Barga la mattina del 28 dicembre, dopo i danni causati dai vari cannoneggiamenti dei mesi precedenti, con il devastante bombardamento aereo americano del giorno 27, si presenta alla vista in uno stato oltremodo tragico, specialmente nello sfacelo del suo centro storico, lassù intorno al millenario Duomo.
Nei fatti il bombardamento aereo ha prodotto lo sventramento del cinquecentesco e grande palazzo Balduini e quello vicinante dei Colognori, simile sorte è toccata all’antichissimo palazzo Micheluccini (poi demolito), che si voleva edificato nel corso del sec. XIII, ma l’elenco non si esaurisce con questi, perché altri importanti e altrettanto vasti edifici hanno subito danni: il Conservatorio del sec. XV con l’adiacente casa del Pia, i palazzi Gherardi e Pucci e così dicendo.
Questo supplemento di martirio, di cose ma soprattutto di vite, che ha investito tutto il Comune, è uno dei risultati dello sfondamento della Linea Gotica da parte delle forze dell’Asse. In altre parole è la guerra che ancora non dà segni di muoversi più a nord, così tenendo tutto il territorio di Barga e la sua gente sotto scacco e cosciente che per ora non c’è via di scampo, anzi, ben consapevole che altre disavventure si stanno sicuramente per avverare.
A questo proposito crediamo utile fermare un attimo il discorso intrapreso per evidenziare la particolare situazione in cui venne a trovarsi il territorio di Barga in questi difficilissimi mesi di fronte, la Linea Gotica, uno stato di vita della gente specialmente acuito con la Battaglia di Sommocolonia. Prima, nell’ottobre 1944, il Comune è liberato dal Fascismo e dalle forze dell’Asse con l’arrivo degli Alleati, i quali ovviamente, com’è naturale, non si fidano completamente della nuova conquista; poi, 27 dicembre, le forze dell’Asse che riprendono il Comune, a loro volta non fidandosi come prima del territorio tornato nuovamente nelle loro mani; infine, dopo due giorni, ritorneranno gli Alleati con un simile atteggiamento. Da questo dato di fatto non resta difficile capire lo stato d’animo in cui la nostra gente si trovò a vivere questi eventi; per quanto detto fu un “piglia e lascia” molto drammatico, perché niente di più di quanto gli stava accadendo, avrebbe avuto una forza così dirompente e tale da spopolare l’anima da ogni speranza, generando per converso grandissima precarietà e terrore. Secondo me è questa, assieme alle molte vittime e alle grandi distruzioni, l’essenza che determina l’elevarsi a un gradino superiore il martirio del Comune di Barga.
Tornando al nostro racconto ecco che nonostante quanto avvenuto dal cielo e con il continuo cannoneggiamento notturno degli Alleati tra il 27 e 28 dicembre, non si è ancora concretata la loro controffensiva e questo tiene ognuno con il fiato sospeso: se non tornano su, vuol dire che ancora non sono sicuri e allora senz’altro rivedremo altre aquile di ferro. Dal libro “Barga sulla Linea Gotica”, così chiosa sull’argomento mons. Lombardi, sempre rimasto in Barga con il suo cappellano don Andreotti, il canonico Marcucci, al quale si era unito il canonico Chiappa proveniente da Castelvecchio:
“Disponiamo l’animo a tutte le incognite e sorprese possibili”
Puntualmente le sorprese arrivano alle ore 8, 30 quando dei caccia bombardieri Alleati sganciano su Barga le loro bombe. L’ora è presa dal libro “Val di Serchio e Versilia Linea Gotica” di Fabrizio Federigi. La zona presa di mira è quella tra il Giardino e il ponte di Macchiaia, ma sono battute anche la campagna e Sommocolonia, paese che con Albiano è mirato ancora da un pressante cannoneggiamento Alleato.
Intanto a mons. Lombardi, unica autorità rimasta in Barga, giungono notizie che al Giardino ci sono state delle vittime, mentre al Conservatorio, presso l’antica cappella cimiteriale delle monache, lo stesso Lombardi ordina al becchino comunale Battista Piacenza di seppellire altre due vittime.
Tristi notizie arrivano anche dall’ospedale San Francesco, dove sono rifugiate molte persone. Infatti, è comunicato a mons. Lombardi che lì è morto Mario Santini dell’Istituto Asilo Pascoli, colto da una cannonata sulla via vecchia che va Fornaci la mattina del 27.
Tra tanti lutti ci sono anche note dolenti così descritte mons. Lombardi:
“Ma apprendo ancora una cosa che mi rincresce più delle bombe e delle cannonate: nella notte scorsa e stamani, magazzini, negozi e case sono state saccheggiate. Barghigiano, sfollati, tedeschi? Vedremo con più calma; ma ciò mi ha addolorato profondamente. E’ la feccia del calice amaro!”.
Continuano intanto le incursioni aeree ma ora sorvolano il territorio di Barga perché dirette nell’alta Garfagnana. Circa le ore 17 del pomeriggio, mentre le forze dell’Asse stanno man mano ritirandosi sulle precedenti posizioni, a Fornaci fanno ingresso le autoblinde indiane, che nella notte raggiungeranno anche Barga. Sentiamo ancora mons. Lombardi raccontare del loro arrivo a Barga, precisamente al devastato Conservatorio di S. Elisabetta, dove con altri stava cercando riposo in un turbinio di vento che entrava da ogni dove dell’edificio:
“Alle 21 Don Andreotti scende nel rifugio, ove si trova anche il Can. Marcucci. Convengo con lui che in caso di bisogno darò tre colpi alla porta del sotterraneo.
Io, il Can. Chiappa e Nico ci accomodiamo nel nostro “dormitorio” se non altro per rinvoltarci fra i coltroni e soffrire meno freddo che sia possibile. Dormire sarebbe desiderabile, ma lo potremo? […]
Sarà stata mezzanotte e mezzo quando fra i tanti rumori provocati dal vento uno mi colpisce perché troppo regolare: mi sembra di passi che procedono con cautela. Ma chi è che gira con questo tempo e in mezzo a tante rovine? Poi sentii più niente, o meglio solo l’infuriar del vento”.
Ritenni di essermi ingannato. Poco dopo il rumore dei passi si ripete e questa volta seguito dal tastare alla porta che conduce internamente all’atrio della chiesa. Questa è gente sul serio, mi dissi, e scartando subito l’idea che fosse risalito qualcuno dal rifugio pensai subito ai saccheggiatori. Ma non ebbi neppure il tempo di pensar altre: sentii tastare anche alla mia porta. Balzai a sedere sul letto: chi è? Gridai. Per tutta risposta si spalanca la porta e all’incerta luce della candela vidi alcuni soldati che alla faccia conobbi per indiani. Vidi puntati verso di me i moschetti.
Che volete? –Tedeschi? –No civili. –Tedeschi? –Niente tedeschi. –Partiti? –Sì, da ieri. –Volere visitare. –Fate pure.[…]
Frattanto mi ero alzato; non avevo avuto bisogno di perder tempo perché ero già completamente vestito e calzato. In tasca avevo le chiavi del Duomo e delle altre chiese. Mi unii ai soldati che erano cinque comandati da un tenente. […]
Passando per il corridoio dinanzi all’ingresso vidi parecchi altri soldati. Scesa la scaletta interna alla porta del rifugio battei i tre colpi convenuti e avvertii Don Andreotti che vi erano gl’indiani.
Un minuto dopo la pattuglia entrava nel sotterraneo e lo visitava fino in fondo passando a stento fra i poveri ricoverati che o giacenti o seduti seguivano con apprensione i movimenti dei soldati. Taluno piangeva o si lamentava; ma il tenente col suo tono quasi amabile a tutti ripeteva: Voi dormire, niente tedeschi. […]
Andare sopra, mi disse il tenente. […]
Precedetti e salimmo al primo piano. A me si era unito il Can. Marcucci, che non mi aveva voluto lasciar solo in quella poco invidiabile passeggiata. […] Da una finestra di quel piano il tenente mi indicò il Duomo: Visitare là! –Anche questa! Se non una polmonite mi busco una cannonata. Ma risposi semplicemente: bene!
(continua)
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