchio. Una più precisa linea di confine avrebbe dovuto mettere fine a discussioni e liti sul luogo di pagamento delle gabelle che era fra S. Bartolomeo e il punto di valico e dove, probabilmente, si verificarono atti cruenti se non addirittura mortali. S. Bartolomeo acquisì per questo motivo, con il passare del tempo, un alone di antica cronaca nera. Il XIX secolo fu ricco di riapposizioni, spostamenti e nuove incisioni su pietre fisse. Fra il 1990 e il 1992 la sezione del CAI Barga Valdiserchio effettuò un censimento degli antichi cippi confinari e pietre incise che si trovavano ancora sulla montagna barghigiana. Lungo l’area del “sentiero 22” fra Lama e le cime di Romecchio furono identificati 18 punti di termine. Il carteggio fotografico e descrittivo è conservato presso l’archivio CAI di Barga.
Dal 1° gennaio 1343 al gennaio 1344 Nieri da Montegarullo fu il primo vicario di Barga. Una sorta di sindaco medioevale, Nieri possedeva il castello di Roccapelago là dove terminava l’asse viario del Saltello. Nieri aveva già cominciato ad aiutare Barga nel 1331 per poterla condurre nelle braccia di Firenze. I Montegarullo erano uomini d’armi, profondi conoscitori del territorio appenninico; inoltre conoscevano bene anche le tattiche di assalto e di difesa del tempo. Nieri difese Barga dalle rivendicazioni pisane fino a trovare un accordo con questi ultimi nel 1347. Le popolazioni dei paesi del Frignano occidentale si stancarono ben presto delle loro scorrerie militari in terre che non appartenevano al loro feudo. Fu per questo motivo che gli uomini di Fiumalbo chiamarono le forze lucchesi in loro aiuto contro Obizzo da Montegarullo (nipote di Nieri). A Lucca non sembrò vero di andare a guerreggiare contro quella consorteria che costituiva per certi versi il braccio armato degli odiati barghigiani (filo fiorentini). Inoltre il poter mettere piede armato nel Frignano poteva costituire un buon trampolino di lancio per una ipotetica espansione verso Nord.
Le campagne militari lucchesi furono due e si ebbero nel 1393 e 1396. In questo periodo il cordone ombelicale fra il castello di Roccapelago e Barga fu la diretta via del Saltello, che non fu mai usata dalle truppe lucchesi che per ambedue le campagne furono convogliate verso Castelnuovo per salire poi verso Chiozza e San Pellegrino. Alla Bocca del Fornello (oggi Giro del diavolo) avevano un riordino per poi ripartire verso le aree di battaglia. È assai probabile che questa direttrice avesse pure carreggiate più comode ed ampie dato che bisognava “portar su” con carichi someggiati i mangani, trabocchi e briccole; tutte macchine d’assalto assai pesanti. Per una guerra di montagna nel XIV secolo occorrevano dai 500 agli 800 uomini, in grande maggioranza appiedati. La strada del Saltello era sul filo di confine barghigiano e passare così accosto al territorio nemico sarebbe stata di certo un’imprudenza da evitare, anche se il tracciato era notevolmente più breve.
Tutto questo ci fa capire come la via del Saltello fu per Barga la vera strada di collegamento con il Frignano.
L’assalto del 1393 al castello di Roccapelago durò circa un mese e mezzo. Il comandante dei Montegarullo stipula poi una resa condizionata. Per 1700 fiorini concesse ai lucchesi di rientrare nel castello. Da qui al febbraio 1396 il fortilizio viene lasciato in mano ad un presidio di soldati guidati da comandanti gallicanesi. Il febbraio 1396 fu un mese di consistenti nevicate; essendo i valichi del Saltello e della Bocca del Fornello impraticabili, i modenesi riassaltarono la fortezza che da quel momento non tornerà più sotto le insegne di Lucca. Firenze e Barga avevano ben capito l’audacia e l’astuzia dei Montegarullo che già nel 1373 avevano sottomesso l’alto Mugello a favore della città gigliata, ricevendone laute ricompense. Fra il 1390 e il 1406 è racchiuso il periodo più intenso di scambi politici e militari fra Roccapelago e Barga e questo accadde, con molte probabilità, sfruttando l’asse viaria del Saltello.
Nel 1390 il Duomo di Barga diventa “grande” e prende a sé tutti i privilegi ecclesiastici della Pieve di Loppia. Barga si fregia di documentarsi con un proprio sigillo e il territorio sub urbano è controllato in terzieri, probabilmente per un maggior controllo dei confini (Le antiche porte di Barga – Il ponte del Borgo, p. 43). Nell’agosto del 1405 Maso degli Albizzi, il maggior esponente del governo oligarchico fiorentino, si trova a Barga ad incontrare Obizzo da Montegarullo. Lo riaccompagna nel suo castello di montagna con una guarnigione di soldati barghigiani. Nel suo castello Obizzo viene investito della seconda carica militare della città di Firenze per la campagna militare (spallata definitiva) contro la città di Pisa. A Roccapelago rimane una guarnigione di soldati barghigiani. La guerra contro Pisa si presenta lunga e difficile. Dopo le prime conquiste l’avanzata si ferma per la presa dell’avamposto di Vicopisano. Il comandante in prima dell’esercito fiorentino viene licenziato e il comando delle operazioni passa al signore di Roccapelago. Mancano appena due giorni alla resa di Vico che da Barga arriva un repentino richiamo al comandante. Suo figlio ha osato invadere le terre frignanesi di Fanano che appartenevano al marchese Nicolò d’Este che nel frattempo si era fatto ricco e militarmente forte. In breve tempo il potere dei Montegarullo viene relegato alla sola Roccapelago e dintorni. È l’estate del 1406. Agli Estensi basterà attendere il prossimo inverno, quando la via del Saltello sarà ricolma di neve e gli aiuti da Barga saranno difficoltosi, per sferrare l’assalto finale alla storica fortezza montegarulliana. Il 23 gennaio 1406 la guarnigione bargo – fiorentina perde il controllo dell’ultimo angolo del castello appenninico, ma non il definitivo abbandono della via del Saltello. Il tempo “trascorre tranquillo” fin verso la fine del XVI secolo, esattamente fino al luglio 1583 quando cominciarono rivolte e risse sulle terre di confine lucchesi – estensi. Il 5 luglio fu per i paesi Lupinaia, Riana e Fosciandora una giornata di schermaglie, assalti e “botte da orbi”, in altre parole, “una giornata campale”!
Le compagnie militari estensi di Fanano attraverso il passo del Saltello piombarono sui primi paesi appartenuti allo stato di Lucca, da tempo insofferenti del vicino potere d’oltrappennino.
Tassoni e Ottonelli erano i loro capitani. Importanti cognomi in quel di Fanano. Gli Ottonelli, in particolare, furono una famiglia che curò arte e artisti nell’ambito delle sculture e degli arredi lignei in territorio emiliano. Probabilmente furono loro a introdurre nelle terre di confine di Lupinaia il magister lignarius Giuseppe Gherardini che addobbò diverse chiese, ma in particolar modo quella di S. Pietro Apostolo in Lupinaia. Questo è però un filone di storia tosco – emiliano scoperto appena nell’agosto del 2009, da cui ci possiamo attendere altre più importanti interrelazioni.
Terminiamo questa piccola storia di chiese, strade e castelli dando le ultime notizie degli ultimi 427 anni del castello di Roccapelago! Nel 1585, quando era oramai tramontata da tempo l’epoca dei feudi e feudatari, il castello di Rocca versava in condizioni di abbandono. La gente di quei luoghi di montagna era priva di un luogo dove si potessero celebrare decentemente le funzioni religiose. Inoltre bisognava considerare che erano passati appena una quindicina d’anni da un vasto terremoto che sconvolse l’Emilia e che probabilmente aveva colpito anche edifici di culto. Gli abitanti di Roccapelago decisero di restaurarlo ed adattarlo a chiesa parrocchiale. Il salone delle feste e delle riunioni (con piccoli ampliamenti) fu riconvertito in salone – chiesa. Fu consacrato e nel corso dei secoli rivestito con ancone e dipinti meravigliosi. Oggi è un luogo sacro quasi incantato, privo di navate, di abside, di un vero e proprio presbiterio e con un soffitto a cassettoni in legno grezzo. Nel 2008 fu deciso di restaurare in diverse sue parti questa chiesa – castello. I responsabili del restauro decisero però di far precedere i restauri da un controllo archeologico del sottosuolo. L’idea si rivelò ben azzeccata. In una specie di cripta (che probabilmente era servita a deposito di armamenti di difesa) furono scoperti 281 corpi umani sepolti, di cui 60 in perfetto stato di mummificazione. Individui vissuti dalla fine del ‘500 fino a tutto il XVIII secolo avvolti in un lenzuolo sudario. Tanti i piccoli oggetti rinvenuti appartenuti alla vita quotidiana di questa povera gente d’Appennino, ma nessuno di particolare ricchezza. Tante le piccole medagliette spillate sui tessuti che raffiguravano Sant’Emidio, protettore dai terremoti. Tanta la mortalità infantile da 0 a 7 anni, tante le deformazioni scheletriche derivate da tanta fatica montana e da malnutrizione. Una fragilità scheletrica femminile molto elevata, probabilmente dovuta ai frequenti parti. Nel mondo della ricerca archeologica italiana, si tratta di un importante scoperta avvenuta nel cuore di quel castello che iniziò la sua genesi del potere proprio in terra di Barga nel XIV secolo con i Bizzarri di Montegarullo.

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Commenti

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  1. Christophe Chatelus


    Ho un antenato che si chiamava Pietro Moscardini e viveva a Treppignana. C’è un collegamento?

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