Barga sulla Linea Gotica (2) – il rastrellamento tedesco

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Nel precedente e primo articolo: “Il Martirio di Barga”, abbiamo iniziato un cammino teso a ritessere quanta e quale fu la sofferenza di Barga e del suo Comune durante il secondo conflitto mondiale, specialmente al tempo in cui tra i nostri monti si fermò per ben sette mesi il fronte della guerra, la cosiddetta Linea Gotica (settembre 1944 –aprile 1945).

L’idea che ci ha condotto ad effettuare questo percorso di recupero della memoria è stata dettata dall’accorgersi quanto poco sia tenuta in conto la sofferenza patita da un popolo durante i tristi giorni che la guerra si fermò tra i nostri monti. Quanto patì anche Barga, soggetta a cannoneggiamenti, bombardamenti e, appunto, al rastrellamento dei suoi uomini.

(Nell’immagine di apertura: Adolfo Balduini (1881-1957) – xilografia raffigurante “Il Rastellamento” di Barga dell’11 settembre 1944. Opera ambientata di fronte a Porta Reale, nei pressi del piazzale del Fosso, dove, sul soprastante Bastione furono ammassate centinaia di uomini barghigiani in attesa d’essere condotti nelle retrovie del fronte tedesco, a Castelnuovo Garfagnana)

L’introduzione a questo percorso della memoria, che proseguirà con altri articoli sino ai primi anni del dopoguerra, l’abbiamo lasciata all’interessante lavoro giornalistico che fece la dott. Alfreda Verzani (1933-1994) in occasione del 40° anniversario della Linea Gotica a Barga a sostegno dell’iniziativa dell’allora Gruppo Ricerche Storiche-Archeologiche, interamente pubblicato su questo sito il giorno 10 maggio, dal quale emerge, oltre alla sofferenza della popolazione, la particolare posizione di Barga in quei mesi: teatro di precise azioni militari tedesche e poi degli alleati.

Tra queste il rastrellamento tedesco dell’11 settembre 1944, che mise in una grande angoscia tutta la popolazione di Barga. Per ripercorrere quel momento non c’è modo migliore che ricorrere a due libri che parlano di questa guerra in loco. Uno è quello di Bruno Sereni: “La Guerra a Barga” edito nel 1968, dove ne fa un capitolo di ben trenta pagine, dal titolo “I Rastrellati raccontano”. Passando poi al fondamentale testo di mons. Lino Lombardi: “Barga sulla Linea Gotica”, edito nel 1955 dal Comune di Barga, in cui di quell’evento abbiamo una diretta e partecipata testimonianza.

Il libro di mons. Lombardi è molto importante perché trattasi della pubblicazione del suo personale diario dove, giorno per giorno, aveva annotato le maggiori cose accadute in Barga in quei mesi di fronte.

A seguire ecco l’introduzione di Bruno Sereni al capitolo, “I Rastrellati raccontano”:

“Il rastrellamento iniziò a Barga l’11 settembre 1944 alle ore tre pomeridiane, e si concluse a sera inoltrata colla partenza dei rastrellati per Castelnuovo Garfagnana.
I barghigiani, non avendo dato ai tedeschi nessun pretesto o motivo di giustificare una qualsiasi rappresaglia, vivevano nella certezza che la parentesi tedesca nella vita del paese si sarebbe chiusa con l’ultimo concertino bandistico nel piazzale delle Scuole elementari al Giardino. Invece non andò proprio così, e il ricordo che i tedeschi hanno lasciato non è quello dei Maestri Cantori di Norimberga.

I tedeschi a Barga avevano istallato nel palazzo delle Scuole elementari un Ospedale della Croce Rossa, da essi chiamato Lazaret, e nelle ville alla periferia le sedi di diversi comandi. O fosse per la presenza dell’Ospedale, o per altri motivi, che a noi ancora oggi sfuggono, Barga non venne mai bombardata dall’aviazione anglo-americana, nonostante che il giorno 10 settembre, vigilia del rastrellamento, in una villa di via Roma avesse avuto luogo un convegno di generali, al quale intervenne il generalissimo Kesserling. Uno di questi generali, di ritorno da Barga sulla via dell’Abetone, fu ucciso in un agguato teso dai partigiani pistoiesi.
Il rastrellamento comunque non avvenne per tale motivo, ma probabilmente era stato preordinato. La Germania, nell’impossibilità di reclutare mano d’opera volontaria come aveva fatto negli anni precedenti, adesso ricorreva a quella coatta che riusciva ad ottenere con i sistematici rastrellamenti nelle regioni che stava per abbandonare al nemico. Così in Italia, così in Grecia e altrove.

A Barga dopotutto andò anche troppo bene; non ci furono impiccagioni, fucilazioni, e neanche incendi di case. Oltre al rastrellamento, i tedeschi razziarono quanto di utile faceva loro comodo. Il rastrellamento, che nel momento in cui veniva eseguito era sembrato tragico, ebbe modo di ridimensionarsi con la fuga di molti rastrellati e col loro ritorno. Soltanto due non rividero i loro cari, com’è narrato nelle testimonianze che abbiamo raccolto.
Altri barghigiani evitarono d’essere rastrellati avendo dato retta all’informazione segretissima che la signora Vittoria Caproni ebbe da un sottoufficiale della Gendarmeria (un maestro cantore) ospite nella di lei casa con un collega. Il Maestro Cantore, riconoscente delle italiane gentilezze, ottenute dalla famiglia Caproni, fu tanto cavaliere da sentirsi in dovere di avvertire i fratelli Caproni di mettersi in salvo, giacché il giorno seguente vi sarebbe stato il rastrellamento.

La signora Vittoria, nonostante l’ora del coprifuoco, andò ad avvertire più gente che poteva e molti all’alba presero la via dei monti, salvandosi, altri, certi che si sarebbe trattato del solito falso allarme, rimasero a letto e alla mattina, non scorgendo niente di anormale, restarono in paese. Quando si accorsero di essersi sbagliati, era troppo tardi.”

Passiamo ora alle fondamentali parole del diario di mons. Lino Lombardi, pubblicate nel libro, “Barga sulla Linea Gotica”, precisamente al capitolo del libro “Il rastrellamento”:

“Come era avvenuto in altre zone, pure a Barga si viveva nel timore di un rastrellamento, tanto più che si diceva, sommessamente per ragioni evidenti, di pressioni da parte della Brigata Nera sui tedeschi che apparivano riluttanti, in quanto che non avevano da lagnarsi dei barghigiani. Ma, sia come sia, dopo alcuni falsi allarmi nei giorni precedenti, il dì 11 settembre, l’obbrobrio fu consumato.Fu alle tre del pomeriggio che pattuglie tedesche si sparsero nelle varie zone e cominciarono a visitare le case. Fu una fuga generale alla montagna e ai nascondigli. Soffitte, cantine, concimaie, cataste di legna, grotti, alberi, travestimenti, tutto fu cercato o usato per la salvezza.

In generale i rastrellati furono gente di una certa età o con professione o mestiere tali da poter ritenere di essere esentati. Del clero fu preso P. Testa, superiore degli Oblati, ma gli riuscì sfuggire. Così altri sfuggirono, ma taluno fu ripreso. Oltre che le case, i soldati vollero visitare il Duomo e le altre chiese. Si presentarono pure alla Canonica, ma non entrarono limitandosi a domandare se ero solo.

Non tutte le pattuglie ebbero uguale zelo; vi furono di quelle feroci nella caccia all’uomo, mentre altre chiusero un occhio moderando le perquisizioni e non preoccupandosi soverchiamente dei fuggitivi. Vi furono anche soldati che preavvertirono bonariamente le famiglie dove erano alloggiati, consigliando di fare una passeggiata in montagna!
In ogni modo qualche centinaio di disgraziati fu il frutto della bestiale cacciata. Furono riuniti presso il Cedro del Libano e lì, per ore attesero la loro sorte, mentre sentinelle con moschetto tenevano a distanza i familiari, quasi tutte donne, immersi nella più grande angoscia.
Alle 20 visitai i disgraziati agevolando a diversi la consegna di viveri e indumenti. Parlai poi col Comandante interessandolo in loro favore.

Il Comandante mi rispose che non poteva darmi assicurazioni; le decisioni dovevano essere prese a Castelnuovo dove, in base alle disposizioni vigenti in materia, sarebbero stati esaminati i documenti e vagliate posizioni. Chi risultava in regola sarebbe stato rilasciato.
Alle 21 però, in seguito ad istruzioni, venivano rilasciati gli operai metallurgici, panettieri e qualche professionista. Qualcuno riuscì a fuggire all’ultimo momento, favorito dall’oscurità.
La sera stessa, circa le 22, la “mandria” veniva caricata su camion e portata a Castelnuovo. Qui non fu presa alcuna decisione: bisognava andare a Bologna. A Castelnuovo stettero tre giorni e durante la sosta alcuni fuggirono da una finestra delle scuole ove erano alloggiati calandosi per il tubo pluviale, favoriti, oltre che da buone donne, anche da un’incursione aerea nella zona di Castelnuovo.
Più ne sarebbero fuggiti se il tubo pluviale non si fosse rotto sotto il peso di un fuggitivo.
A Bologna alcuni furono dichiarati inabili al lavoro ed ebbero facoltà di ritornare e infatti qualcuno ritornò; ma con tanta fatica e a costo di terribili privazioni. Qualche altro poi non tornò neppure a guerra finita!”

(continua)

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